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Elezioni in Kenya: William Ruto eletto presidente. Elementi di rottura e continuità con il passato

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Lo scorso 9 agosto si sono svolte, per la settima volta dal 1992, le elezioni generali in Kenya. I temi economici sono stati al centro della campagna elettorale, che ha visto come frontrunners Raila Odinga, quattro volte candidato alla presidenza, ex Primo Ministro e leader dell’Orange Democratic Movement e l’attuale vice-presidente, William Ruto, leader della United Democratic Alliance. Con il 50.5% dei voti, Ruto è riuscito ad avere la meglio, diventando il quinto presidente del Kenya. Al centro del suo programma, la riduzione della disoccupazione giovanile e la promozione dell’accesso nel mercato del lavoro della popolazione più svantaggiata. Promesse elettorali che dovranno tradursi in politiche economiche e sociali, a fronte di un contesto nazionale e internazionale non privo di sfide.

I temi economici al centro della campagna elettorale (e della presidenza)

Durante la campagna elettorale, l’economia è stata al centro del dibattito. Con un tasso medio di crescita del 4,7% (nel periodo compreso tra il 2010 e il 2021), il Kenya resta una delle economie piu’ dinamiche del continente africano. Tale successo è dovuto agli investimenti nei settori agricolo e manifatturiero (il Kenya è il quarto produttore mondiale di fiori e terzo esportatore mondiale di té); investimenti nelle infrastrutture strategiche (porti, aeroporti, strade) e nel settore immobiliare; investimenti nei settori tecnologici, come quello bancario e delle telecomunicazioni; investimenti nel settore turistico (soprattutto nella fascia costiera e nei parchi nazionali).

A frenare i tassi di crescita, è intervenuta la crisi Ucraina che ha portato a un forte aumento dei prezzi del carburante (trasporti ed agricoltura) e, di conseguenza, dei principali beni alimentari. Secondo l’ultimo rapporto congiunto WFP/FAO, il Kenya è entrato, per la prima volta, nella categoria di paesi ad alto rischio (high concern), con 3,5 milioni di persone in situazione di insicurezza alimentare (il 7% circa della popolazione totale). A ciò si aggiunga il fatto che il Kenya è fortemente dipendente dalle importazioni dei principali beni alimentari. Su tale punto, il neo-eletto presidente Ruto ha piuttosto posto l’accento sui problemi strutturali endogeni del paese piuttosto che su quelli esogeni (guerra Ucraina). Negli  anni a venire le politiche di sviluppo del paese non potranno prescindere dalla questione della sicurezza alimentare.

Dinamiche politiche: dallo spartiacque del 2007-2008 al reapprochment tra Kenyatta e Odinga. La questione etnica nella politica kenyana

Ma per cercare di comprendere le dinamiche politiche attuali, è necessario un rimando ad uno degli eventi che più hanno segnato la politica kenyana: le elezioni del 2007-2008 tra l’allora presidente Kibaki e l’allora leader di opposizione Odinga. A fronte di brogli elettorali denunciati da quest’ultimo, vi furono una serie di violenze, trasformatesi poi in attacchi etnici, tra i sostenitori delle due parti che causarono più di 1.000 morti. Gli scontri si conclusero nel febbraio 2008 portando alla formazione di un governo di unità nazionale che comprendeva Kibaki, Odinga e le loro rispettive coalizioni. Tale periodo portò alla promulgazione, nel 2010, della nuova costituzione kenyana, che apporto’ modifiche al sistema elettorale (che hanno regolato le attuali elezioni) e al processo di devoluzione amministrativa (uno dei temi al centro del dibattito durante la campagna elettorale).

Il 2018 rappresenta un altro spartiacque importante. Ad un anno dalle elezioni del 2017, che portarono con loro una serie di violente proteste, vi fu lo storico riavvicinamento tra l’allora neo-eletto presidente Uhuru Kenyatta e il suo rivale, Raila Odinga, nel famoso incontro del marzo 2018 conosciuto come ‘the handshake’. A tale incontro segui’ la Building Bridges Initiative (BBI) che prevedeva una serie di revisioni costituzionali e legislative che alteravano profondamente la costituzione del 2010, consentendo, tra l’altro, a Kenyatta di rimanere al potere come primo ministro (non potendo correre per una terza volta alle presidenziali). Tale accordo, che presupponeva l’appoggio di Kenyatta a Odinga come suo successore, a discapito del vice presidente Ruto, ha trovato la forte opposizione di quest’ultimo, nonche’ della Corte Suprema che ha dichiarato illegale l’accordo. Durante le elezioni dello scorso 9 agosto, il presidente Kenyatta ha cosi’ ribadito il suo appoggio allo storico rivale Odinga, decretando ufficialmente la spaccatura con Ruto.

Altro elemento che ha caratterizzato, fin dall’indipendenza, la politica kenyana è quello etnico. Dei 111 gruppi riconosciuti dalla costituzione, cinque (i c.d. Big Five) hanno dominato la scena politica kenyana: i Kikuyu (22% della popolazione), i Luhya (14%), i Kalenjin (13%), i Luo (11%) e i Kamba (10%). In particolare, il paese è sempre stato governato da personalità appartenenti alle etnie Kikuyu (Jomo e Uhuru Kenyatta, e Kibaki) e Kalenjin (Daniel arap Moi e, adesso, Ruto). In quest’ottica, la vittoria di Ruto si pone in sostanziale continuità rispetto al passato.

La proiezione geopolitica regionale del Kenya: il Corno d’Africa e la East African Community (EAC)

Durante la campagna elettorale, il tema sul quale non vi sono state divergenze significative tra i due candidati è stata la politica estera. Entrambi hanno scelto un approccio panafricano fondato sul non allineamento, sul rispetto dell’integrità territoriale, sulla coesistenza pacifica e sulla diplomazia economica e commerciale. Tale approccio sarà declinato, dal neo-eletto presidente, nei due spazi geopolitici regionali all’interno dei quali il Kenya si muove: il Corno d’Africa e la Comunità dell’Africa Orientale. 

Negli ultimi anni, il Corno d’Africa è stato interessato da un’escalation di tensioni politiche – la crisi del Tigray in Etiopia e l’instabilità politica in Somalia, su tutte – che hanno contribuito al deterioramento della sicurezza alimentare nell’intera regione (attualmente in cima all’agenda politica in Kenya). La situazione è aggravata dal dilagante conflitto sull’accaparramento delle risorse naturali (in primis l’acqua), reso ancor più problematico dalla siccità, che continua a registrare livelli record. Le pressioni regionali si riverberano sulle questioni interne al Kenya, che dovrà far fronte al calo della produttività agricola e a quello degli investimenti nelle infrastrutture rurali.

La Comunità dell’Africa orientale (East African Community) rappresenta un’unione economica che comprende Kenya, Tanzania, Uganda, Rwanda, Burundi, Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo (recentemente entrata nella Comunità, è considerato come uno dei successi principali di Kenyatta). Il rapporto con l’Uganda (primo partner commerciale del Kenya) è stato caratterizzato da forti attriti politici ed economici, esacerbati, sotto la presidenza Kenyatta dell’EAC, dalla presunta alleanza di Ruto con il Movimento di Resistenza Nazionale (National Resistance Movement) al governo in Uganda. Anche le relazioni con la Tanzania (il secondo partner commerciale del Kenya dopo l’Uganda) sono peggiorate sotto la presidenza Kenyatta, e hanno portato a guerre commerciali tra i due paesi e a restrizioni all’ingresso dei rispettivi cittadini durante il periodo pandemico. Questi i due dossier principali (e problematici) che Ruto si troverà ad affrontare nei prossimi anni.

Il neo-eletto presidente dovrà così garantire continuità nelle relazioni del Kenya con gli stati dell’EAC e del Corno d’Africa, continuando a sostenere i processi di pace in Sud Sudan, Etiopia e Ruanda/RDC, a investire in infrastrutture transnazionali che colleghino il Kenya e gli stati della regione, e a rafforzare il mercato comune dell’EAC attraverso l’eliminazione delle barriere non tariffarie che continuano a limitare il commercio tra i paesi membri.

Le opinioni espresse nell’articolo non rispecchiano necessariamente quelle dell’Agenzia Italia per la Cooperazione allo Sviluppo.

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