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TematicheItalia ed EuropaEsercito italiano e guerra in Ucraina

Esercito italiano e guerra in Ucraina

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La pubblicazione del Rapporto Esercito 2022 aggiunge ulteriori argomenti al dibattito in corso in Italia sulle trasformazioni che la componente terrestre delle Forze Armate potrebbe/dovrebbe attuare.

L’instabilità del “Mediterraneo allargato” ed il ritorno in grande stile della guerra convenzionale in Europa, con il conflitto in corso tra Russia ed Ucraina, obbligano l’Italia a ripensare alle proprie Forze Armate in chiave “combat” e cioè a renderle in grado di combattere e di vincere una guerra, certamente collaborando con gli alleati, ma anche con un necessario spazio di autonomia strategica. 

Tra tutte le componenti delle Forze Armate Italiane, l’Esercito è quella rimasta maggiormente “in disparte” rispetto ai programmi di ammodernamento, cosa di cui i vertici di Via XX settembre sono a conoscenza e si lamentano con i decisori politici, sottolineando anche che, come da lezione che si sta apprendendo sui campi d’Ucraina, è nel “dominio terrestre” che si vincono le guerre.

In particolare, nonostante una fetta sostanziosa dei commentatori di affari militari fosse convinta del contrario, a giocare un ruolo essenziale anche nelle guerre convenzionali odierne sono le “forze pesanti” (unità corazzate, fanteria pesante, unità esploranti, di supporto al combattimento e logistiche) e, dunque, il carro armato (MTB) resta uno dei protagonisti indiscussi del teatro bellico. Come ha scritto nel Rapporto Esercito il generale Salvatore Camporeale, comandante delle Forze Operative Nord, «la manovra a contatto di masse corazzate  […] ha in primis confermato l’importanza dello Strumento militare terrestre per la difesa, conquista e controllo del territorio e, nel contempo, evidenziato la necessità di integrare tra loro procedure, sistemi d’arma e apparati sempre più complessi […] In tale scenario le forze pesanti mantengono la loro centralità», anche considerata la loro funzione – per potenza di fuoco e duttilità tattica – risolutiva in battaglia. 

Di fatto, la “manovra a contatto” è stata lo strumento tattico con il quale gli ucraini hanno ottenuto, finora, i loro più importanti successi contro i russi. Essa si basa sull’assunto secondo cui attraverso la combinazione di fuoco e movimento rapido, che solo le unità pesanti possono garantire, si possa conseguire un vantaggio sul nemico, sviluppando le attività tattiche in chiave multidominio e determinando, quindi, una preminenza “fisica” su di esso.

In altre parole, la manovra di contatto ha la funzione di identificare e colpire lo Schwerpunkt nemico, concentrando su di esso il proprio fighting power (risultato dell’integrazione di tre componenti interdipendenti: quella intellettuale che fornisce la conoscenza per combattere; quella morale che fornisce la volontà di combattere; e quella fisica fornisce i mezzi per combattere).

È evidente, però, che in tale tipo di manovra tattica, la funzione risolutiva delle due componenti corazzata e meccanizzata, è tale solo se questi mezzi non risultino essere facili bersagli per droni e circuitanti, che notevoli danni possono causare come i due casi-scuola delle guerre nel Nagorno Karabakh del 2020 e quella in corso in Ucraina hanno dimostrato. Ecco perché anche le forze pesanti di un esercito devono disporre di strumentazione atta all’osservazione ed esplorazione (anche a distanza) del campo di battaglia, con la capacità di integrare componenti tradizionali a quelle più tecnologicamente avanzate e di trasporre, a livello tattico (combined arms), ciò che a livello strategico sono le grandi operazioni interforze. Per l’Esercito Italiano questo significa sviluppare le capacità operative delle brigate di manovra pluriarma pesante, come anche il Rapporto 2022 auspica, pur tra molte difficoltà.

Ugualmente, le forze in prima linea devono essere sostenute da azioni in profondità, a distanze crescenti rispetto alla linea di contatto, che consentano di effettuare “manovre disperse”. In questo ambito giocano un ruolo determinante sia l’artiglieria tradizionale – che ha recuperato la sua funzione di “arma strategica”, basti pensare agli HIMARS in Ucraina – che i droni.

Così come fondamentale è poter disporre di elicotteri d’assalto in grado di sostenere tanto l’azione delle truppe impegnate nel combattimento, quanto di quelle addette alle azioni di manovra diradata. 

Senza contare che un tale meccanismo di fuoco e movimento implica l’esistenza di un sistema logistico perfettamente integrato al “dispositivo combattente” e che sia in grado di rifornirlo direttamente sul campo di battaglia e praticamente in tempo reale. Anche in questo caso, le differenze di gestione della logistica tra Russia ed Ucraina hanno sparigliato il campo da ogni interpretazione diversa rispetto a quella della valenza di una modernizzazione ed automazione di determinati sistemi di trasporto e rifornimento delle truppe al fronte.

Come ha evidenziato il sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Gaetano Zauner, «a fronte di una continua e rapida evoluzione tecnologica, la natura e i “principia rei militaris” restano immutabili nel tempo, così come i fondamenti della condotta delle operazioni terrestri», come la guerra in corso in Ucraina ha abbondantemente dimostrato.

La commistione tra condotta tradizionale delle operazioni terrestri e la presenza sul campo di battaglia di sistemi d’arma tecnologicamente avanzati come droni e missili di precisione a lunga gittata, obbligano gli eserciti ad un’opera di evoluzione e trasformazione continua che implica, di conseguenza, una politica di spese militari espansiva se si vuole mantenere uno strumento in grado di competere nel conflittuale scenario internazionale ed anche solo di garantire, in chiave preventiva, la sicurezza nazionale. La fatidica spesa del 2% del PIL per la Difesa non è più rimandabile.

Leggendo il Rapporto Esercito 2022 emerge una sorta di discrasia – tipica, purtroppo, del comparto Difesa italiano – tra le consapevolezze teoriche dei militari e le difficoltà a mettere in pratica quanto richiesto sotto il profilo politico-economico e gestionale.

I programmi di ammodernamento del carro Ariete C1 (che dovrebbe diventare Ariete C2) e del Veicolo Blindato Medio “Freccia”, così come l’introduzione della Nuova Blindo Centauro, che non disporrà della configurazione definitiva prima del 2024, sono, per quanto concerne l’ambito ristretto della “manovra a contatto”, i simboli dell’attuale fase di transizione in cui versa l’Esercito Italiano fino al raggiungimento degli standard richiesti dai militari ed “imposti” nell’agenda della Difesa italiana dall’instabilità geopolitica mondiale.

Lo stesso dibattito sul rinnovo della componente corazzata – e sulla sua importanza rispetto a quella meccanizzata – è parte di un tema fondamentale che, però, nel Rapporto Esercito viene toccato solo velatamente; e cioè se Roma ambisce ad avere una componente terrestre perfettamente integrata con quella marittima e quella aerea in chiave “combat” o se il destino dell’Esercito è quello di specializzarsi – come gli impegni nei Balcani ed in Medio Oriente di fine anni ’90 ed inizio anni 2000 lasciavano immaginare – nel peacekeeping. 

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