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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaGli Emirati Arabi Uniti negli Accordi di Abramo

Gli Emirati Arabi Uniti negli Accordi di Abramo

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Tra gli anni ’70 e gli anni ’90, i monarchi del Golfo sono stati impegnati in quella che si può definire una vera e propria competizione pubblica a chi sosteneva maggiormente la causa palestinese, legata alla formazione di un’identità politica autonoma araba e islamica (Zahlan, 2009). Allo scoppio della Guerra dello Yom Kippur nel 1973, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti applicarono un embargo sulla vendita del petrolio agli Stati Uniti e ai suoi alleati europei, affinché questi imponessero a Israele il ritiro dai Territori occupati e la creazione di uno Stato palestinese.

Parte degli introiti del petrolio vennero reinvestiti nel mantenimento dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e nel sostegno diretto alla popolazione palestinese. Sheikh Zayed bin Sultan al-Nahyan – leader degli EAU dal 1971 al 2004 e padre dell’attuale leader di fatto Mohammad bin Zayed – emerse tra i più generosi benefattori e tra gli anni ’70 e gli anni ’80 le donazioni dagli EAU alla Palestina ammontavano a circa 20 miliardi di dollari (The Guardian, 2004). Questa fase s’interruppe con la Prima Guerra del Golfo, quando l’OLP scelse di sostenere l’Iraq di Saddam Hussein nonostante la sua invasione del Kuwait e la minaccia verso le altre monarchie. Fu in quegli anni che le monarchie del Golfo ricalibrarono le proprie posizioni nel conflitto israelo-palestinese in senso più pragmatico. Dopo aver sostenuto gli Accordi di Oslo del 1993, si aprirono i primi canali ufficiali (e ufficiosi) con Tel Aviv. Negli EAU, l’emirato di Dubai iniziò a intessere proficui contatti commerciali con compagnie israeliane (Ulrichsen, 2014).

I fattori dietro all’avvicinamento tra Israele ed Emirati

Dagli Accordi di Oslo del 1993 alla firma degli Accordi di Abramo nel 2020, una serie di fattori di lungo, medio e breve periodo hanno avvicinato gli EAU ad Israele. Il fattore più significativo è da individuarsi nel trend sistemico e di lungo periodo rappresentato dall’arretramento strategico degli Stati Uniti dalla regione del Medio Oriente allargato (Hokayem e Wasser, 2014). Avvicinarsi ad Israele, diventava così un modo per beneficiare del sostegno israeliano a Washington e tentare di mantenere vivo l’interesse statunitense verso priorità emiratine. Per fronteggiare il disimpegno americano, Abu Dhabi ha diversificato le proprie alleanze internazionali, a favore di Russia, Cina, Francia. A livello regionale, però, Abu Dhabi può contare solo su Egitto ed Arabia Saudita. Espandere il cerchio ad Israele – un Paese con capacità formidabili ed accesso preferenziale a tecnologie e strategie NATO – può fare la differenza (Interviste dell’autore a diplomatici emiratini, 2020). 

Accanto a questi trend sistemici, alla base degli Accordi di Abramo si trovano anche fattori di medio periodo, da individuare nella graduale convergenza delle percezioni di geopolitica e sicurezza tra Israele ed EAU, che vede entrambi identificare l’Iran e la Turchia come rivali geopolitici, sebbene con diverse intensità e ordini di priorità (Clive e Guzansky, 2020). Tanto per cominciare, fin dagli anni ’80 l’influenza iraniana in Libano, tramite Hezbollah, e in Siria, tramite il regime di Bashar al-Assad, è stata problematica tanto per Israele quanto per le monarchie del Golfo. Il quadro precipitò ulteriormente dopo che l’intervento americano in Iraq del 2003 aprì le porte del Paese a partiti e gruppi armati filo-iraniani. Veniva a crearsi così la cosiddetta “Mezzaluna Sciita”, un arco d’influenza geopolitica iraniana – proprio a cavallo tra Israele e monarchie del Golfo – attraverso Iraq, Siria e Libano. Per questo gli emiratini sostenevano la campagna israeliana di raid aerei contro obiettivi iraniani, siriani e di Hezbollah nelle alture del Golan dopo il 2011. Ma se qualcosa ha consolidato l’allineamento tra israeliani ed emiratini (e sauditi), questo è sicuramente stato l’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA). Israele, Arabia Saudita ed EAU hanno sempre visto il JCPOA come un completamento del crescente disimpegno americano dalla regione e quasi un incentivo politico ed economico per Teheran a consolidare la propria influenza regionale (Fulton e Yellinek, 2021). Dal 2015 iniziava, dietro le quinte, un timido coordinamento a tre, di intelligence come di lobbying internazionale, sul dossier iraniano (Ulrichsen, 2020). Inoltre, dal punto di vista emiratino, rafforzare le relazioni con Israele poteva essere elemento fondamentale della strategia per contenere la politica regionale assertiva della Turchia (Aydıntaşbaş e Bianco, 2021). Durante le Primavere Arabe del 2011, gli Emirati Arabi Uniti si trovavano sulle stesse posizioni di Israele, per via dei timori legati all’avanzata dei Fratelli Musulmani, di cui Hamas è considerata parte integrante, sostenuti da Qatar e Turchia, dove il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan (AKP) è legato al movimento islamista. Proprio con la comune ostilità verso Hamas si spiegano incontri e coordinamento tra ufficiali dei servizi segreti israeliani, egiziani, sauditi ed emiratini durante l’escalation del 2014 a Gaza (Guzansky, 2017). Ma erano il disegno neo-ottomano e la dottrina di geopolitica marittima Mavi Vatan di estensione dell’influenza turca costiera dal Nord Africa al Medio Oriente, passando per il Corno d’Africa, a rappresentare la vera minaccia per i rivali emiratini di Ankara. Tra tutti i teatri di scontro, il Mediterraneo orientale è quello in cui Abu Dhabi e Tel Aviv hanno fatto maggiormente fronte comune in funzione anti-turca, cooperando in tutti gli ambiti legati al teatro: dalla politica, alla difesa, alle infrastrutture critiche e strategiche, all’energia (Aydıntaşbaş e Bianco, 2021). A partire dal 2019, gli EAU hanno intensificato le relazioni con Paesi come la Grecia o Cipro, con cui Abu Dhabi ha firmato accordi di difesa, ma anche con Israele, condividendo importanti esercitazioni militari. Sotto egida greca, Tel Aviv a Abu Dhabi hanno avuto opportunità di coordinamento politico durante il Forum Philia. Molti dei progetti bilaterali in corso, analizzati di seguito, sono legati allo stesso spazio geopolitico.

Infine, fattori estemporanei, piuttosto legati alla dimensione bilaterale o domestica, hanno favorito la convergenza israelo-emiratina. Uno di essi è la congiuntura di politica interna statunitense che ha visto un’amministrazione, quella di Donald Trump (2016-2020), non convenzionale e disposta ad investire in modo eccezionale sulla normalizzazione tra i due Paesi (Bianco, 2018). Già nel 2017 l’allora Presidente Trump aveva chiamato a raccolta Mohammad bin Zayed e il giovane Principe Ereditario saudita Mohammad bin Salman, assicurandosi il loro impegno a creare un consenso arabo e islamico attorno all’ “Accordo del Secolo”: un accordo che avrebbe dovuto mettere fine al conflitto israelo-palestinese. Di fronte alle resistenze di interlocutori come l’Autorità Palestinese (AP) e la Giordania, che consideravano l’accordo troppo sfacciatamente pro-Israele, l’amministrazione Trump ripiegava le proprie pressioni proprio su Abu Dhabi e Riad e chiedeva loro di normalizzare i rapporti con Tel Aviv, consegnando a Washington una significativa vittoria diplomatica (Bianco e Lovatt, 2020). Tra gli incentivi che Trump era disposto a fornire, vi era l’autorizzazione preliminare alla vendita di 50 jet da combattimento F-35 e fino a 18 droni MQ-9. Inoltre, per gli EAU gli Accordi Abramo sono anche un’opportunità per creare collaborazioni, scambi e joint venture con Israele che è un piccolo Stato e allo stesso tempo una potenza militare, tecnologica, scientifica e politica, gli stessi obiettivi su cui lavorano gli emiratini (Interviste dell’autore a diplomatici emiratini, 2020).

Ad un anno dagli Accordi di Abramo: un bilancio dei progetti in corso

Dal punto di vista emiratino, la cooperazione con Israele può presentare molti benefici su dossier prioritari, che emergono dai progetti messi in moto dal 2020. Ad esempio, durante la visita del Ministro israeliano per l’Energia negli EAU a dicembre 2020, si è facilitata la firma di un accordo di acquisizione del 22 per cento nel giacimento offshore israeliano Tamar da parte della compagnia statale emiratina Mubadala Petroleum (Reuters, 2021). L’accordo, che vale circa 1,1 miliardi di dollari, sancisce il tandem israelo-emiratino nella partita energetica del Mediterraneo orientale. Sempre nel campo energetico, l’israeliana AF Entrepreneurship ha firmato un accordo con l’emiratina National Holding per la costituzione di una joint venture, MED-RED Land Bridge, che progetta di costruire nuove infrastrutture energetiche per permettere agli EAU di esportare energia in Europa, attraverso i porti israeliani di Eilat e di Ashkelon, by-passando il Canale di Suez (Meliksetian, 2021). Quest’accordo, ad alto potenziale strategico, è stato messo in pausa a luglio 2021 a causa di rischi d’impatto ambientale, ma potrebbe riprendere nel 2022. Nello stesso periodo l’operatore logistico emiratino Dubai Ports World (DP World) ha partecipato, insieme all’israeliana Shipyards Industries, al bando per la gestione del porto di Haifa (Levingston e Ersoy, 2021). A gennaio l’offerta di DP World ha fatto passi avanti verso la vittoria dell’appalto, mentre il suo principale competitor, la turca Yildirim, è stata parzialmente bloccata (non a caso) dai controlli di sicurezza delle autorità israeliane. Se l’affare si concludesse, la compagnia emiratina estenderebbe ulteriormente la propria presenza nei teatri marittimi contesi di Mar Rosso e Mediterraneo – dove già gestisce il porto cipriota di Limassol, ed altri in Libia orientale ed Egitto – andando a consolidare un network di primo livello. Un altro settore cruciale per le relazioni bilaterali è la difesa, inclusa quella cyber. Aziende israeliane già collaborano con le controparti emiratine su tecnologie di cyber-security sia offensive che difensive, per proteggere settori strategici da crescenti attacchi informatici, oltre che monitorare le attività di gruppi jihadisti e oppositori politici (Zilber, 2019). A marzo 2021 poi, l’emiratina EDGE e l’israeliana Aerospace Industries hanno annunciato un progetto comune per sviluppare un sistema anti-drone automatico che potrebbe seriamente ribaltare l’equilibrio miliare regionale (Soliman, 2021). Sempre nel campo della tecnologia, l’israeliana Watergen, che ricava acqua potabile dall’aria, ha firmato un accordo con l’emiratina Baynunah per la fondazione di un programma di ricerca sulla scarsità d’acqua (Barak, 2021). Sviluppi interessanti si sono visti anche nel campo biomedico: l’azienda di Haifa Pluristem Therapeutics coopera con la Abu Dhabi Stem Cells Center su terapie con cellule staminali, anche per sviluppare trattamenti pe il Covid-19, mentre lo Sheba Medical Center sta esplorando opportunità di collaborazione sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale in medicina. (Barak, 2021)

Possibili scenari per le relazioni israelo-emiratine

Davanti a tutte queste convergenze, un vantaggio del governo emiratino è la sostanziale assenza di rischi interni da considerare nel processo di normalizzazione (Bianco e Lovatt, 2020). Sul piano istituzionale, l’emirato di Abu Dhabi mantiene un saldo controllo sulla politica estera del Paese, mentre a livello popolare, i cittadini emiratini rimangono tradizionalmente poco politicizzati e, anche grazie alle tecnologie israeliane di cyber-surveillance, sotto l’occhio vigile delle autorità. Sembra dunque improbabile che l’opposizione interna possa ostacolare i progetti bilaterali legati agli Accordi di Abramo anche in presenza di ulteriori escalation in Terra Santa. Una dimostrazione è stata la reazione emiratina agli scontri del 2021: Abu Dhabi ha stigmatizzato i raid israeliani su Gaza e, soprattutto, l’irruzione di forza di curvezza israeliana alla moschea sacra di al-Aqsa, ma ha giustificato la necessità israeliana di proteggersi da Hamas (Oxford Analytics, 2021). Tuttavia, quegli eventi hanno dimostrato come gli Accordi di Abramo non abbiano conferito leva negoziale agli EAU sulla questione israelo-palestinese. Di fatto, gli Emirati non sono riusciti ad influire sulle operazioni israeliane a Gaza. Questo ha ulteriormente indebolito la credibilità di Abu Dhabi con i palestinesi, già seriamente scalfita dagli Accordi di Abramo, ma non ha avuto ripercussioni sostanziali sull’opinione pubblica emiratina. 

Anche gli altri fattori che hanno incoraggiato gli Accordi di Abramo, quelli di lungo e di medio termine, non dovrebbero mostrare sostanziali sconvolgimenti. Tutto sembra indicare che il disimpegno americano dal Medio Oriente sia destinato a proseguire ed intensificarsi (Bertrand e Seligman, 2021; Interviste dell’autore a funzionario del National Security Council, 2021). Nonostante un allentamento delle tensioni e i tentativi di dialogo nel 2021 tra Turchia ed Israele, EAU e Turchia ed Iran e EAU, questi per ora sono più da ricondursi ad una pausa strategica che ad un processo costruttivo e sostenibile nel tempo (Aydıntaşbaş e Bianco, 2021). Le elezioni presidenziali turche del 2023, quelle statunitensi nel 2024 e il futuro del JCPOA sono tutti elementi che potrebbero rimescolare le carte in tavola. In questo quadro, la percezione emiratina ed israeliana è che preservare le relazioni bilaterali sia la scelta più sensata.   

I possibili scenari futuri della normalizzazione tra EAU e Israele parlano di vaste ambizioni, e riguardano anche l’Italia e l’Europa (Interviste dell’autore a diplomatici emiratini, 2020). Questo è soprattutto vero se si pensa alla questione dell’interconnettività tra Penisola Arabica e Mediterraneo, e le sue declinazioni nel campo delle infrastrutture energetiche e digitali, delle rotte commerciali, della catena del valore industriale e oltre. Una su tutte, il cavo sottomarino Blue Raman, che collega direttamente Italia ed Asia attraverso Israele e Golfo – che verrà in parte gestito da Sparkle, controllata di Telecom Italia – è un progetto rivoluzionario nel campo delle infrastrutture digitali. 

I buoni rapporti tra Israele e Golfo perciò riguardano il Mediterraneo direttamente ed in senso positivo, ma resta la necessità di trattare il conflitto israelo-palestinese con sensibilità, principi ed equilibrio, senza un ruolo di primo piano dei monarchi del Golfo come mediatori, e di affrontare con cautela e consapevolezza le convergenze anti-turche ed anti-iraniane del fronte Israele-Golfo. 

Cinzia Bianco,
Gulf Research Fellow European Council on Foreign Relations 

Riferimenti bibliografici

Aydıntaşbaş, A., e Bianco C. (2021). Useful enemies: How the Turkey-UAE rivalry is remaking the Middle East. European Council on Foreign Relations (https://bit.ly/3zog8lg).

Barak, N. (2021). The 22 most interesting Israel-UAE agreements of the year. in Israel21c.org (https://bit.ly/3ESRiuP).

Bertrand, N. e Seligman L. (2021). Biden deprioritizes the Middle East. in politico.com (https://politi.co/31tiUJy).

Bianco, C. (2018). Israele – Arabia Saudita – Emirati: strano triangolo all’ombra di Trump. in Limes 9/18 (https://bit.ly/3zmmAZU).

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Clive J. e Guzansky Y. (2020). Fraternal enemies: Israel and the Gulf monarchies. Oxford: Oxford University Press.

Fulton, J., e Yellinek R. (2021). UAE-Israel diplomatic normalization: a response to a turbulent Middle East region. Comparative Strategy 40 (5).

Guzansky, Y. (2017). The Gulf States, Israel, and Hamas. Tel Aviv: Institute for National Security Studies.

Hokayem, E. e Wasser B. (2014). The Gulf States in an Era of American Retrenchment. Adelphi Papers 54: 447-448.

Levingston, I. e Ersoy, E. (2021). DP World advances in Israel port bid as Turkish firm faces check, Ajot.

Meliksetian, V. (2021). UAE And Israel Look to Forge Energy Ties Through New Pipeline. in Oil Price.com (https://bit.ly/32Ly7WU).

Oxford Analytica (2021). Emirati-Israeli ties will warm up fast, despite Gaza. Expert Briefings (https://bit.ly/3JETqtT).

Reuters (2021). UAE’s Mubadala in talks to buy $1.1 bln stake in Israeli gas field. in reuters.com (https://reut.rs/3qO35pb).

Soliman, M. (2021). How tech is cementing UAE-Israel alliance. Middle East Institute (https://bit.ly/3zoERWq).

The Guardian (2004). Sheikh Zayed bin Sultan Al Nahyan: Progressive Arab leader and friend of Palestine and the west. in theguardian.com (https://bit.ly/3HzRIbe).

Ulrichsen, K. (2014). The Gulf States and Israeli-Palestinian Conflict Resolution. Baker Institute.

Ulrichsen, K. (2020). The Gulf States and the Middle East Peace Process; Considerations, Stakes and Options. Baker Institute.

Zahlan, R. (2009). Palestine and the Gulf States: the presence at the table. London: Routledge.

Zilber, N. (2019). Gulf Cyber Cooperation with Israel: Balancing Risks and Threats. The Washington Institute.

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