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NotizieEquilibrio di potenza nel Corno d'Africa

Equilibrio di potenza nel Corno d’Africa

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Collocato tra Mar Rosso e stretto di Bab al-Mandeb, il Corno d’Africa è un’area di circa 3,6 milioni di km2, con oltre 170 milioni di abitanti. La definizione di Corno d’Africa considerata è quella “classica” e comprende: Etiopia, Eritrea, Sudan, Gibuti e Somalia. L’accresciuto valore geopolitico e strategico dell’area ha portato a tensioni, alleanze e scontri tra le potenze regionali e i numerosi attori esterni. Dinamiche regionali e globali si compenetrano vicendevolmente determinando le gerarchie della regione.

Un egemone imperfetto

Dal 2001 l’Etiopia è stata in prima linea nella lotta al terrorismo nel Corno, imponendosi come security provider dell’area. Una proiezione esterna della propria forza militare che evidenzia l’idea etiope di essere circondati da nemici, ciò che gli studiosi hanno definito come Gragn Syndrome (richiamandosi agli eventi del XVI secolo). In risposta a questa costante percezione di minaccia si sono rafforzati alcuni aspetti dell’identità etiope (culla della vita, discendenza da Salomone, antichità dello Stato, vittoria di Adwa) che sono alla base di un nazionalismo esclusivo. La volontà etiope d’imporsi come leader regionale, si scontra però con le resistenze degli altri attori regionali, facendo dell’Etiopia l’egemone imperfetto del Corno: una potenza detentrice della superiorità economica e militare, ma la cui egemonia non è riconosciuta dai competitor della regione, soprattutto dal punto di vista ideologico.

Primo fra tutti l’Eritrea, che ha nell’Etiopia il proprio nemico per eccellenza, senza dimenticare le tensioni con Gibuti e i legami con le milizie somale. Nella narrazione politica del premier eritreo, Isaias Afewerki, l’Etiopia è stata la ragione del perenne stato d’emergenza a causa del quale: la costituzione non è mai entrata in vigore (assenza di diritti civili, di un parlamento e di un sistema giudiziario indipendente); l’economia, pesantemente condizionata da embargo, non è mai decollata; la leva militare obbligatoria è stata necessaria. Questa narrazione cessa bruscamente nell’estate 2018, quando Eritrea ed Etiopia firmano uno storico trattato di pace che pone fine alle dispute di confine e riapre le relazioni diplomatiche, culturali e commerciali tra i due paesi. Le motivazioni di questa pace sono da ricercare negli equilibri interni dei due Stati: l’eccessivo peso dell’embargo per l’Eritrea (rimosso dopo la pace con l’Etiopia); le missioni etiopi di peacekeeping in Sudan, Sud Sudan e Somalia ed i numerosi scontri interni hanno reso insostenibile il costo delle truppe al confine con l’Eritrea.

L’accordo siglato non ha lasciato indifferenti gli altri attori della regione, su tutti la Somalia che, una volta accantonate le passate guerre per la regione dell’Ogaden, proprio con Etiopia ed Eritrea lo scorso Settembre ha siglato il Joint High Level Committee. La speranza del primo ministro somalo, Mohamed Abdullahi, è quella di contrastare la nuova ondata di pirateria e rafforzare il controllo governativo sui territori che da oltre un decennio sono contesi con le milizie di Al- Shabaab, oggi divise tra quelle fedeli ad Al-Qaeda (Sud) e quelle di nuova generazione legate all’IS (Nord, Puntland).

Il primo ministro sudanese Omar al-Bashir, salito al potere nel 1989 con un colpo di stato militare, ha salutato con favore la pace tra Eritrea ed Etiopia, consolidando ulteriormente l’alleanza con quest’ultima con la firma dell’accordo sulla GERD (la diga della rinascita etiope). Il Sudan, a causa delle precarie condizioni economiche, sociali e sanitarie, è oggi scosso da violente proteste, represse con la forza. L’economia ha subito, e subisce, la perdita del Sud Sudan (2011), detentore delle maggiori riserve petrolifere. Nonostante la rimozione delle sanzioni internazionali, imposte per finanziamenti a gruppi terroristici, l’economia stenta a ripartire e il paese appare sempre più isolato.

Corno d’Africa e attori internazionali

L’influenza dei player esterni sui precari equilibri del Corno d’Africa è evidente nel caso di Gibuti. Il piccolo stato sul Mar Rosso (spesso in conflitto con gli altri attori regionali) è uno dei porti più importanti al mondo (vicinanza Yemen, ponte fra Africa, Asia ed Europa). Sono molti gli stati che hanno scelto di rimarcare la propria presenza con una base militare: la Francia, il Giappone, gli Stati Uniti d’America, l’Italia e la Cina.  L’obiettivo è di rendere sicuro il transito delle merci dallo stretto di Bab al-Mandeb (lotta alla pirateria), ma anche di evitare che un’unica potenza esterna possa prendere il sopravvento nella regione. Lungo questa scia si collocano le basi militari nate nel Corno negli ultimi anni: Mogadischu (Turchia), Suakin (Turchia e Qatar) Assab (Emirati Arabi Uniti). Il Corno d’Africa è terreno di confronto fra player di portata globale che influenzano le scelte politiche dell’area, determinando alleanze e divisioni che rispecchiano lo scacchiere geopolitico internazionale. Dal 2017, in seguito alle tensioni fra i paesi del golfo e la guerra in Yemen, assistiamo ad un riallineamento delle alleanze anche nel Corno. Somalia e Gibuti, dopo aver siglato accordi con la Turchia, impongono agli Emirati Arabi Uniti lo stop delle attività economiche e militari nei propri territori, con il plauso del Qatar, alleato della Turchia e del Sudan, e la disapprovazione dell’Arabia Saudita, alleato degli Emirati Arabi Uniti e dell’Eritrea. Di contro Sudan, Eritrea e Somalia si schierano come alleati dell’Arabia Saudita nella guerra in Yemen, mentre l’Etiopia, visti i legami con lo Yemen, ha una posizione più neutrale.

Oltre alle monarchie del Golfo ed alla Turchia, il riacceso interesse per la regione ha attirato la Cina e, con notevole ritardo, l’Unione Europea che hanno avviato numerosi investimenti per favorire la stabilità e la sicurezza dei traffici commerciali. La presenza simultanea di un numero così elevato di attori esterni, senza dimenticare gli Stati Uniti d’America, secondo alcuni esperti costituisce un ulteriore fattore di destabilizzazione per la regione.

È evidente che il Corno è un crocevia d’interessi geopolitici, economici e strategici, in cui i differenti attori aspirano a far prevalere la propria idea di stabilità dell’area. Assistiamo a un complesso gioco in cui le alleanze non sono mai stabili, ma sempre momentanee e aleatorie, dettate da interessi contingenti. In quest’ottica è ancor più chiaro come l’Etiopia sia un leader imperfetto che, fino all’ascesa politica dell’attuale premier Abiy Ahmed, non ha avuto la forza e la capacità di dirigere l’agenda della regione. L’equilibrio di potenza nel Corno d’Africa, a oggi, è caratterizzato dalla presenza di uno Stato con una volontà egemonica non riconosciuta e da attori regionali che, per assottigliare il gap con l’Etiopia, assorbono e sfruttano di volta in volta le tensioni che i player globali proiettano sulla regione.

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