Mentre gran parte dell’attenzione degli osservatori e degli analisti è concentrata su Taiwan, lo scontro in atto tra gli Stati Uniti e la Cina prosegue anche nel Sud Pacifico. In questo articolo desideriamo concentrarci sull’evoluzione dell’attività del governo cinese in quest’area e in particolare sulla situazione delle Isole Salomone.
Abitato da migliaia di anni il Sud Pacifico, inclusa la Nuova Zelanda, conta solo 14 milioni di abitanti, pur occupando circa un terzo della superficie terrestre. Al suo interno sono riconoscibili tre aree culturali molto diverse: la Melanesia, con oltre 1.000 gruppi etnici e un quarto delle lingue del mondo, la Polinesia e la Micronesia, etnicamente e linguisticamente omogenee. Dopo due secoli di dominio occidentale negli ultimi 25 anni il Sud Pacifico, come altre aree del globo, ha visto una crescita dell’influenza cinese. Dalla fine degli anni 90 i Paesi occidentali hanno diminuito la propria presenza diplomatica e le proprie strutture di cooperazione, prontamente rimpiazzati da Pechino che ne ha approfittato anche per estendere il proprio riconoscimento a scapito di Taiwan. Attraverso il new model of south-south cooperation ha finanziato opere infrastrutturali (strade, ponti, porti e aeroporti) e civili (università, ospedali ecc.) infiltrandosi nel tessuto economico con l’obiettivo dichiarato di sviluppare le relazioni commerciali, ma di fatto iniziando un processo di colonizzazione con l’insediamento di popolazione cinese e l’acquisizione di attività economiche.
Il controllo delle isole del Pacifico ha costituito la base della strategia del Giappone tra le due guerre e la causa dell’intervento americano nella Seconda guerra mondiale. L’attuale assetto strategico ha avuto origine durante la guerra, e si è consolidato nel dopoguerra. I possedimenti statunitensi nel Pacifico, incluse le Zone Economiche Esclusive, coprono una superficie di oltre 750.000 miglia quadrate, all’incirca le dimensioni della Turchia. Il presidio del Sud Pacifico è necessario agli Stati Uniti sia per difendere questi territori che controllare le rotte commerciali con l’Indo-Pacifico. Dal punto di vista geografico si possono identificare tre catene isole, che rappresentano altrettante linee di difesa, o potenziali teste di ponte: la prima, comprende Taiwan di fronte alle coste cinesi, la seconda va dal Giappone alla Papua Nuova Guinea, e la terza unisce idealmente l’Alaska alla nuova Zelanda. Gli Stati Uniti non sono sempre stati sufficientemente attenti ai rapporti con gli stati del Pacifico, e questo ha lasciato alla Cina lo spazio per una rapida espansione commerciale, diplomatica e militare. Tra il 2016 e il 2020, la marina cinese ha aggiunto alla sua flotta l’equivalente dell’intera flotta del Giappone e sta continuando la costruzione di nuove navi da guerra, avviandosi ad avere quasi il doppio delle navi della Marina degli Stati Uniti entro la fine di questo decennio, costituendo così una minaccia credibile.
Sulle Isole Salomone esercita la propria influenza l’Australia, tanto che nel 2002 è intervenuta alla guida di una forza multinazionale , la Regional Assistance Mission to the Solomon Islands (RAMSI), per disarmare le milizie etniche e ristabilire l’ordine minacciato da scontri cominciati già dal 1997. La politica australiana rispetto agli stati insulari del Sud Pacifico ha sempre fatto in modo di tenere fuori dalla contesa le grandi potenze, creando una sorta di zona neutrale, l’accordo firmato con la Cina costituisce quindi un punto di rottura, poiché mette Pechino in grado di arrivare alle porte dell’Australia. Infatti ancorché l’accordo preveda solo che in caso di minaccia all’ordine sociale la Cina possa inviare soldati, mentre non è esplicitamente menzionata la possibilità che Pechino possa costruirvi una base militare, è chiaro come ne costituisca il preludio.
L’episodio delle Isole Salomone si inserisce nel più ampio scontro tra la Cina, potenza revisionista in ascesa e gli Stati Uniti, egemone declinante e fa emergere la durezza e la portata dello scontro tra USA e Cina, mettendo in evidenza l’importanza del controllo anche di piccole porzioni di territorio, povere e poco abitate. Infatti dal punto di vista geografico le Isole Salomone costituiscono un argine naturale all’espansione cinese, mentre per Pechino sono la porta sul Pacifico in alternativa al mancato controllo di Taiwan per sfidare gli Stati Uniti sul controllo dei mari, vero punto di forza della talassocrazia americana.