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TematicheStati Uniti e Nord AmericaPerché Erdogan vuole gli F-16 americani

Perché Erdogan vuole gli F-16 americani

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Mentre le aeronautiche dei suoi rivali ricevono i velivoli più moderni sul mercato, la flotta di Ankara sembra in stato di crisi: molti dei suoi caccia vanno sostituiti o necessitano di aggiornamenti. Dopo l’espulsione dal programma F-35, Erdogan si rivolge un’ultima volta agli Stati Uniti, chiedendo di modernizzare i suoi stormi di F-16. Se Washington si rifiutasse, Ankara potrebbe trattare di nuovo con i russi.

Articolo precedentemente pubblicato nel diciassettesimo numero della newsletter “A Stelle e Strisce”. Iscriviti qui.

L’incontro tra Erdogan e Biden

Durante il colloquio tenutosi tra Biden ed Erdogan a margine del G20 si è tornato a discutere di un tema che, nelle ultime settimane, si è nuovamente guadagnato le prime pagine dei principali media internazionali, ovvero quello della mancata fornitura all’aeronautica turca, da parte degli Stati Uniti, dei caccia di quinta generazione prodotti dalla Lockheed Martin. Il tema è tornato di attualità a partire da metà ottobre, quando il presidente Erdogan ha rivelato di aver ricevuto da Washington una proposta di vendita di 40 caccia F-16, oltre a 80 kit di modernizzazione, per compensare la mancata fornitura degli F-35 nel 2019. Nonostante il Dipartimento di Stato abbia negato di aver proposto questa offerta e ad oggi non sia ancora chiaro quale attore abbia dato avvio alla trattativa, il tema è realmente sul tavolo. 

L’annuncio della richiesta americana giunge a pochi giorni dall’ultima provocazione di Erdogan nei confronti di Washington. Nelle scorse settimane, infatti, il leader turco aveva espressamente dichiarato che, nel caso in cui Washington non si fosse resa disponibile a trovare una soluzione di compromesso nella faccenda F-35, Ankara si sarebbe necessariamente dovuta rivolgere ancora una volta alla Federazione Russa per ammodernare la flotta di caccia turchi.  

Ad oggi, quel che si sa è che gli Stati Uniti potrebbero siglare con la Turchia, che ha già versato 1.4 miliardi di dollari nelle casse americane per l’adesione al programma F-35, un contratto di circa 6 miliardi di dollari, che potrebbe consentire ad Ankara di modernizzare parte della sua ormai vecchia flotta di F-16 e di disporre di qualche decina di macchine dell’ultima versione, gli F-16 Block 70. La vendita, che avverrebbe tramite il canale di vendita Foreing Military Sales – questo canale, insieme al Direct Military Sales, costituisce una delle due procedure attraverso il quale gli Stati Uniti procedono alla vendita dei materiali d’armamento americani – deve prima essere autorizzata dal Congresso e dal Senato, motivo per il quale la possibilità che questa possa farsi non appare affatto scontata, data l’ostilità di molti rappresentanti e senatori nei confronti di Ankara

Sebbene durante il loro incontro a Roma Erdogan e Biden non siano pervenuti a nessuna conclusione, entrambe le parti si sono dichiarate soddisfatte del colloquio. Le autorità turche hanno dichiarato che l’incontro si è tenuto “in un’atmosfera molto positiva” e che “l’amministrazione americana ha dimostrato di affrontare la questione con un approccio positivo”, mentre le autorità americane hanno definito i colloqui “molto produttivi”. In ogni caso, i due presidenti hanno stabilito di ritornare sulla questione nei prossimi mesi, in un incontro che si terrà con tutta probabilità a Washington. 

Una relazione complicata

La partecipazione turca al programma F-35 venne interrotta da Washington nel 2019 a seguito della decisione, da parte di Ankara, di procedere con l’acquisto e con il successivo impiego operativo del sistema di difesa antiaerea russo S-400. La Turchia, Paese membro della NATO da oramai settant’anni, era entrata nel programma della Lockheed Martin nel lontano 2002, ma dopo il colpo di stato del luglio 2016 aveva deciso, nel 2017, di preferire il sistema russo, piuttosto che rivolgersi ancora una volta agli americani e comprare il sistema di difesa aerea Patriot. Quando poi, nel 2019, Ankara ricevette i primi pezzi, il presidente Trump decretò l’espulsione della Turchia dal programma. 

Nonostante Trump si fosse rifiutato, fino all’ultimo, di emanare sanzioni nei confronti della Turchia, durante il suo ultimo mese di presidenza il National Defense Authorization Act 2020 imponeva al presidente di agire proprio in questo senso. A poche settimane dal primo test del sistema S-400 condotto dai turchi, il 14 dicembre, alcuni membri di spicco del mondo dell’industria della Difesa turca venivano fatti oggetto delle prime sanzioni CAATSA (Countering American Adversary Through Sanctions Act) mai emanate dagli Stati Uniti nei confronti di un loro alleato.

Le ragioni che giustificano l’espulsione della Turchia dal programma F-35 riguardano principalmente la sicurezza del caccia e l’incompatibilità con gli altri sistemi militari della NATO. Secondo gli esperti americani, infatti, l’utilizzo dell’apparecchiatura russa non sarebbe solamente incompatibile con la struttura della NATO, ma metterebbe in pericolo l’intero programma F-35, visto che, secondo loro, il sistema S-400 potrebbe essere utilizzato dai russi per ottenere informazioni altamente classificate sul caccia della Lockheed Martin. 

Quando Washington decretò l’espulsione dal programma, le autorità turche protestarono con enfasi sottolineando come la scelta di Ankara – in merito alla quale Erdogan si è recentemente espresso favorevolmente, dichiarando che, in fin dei conti, ne è “valsa la pena” – non mettesse affatto in pericolo il velivolo della Lockheed. In aggiunta, sottolineano i turchi, l’espulsione dal programma rappresentava, e rappresenta ancora oggi, una grande ingiustizia, visto che le forze armate di Ankara non sono le uniche, tra gli alleati di Washington, ad impiegare  sistemi russi. Ad oggi, ad esempio, paesi come la Bulgaria, la Grecia e la Slovacchia schierano il sistema di difesa antiaerea S-300

Washington non ha voluto accogliere le proteste turche e ha proceduto prima con l’espulsione e successivamente con le sanzioni. Per tutta risposta, Erdogan si è ulteriormente avvicinato all’industria russa: nelle ultime settimane, infatti, il presidente turco ha rilasciato alcune importanti dichiarazioni a favore del Cremlino, annunciando l’intenzione di procedere con l’acquisto di ulteriori sistemi S-400, per equipaggiare un altro reggimento turco, e anche di accordarsi con i russi per la costruzione di un’ulteriore centrale nucleare – una, quella di Akkuyu, è già in fase di costruzione da parte della Rosatom, nella provincia di Mersin, nel sud della Turchia. 

A fare da sfondo a tutta questa vicenda, poi, si aggiungono diversi altri elementi che negli ultimi anni hanno contribuito, ognuno in modo diverso, ad esacerbare i rapporti tra Ankara e Washington. Tra questi – il ruolo della Turchia nei conflitti in Libia, in Nagorno-Karabakh e in Siria, il sostegno alla Fratellanza Musulmana, lo stato delle relazioni con Israele, l’attivismo militare nel Mediterraneo orientale – quello che negli ultimi anni ha contribuito di più a rendere così difficile il rapporto tra i due attori è stato, secondo il ministro della Difesa turco, il sostegno americano alle milizie curde del YPG, molto vicine al PKK turco, fortemente ostili alla Turchia e contro le quali, peraltro, Erdogan ha recentemente dichiarato di voler intensificare l’azione militare. 

Una flotta in crisi

Qualora il Congresso e il Senato americani votassero contro la vendita degli F-16 e dei kit di modernizzazione ad Ankara, l’aeronautica turca si troverebbe in una situazione alquanto difficoltosa.

Le forze aeree turche possono contare oggi su circa 245 F16, molti dei quali, per poter continuare a volare, richiedono un aggiornamento. La Turchia, terzo utilizzatore al mondo di F-16 dopo USA e Israele, ha deciso di acquistare questi apparecchi negli anni ’80 – il primo modello di F-16 è entrato in servizio non meno di 43 anni fa – per cui molti dei suoi modelli appartengono ancora alla versione Block 30 del caccia, la più vecchia, mentre i più moderni appartengono alla versione Block 50. I caccia di Ankara poi, soprattutto a partire dallo scoppio della guerra in Siria, sono stati sottoposti a un impiego molto intenso, visto che sono stati impegnati a lungo nel pattugliamento dei confini, in maniera particolare lungo quello siriano, e a supporto delle forze turche a Idlib, nel 2020. A rendere lo stato delle forze aeree turche ancora più grave, poi, ha contribuito notevolmente la vera e propria epurazione di piloti condotta dal presidente Erdogan dopo il tentativo di putsch ai suoi danni nel luglio del 2016. 

L’espulsione dal programma F-35 ha dunque messo in stato di seria preoccupazione i vertici militari turchi, che hanno reagito in due modi. Innanzitutto, accelerando decisamente il programma TF-X, il progetto con cui Ankara mira a realizzare un caccia completamente turco di quinta generazione, per cui le Erdogan auspica l’entrata in servizio entro la fine di questa decade. Il programma, tuttavia, sembra stia andando incontro ad alcune notevoli difficoltà. Tra le principali figura il motore, per cui gli ingegneri turchi si erano rivolti alla Rolls Royce, grande costruttore di impianti propulsivi per caccia – tra l’altro, proprio la Rolls Royce è una delle aziende che realizza il motore F135, quello che viene montato sul caccia F-35 – senza tuttavia riuscire a trovare un accordo con l’azienda. Ad oggi, pare che i turchi si siano decisi a installare sul TF-X lo stesso motore del F-16. La seconda reazione, di cui si è già parlato, è stata quella di rivolgersi ai russi, con cui i turchi sembra stiano intavolando trattative per l’eventuale acquisto del caccia Su-35, di quarta generazione, e del caccia Su-57, considerato di quinta generazione. Cambiare linea di caccia, passando da una americana a una russa, risulterebbe sicuramente un processo alquanto costoso e non privo di rischi, ma Ankara potrebbe essere obbligata a farlo. 

Infine, a preoccupare ulteriormente i vertici militari di Ankara sono le flotte dei rivali regionali. Se infatti gli Emirati Arabi Uniti sembrano pronti a ricevere il caccia della Lockheed da parte di Washington, le forze di Israele già dispongono di questo velivolo, che hanno usato già più volte in operazione. Soprattutto, la Grecia, con cui i turchi sono ai ferri corti in Mediterraneo orientale, non solo aggiornerà a breve i suoi F-16, ma riceverà da Parigi i caccia Rafale. Ankara corre dunque il rischio di trovarsi circondata da Paesi ad essa ostili armati di velivoli più moderni dei suoi. 

Nonostante le apparenti buone intenzioni di Biden, sarà difficile che la Camera e il Congresso autorizzino la vendita degli F-16 ad Ankara. Diversi esponenti delle due camere si sono già espressi molto rigidamente a riguardo, dichiarandosi intenzionati a non rifornire la Turchia di alcun sistema d’arma americano fino a quando gli S-400 russi saranno presenti sul suolo turco. Eppure, l’eventuale rifiuto di Washington non sarebbe privo di conseguenze per gli interessi americani. Se infatti la Turchia dovesse rinunciare ad appoggiarsi agli Stati Uniti per rifornire la sua flotta, Ankara sarebbe costretta a rivolgersi a Mosca. Questa mossa rischierebbe quindi di gettare letteralmente la Turchia nelle braccia russe, con il rischio che, da quel momento in poi, Mosca scavalchi Washington nel ruolo di principale rifornitore dell’apparato militare turco. Le recenti dichiarazioni di Erdogan, che a settembre ha ventilato l’ipotesi di acquistare non solo altri S400, ma anche velivoli, motori e sottomarini da Mosca, lasciano pensare che questa ipotesi sembra tutt’altro che remota.

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