L’abbattimento del jet russo Su-24 del 24 novembre scorso ad opera di un F-16 della Türk Hava Kuvvetleri ha causato irreparabili danni nelle relazioni politiche e commerciali tra Mosca e Ankara. Avendo tutte le sembianze di un vero e proprio agguato premeditato, l’incidente sui cieli turchi (o siriani) ha indotto l’establishment russo ha prendere le prime misure ritorsive che limitano seriamente le relazioni commerciali tra i due paesi, danneggiando principalmente il turismo russo in Anatolia e l’export turco verso la Federazione e gli emergenti mercati dell’Asia Centrale.
Confronto fra Russia e Turchia
Nonostante la gravità dell’accaduto, le autorità di Mosca hanno conservato i nervi saldi limitando la propria reazione all’ambito logistico e commerciale, rimandando ogni risposta militare diretta allo scopo di evitare l’avventata apertura di un nuovo teatro di guerra.
Già impegnato su più fronti (Siria, Donbass…), il Cremlino ha più volte cercato di indurre l’esecutivo di Recep Tayyip Erdoğan a rinunciare alle proprie ambizioni neo-ottomane, le quali si porrebbero inevitabilmente in competizione con gli interessi russi nella regione mediorientale. Il lancio di missili da crociera da navi e sottomarini russi dal Mar Caspio e dal Mediterraneo Orientale non hanno mai avuto lo scopo primario di colpire le posizioni strategiche diDaesh o dei ribelli siriani, il cui risultato è meglio garantito dai bombardamenti aerei legittimati dall’alleato governo di Damasco. Il vero fine dell’impiego di una tecnologia tanto sofisticata è stato quello di consegnare un messaggio politico ad Ankara: “attenzione, possiamo colpire da ogni direzione senza necessità di sorvolare il vostro spazio aereo; non metteteci il bastone fra le ruote.”
Per il momento tali lanci non sono stati effettuati da imbarcazioni stanziate nel Mar Nero poiché i proiettili avrebbero scavalcato proprio lo stato turco e la semplice allusione sarebbe stata percepita come puro affronto. Difficile comunque pensare che l’esecutivo turco non abbia colto il messaggio. E’ più probabile che la personalità e gli interessi personali del “Sultano” Erdoğan abbiano prodotto una risposta arrogante e incosciente indirizzata allo “Zar” Putin.
Resta il fatto che la Russia dispone di un’ottima marina con buone capacità di contenimento operante su ogni fronte marino turco: Mar Caspio, Mar Nero e Mar Mediterraneo.
Cooperazione fra Turchia e Ucraina
Da sempre al centro di nulla e al confine di tutto (Europa e Asia, Mediterraneo e Mar Nero, potenze di mare e di terra, poli religiosi, rivalità etniche…), i vari imperi anatolici hanno sempre ricercato la propria sicurezza e integrità territoriale in una superiorità tecnologica militare concepita per proteggere la propria delicata posizione geografica.
Se Bisanzio ha potuto contare per secoli sull’efficacia del fuoco greco, la moderna Turchia è conscia dell’opportunità di dotarsi di un funzionale sistema anti-missile. Per tale ragione a gennaio il Segretario della difesa ucraina Oleksandr Turchynov, durante la sua visita di lavoro ad Ankara, ha incontrato il Segretario dell’industria della difesa turca Ismail Demir e discusso sull’intensificazione della cooperazione tecnico-militare tra i due paesi, convenendo che “mediante la combinazione di risorse e la creazione di joint venture siamo in grado di ottenere molto di più insieme che da soli.”
In particolare la parte turca apprezza lo sviluppo ucraino in ambito balistico e aereo: questo spiega gli incontri ad alto livello di Turchynov con i rappresentanti delle industrie di difesa turche Roketsan e Aselsan. Non è dunque un mistero che la Turchia voglia sopperire alle lacune difensive del proprio spazio aereo derivanti dal mancato rinnovo del dispiegamento degli efficaci e capillari missili tattici terra-aria MIM-104 Patriot di USA e Germania. Per fare ciò Ankara punta all’evoluzione di efficienti sistemi d’origine sovietica a più ampio raggio di gittata (maggiore copertura) e a lancio verticale (maggiore reattività).
L’avvicinamento tra Turchia ed Ucraina si è manifestato a più riprese con la solidarietà dell’esecutivo di Ankara per ciò che riguarda la Crimea. Durante un recente incontro a Kiev il primo ministro turco Ahmet Davatoğlu, ha riferito al proprio omologo ucraino Arseniy Yatsenyuk di non riconoscere l’occupazione della Crimea e promesso di sostenere l’Ucraina con la quale “i rapporti sono di natura strategica”, mentre il ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha interloquito con il leader dei Tatari di Crimea Mustafa Dhzemilev sull’opportunità di creare un gruppo di lavoro internazionale per la de-occupazione della penisola.
Il coinvolgimento turco (per il momento solo abbozzato) sulle questioni relative all’integrità territoriale dell’Ucraina e al sostegno della minoranza etnica tatara viene interpretata da Mosca come un’intromissione negli affari interni della Federazione. Ciò spinge inevitabilmente il Cremlino ad intensificare i propri sforzi per l’affermazione del proprio dominio navale nel Mar Nero.
Non solo il blocco commerciale e logistico della Crimea e il timore di sabotaggi alle navi mercantili comporta una crescente militarizzazione del quadrante nord-orientale del bacino, ma la cooperazione sempre più stretta tra Turchia e Ucraina spingerà la marina russa ad un controllo più serrato sulle acque delle rotte commerciali tra i due paesi non confinanti. Ciò spiega il motivo per il quale Kiev abbia inviato di recente un’unità militare sull’Isola dei Serpenti a circa 45 km dalle coste della Romania: se fosse catturata dai russi il porto di Odessa sarebbe isolato. Inoltre la protezione dell’isola ha la funzione di dissuadere la Russia dall’attuazione di ciò che gli analisti locali chiamano operazione “Tuman” (“Nebbia”), ovvero l’attivazione di un ponte aereo tra la Crimea e l’aeroporto militare di Tiraspol (Transnistria) recentemente ristrutturato, militarizzato e reso funzionale all’atterraggio di pesanti aerei cargo.
Flottiglia NATO permanente?
L’importanza che il Mar Nero sta assumendo nello scontro tra Russia e Ucraina e nel confronto tra Russia e Turchia potrebbe spingere Ankara a sostenere le richieste di Romania e Bulgaria per la creazione di una flottiglia NATO permanente che protegga gli stati rivieraschi appartenenti all’alleanza.
In questo caso è bene osservare che gli Stati Uniti potrebbero essere riluttanti a stanziare risorse preziose in quello che sostanzialmente è un mare chiuso e dal ridotto impatto strategico per una potenza globale che ambisce al dominio oceanico. Tanti rischi e tanti costi per proteggere un alleato (la Turchia) la cui fedeltà è da sempre ondivaga (si considerino ad esempio i “tentennamenti” diplomatici sulla concessione dell’aeroporto di Incirlik).
Sofia è particolarmente irritata per la mancata realizzazione del gasdotto South Stream e si sente beffata per gli accordi raggiunti sul raddoppio di Nord Stream: ciò potrebbe renderla titubante ad affidare completamente la propria difesa e i propri interessi strategici ai partner occidentali. La Romania pare invece essere un partner affidabile e dalla crescente importanza strategica: si pensi anche solo alla base NATO di Deveselu inquadrata nel sistema difensivo Aegis BMD.
Qualora fosse richiesta e resa politicamente doverosa una partecipazione italiana alla creazione della flottiglia permanente, è bene che Roma tenga presente che le operazioni avvantaggerebbero la Turchia, proprio naturale competitor nel Mediterraneo (es. discordanti posizioni sulla Libia) e in Asia Centrale (quote di mercato). Una soluzione potrebbe essere quella di adottare un basso profilo che limiti la cooperazione nelle acque al largo delle coste rumene e bulgare a protezione dell’importante porto commerciale di Costanza da minacce improbabili.