Il Presidente uscente, Recep Tayyip Erdoğan, si riconferma alla giuda del Paese avendo raccolto il 52,16% dei voti con la sua Alleanza del Popolo. Lo sfidante Kılıçdaroğlu, leader della Alleanza della Nazione, ha invece raggiunto il 47,84% dei consensi. Hanno votato 64,197,419 cittadini, un decremento totale del 3,17% rispetto al primo turno del 14 maggio, dove l’esito era stato del 49,52% per Erdoğan, del 44.88% per Kılıçdaroğlu e del 5,17% per Oğan, dell’Alleanza Ancestrale.
I voti che nella prima tornata erano stati destinati all’Alleanza Ancestrale si sono quindi divisi fra le due fazioni: circa i 2/3 (3% dei voti totali) è andato a destra, il restante terzo (2% dei voti totali) a sinistra. La cosa è naturale, dato che l’Unione Ancestrale non è mai stato un partito ma un’alleanza elettorale composta da 4 partiti, che si è sciolta una settimana dopo il primo turno elettorale proprio per via dei diversi orientamenti su dove indirizzare il voto dei simpatizzanti al secondo turno: il Partito della Giustizia di V. Öz aveva annunciato l’appoggio a K. Kılıçdaroğlu, il candidato S. Oğan aveva invece scelto di supportare R.T. Erdoğan.
Delle altre due espressioni della destra turca, il Partito del Movimento Nazionalista è da tempo un alleato del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, il Buon Partito è invece in alleanza con quello che continua a definirsi l’erede del kemalismo, dimostrando in maniera netta come le trasformazioni che la Turchia del post-kemalismo sta vivendo riguardano l’identità del Paese, il suo rapporto con la questione etnica e quello del suo spazio nelle relazioni internazionali, argomento che nella specificità turca si ricollega in modo diretto al discorso identitario.
Analizziamo la figura di Oğan e la narrativa sulla quale ha costruito l’Alleanza Ancestrale, il cui nome in turco, Ata Ittifaki, richiama immediatamente la figura del Padre della Patria M. K. Atatürk. Oğan riporta in vigore l’interezza del discorso nazionalista con una offerta in realtà diversa tanto da quella del Partito del Movimento Nazionalista, dal quale era stato espulso, quanto da quella del Buon Partito, e rappresentando in entrambi i casi un estremo. Oğan è soprattutto l’espressione di un’idea di turchitá che va ad oriente: Oğan è infatti etnicamente un azero, presenta caratteristiche fisiche che lo riconducono immediatamente all’Asia centrale, al Türkestan, e nel suo passato educativo e lavorativo si ritrovano tanto Baku quanto Mosca. Moglie vestita all’occidentale, assomiglia molto ad un kemalista di novanta anni fa, ed anche in questo affascina il suo rimando alla grande tradizione di amicizia fra Ankara, Baku e Mosca (che nasce con la Repubblica).
Interessante come la mappa dei risultati elettorali del 14 maggio lo riporti sempre al massimo nei collegi elettorali più kemalisti: è al 5% a Izmir, al 5,22% a Çanakkale, oltre il 7% ad Eskişehir. Risultato esaltante è a Iğdır dove supera l’11%: è la città dove è nato, tradizionalmente di destra, e dove vive una minoranza azera. Si oppone fermamente ad ogni riconoscimento della causa curda ed è a chi promette di ostacolarla che dirotta i suoi voti. Il paradosso è che chi i suoi voti li riceve è opposto ai curdi solo per convenienza elettorale con l’altra estrema destra, quella – come detto – del Partito del Movimento Nazionalista. In realtà, in quanto islamista il Presidente considera le differenza etniche irrilevanti. D’altronde ha sposato una donna di origini arabe di Siirt ed aveva aperto, prima che i suoi alleati lo richiamassero all’ordine in vari modi, all’uso del curdo in diversi contesti. Il suo approccio critico al kemalismo infatti non si limita, come spesso semplicisticamente si crede, al laicismo o all’economia, ma anche alle differenze etniche. Per quanto lo si consideri un nazionalista, sarebbe maggiormente corretto dire che dei nazionalisti ha un disperato bisogno. Il suo progressivo avvicinamento al Partito Democratico dei Popoli gli è forse costato anche l’attentato di Istiklal. E bisognerebbe anche riqualificare Oğan: noi europei lo leggiamo semplicemente come un’esponente della destra estrema, ed invece è in un certo senso profondamente kemalista: un kemalista della prima ora.
Kılıçdaroğlu è vittima di se stesso, del guidare un partito che non ha più una identità ed una coalizione eterogenea che nemmeno lo voleva come leader. La scelta non è ricaduta su di lui per le sue capacità ma per l’impossibilità di designare altri, specialmente dopo la temporanea eclissi di Imamoğlu. Ed il passare da definirsi un alevita al fine di consolidare il voto dei curdi e dei non-sunniti alle posizioni di destra quasi estrema degli ultimi giorni di campagna elettorale ha definito in maniera chiara l’inconsistenza di una offerta politica che deve necessariamente trovare una sostanza.
Indipendentemente dal risultato, da queste elezioni in sintesi sono emerse alcune peculiarità:
- Sono le elezioni del centenario della Repubblica. E se il Presidente non è riuscito nella fondazione della “nuova Turchia” con una nuova Costituzione e con la sostituzione della figura del Pater Patriae, la sua coalizione si garantisce altri 5 anni per completare il progetto;
- Sono le elezioni che permettono al governo che porterà a termine questa rifondazione di farlo partendo da destra, in modo quindi parzialmente diverso da quanto voluto dallo spirito del Partito della Giustizia e dello Sviluppo: niente multietnicità, revisione del rapporto con i migranti;
- I Turchi non votano nella contingenza, ma secondo criteri di appartenenza. A titolo di esempio, la gestione post terremoto ha indignato molti, ma non spostato i loro voti;
- Dimostrano le capacità politiche e l’abilità di un uomo che, nell’ombra, ha prodotto tutto questo: D. Bahceli.