Il leader di lunga data del Montenegro, Milo Đukanović, ha subito una clamorosa sconfitta al ballottaggio delle elezioni presidenziali del marzo scorso, dopo essere stato al potere come primo ministro o presidente quasi ininterrottamente dal 1991. A sconfiggerlo è stato Jakov Milatović, un economista 37enne che ha studiato a Oxford. Il Paese sembra aver messo il turbo per un percorso di progresso e sviluppo molto accelerato, ma la realtà è ben più complessa per il piccolo Paese balcanico, membro NATO, che è comunque costretto a fare i conti con vicini ingombranti e una storia complessa che inevitabilmente vive della luce riflessa del contesto internazionale.
Parlando in tarda serata ai suoi sostenitori nel quartier generale del suo Partito democratico dei socialisti (Dps) a Podgorica, Đukanović ha detto che “fino al 21 maggio mi impegnerò a concludere al meglio il mio lavoro. Auguro successo al nuovo presidente, che possa portare prosperità al nostro Paese”. Il presidente uscente ha poi augurato al suo successore un mandato positivo e pieno di successi. “Ciò vorrà dire che ad avere successo sarà l’intero Montenegro”, ringraziando tutti coloro che gli hanno dato ancora fiducia votando per lui.
Di ben altro tenore le dichiarazioni del neo-eletto capo dello Stato, l’énfant prodige Milatović che ha già lavorato come ministro dell’Economia prima di intraprendere la marcia solitaria. “Una notte che aspettavamo da oltre trent’anni”: queste le sue prime parole davanti ai sostenitori nella sede del suo ‘Movimento Europa ora’ (Pes), aggiungendo che con la sua storica vittoria il Montenegro ha compiuto un grande passo avanti verso il progresso, la stabilità e l’integrazione europea. “Nei prossimi cinque anni porteremo il Paese nell’Unione europea. Vogliamo avere i migliori rapporti possibili con i paesi dei Balcani occidentali, ma vogliamo anche occuparci dello stato di diritto, dell’economia e dell’integrazione europea. Queste sono le nostre priorità”, ha affermato il capo dello Stato in pectore, acclamato dai suoi sostenitori.
Milatović ha condotto una campagna su una piattaforma pro-UE e anticorruzione, e ha ottenuto circa il 60% dei voti nel ballottaggio. Sebbene il ruolo presidenziale sia principalmente una posizione cerimoniale in Montenegro, dove la maggior parte del potere politico spetta al primo ministro, i risultati del secondo turno dovrebbero aumentare le possibilità del partito vincente nelle prossime elezioni parlamentari anticipate di giugno. Đukanović ha accusato l’attuale governo – di cui faceva parte Milatović – di ospitare elementi filo-serbi e filo-russi, cosa che egli nega. Il Montenegro è stato impantanato nell’instabilità politica, in particolare lo scorso anno, quando il governo è crollato a causa di un controverso accordo con la Chiesa ortodossa serba. Đukanović era un alleato del leader serbo Slobodan Milošević, per poi rompere nel 1997 per disaccordi sull’isolamento internazionale del Paese.
Per le elezioni parlamentari Milatović ha promesso soprattutto di contribuire a frenare la corruzione, migliorare il tenore di vita e rafforzare i legami con l’Unione europea e la vicina Serbia. Ma non si può trascurare il sostegno a Pes di partiti vicini a Serbia, Russia e Chiesa ortodossa, che nelle cancellerie occidentali sono viste con grande sospetto. Per Milatović non sarà un compito semplice accreditarsi come volto nuovo e affidabile di un Paese che a livello politico ha visto un solo dominatore. Đukanovic era il primo ministro più giovane d’Europa quando prese il potere all’età di 29 anni nel 1991 – l’inizio del crollo della Jugoslavia. Ha portato il Montenegro all’indipendenza dalla Serbia nel 2006, e sotto la sua guida il Paese è entrato a far parte della NATO – una mossa che ha sconvolto la Russia – e ha avviato il processo di negoziazione per l’adesione all’Unione europea. Al netto di quanti lo hanno votato solo in funzione anti-Đukanovic, Milatović è consapevole che lo aspetta un compito delicato di equilibratore fra le diverse e numerose forze per un piccolo Paese, in attesa che il voto politico di giugno possa consegnare un altro quadro di cambiamento, nel solco della continuità e della stabilità.