Sabato nella Repubblica d’Irlanda si sono svolte le elezioni per il Parlamento, a seguito delle dimissioni del Premier (in gaelico Taoiseach) Varadkar, al governo dal 2016 con un esecutivo di minoranza. La tornata elettorale di sabato è stata necessaria proprio perchè quest’ultimo, lo scorso gennaio, ha richiesto al Presidente della Repubblica, Higgins, di sciogliere la Dail Eireann, la camera bassa.
Innanzitutto vanno ricordate le modalità del sistema elettorale irlandese, il quale prevede il voto singolo trasferibile (STV) e che permette all’elettore di distribuire più di una preferenza, ordinando e numerando i candidati direttamente sulla scheda elettorale.
Anche grazie a questo sistema è dagli anni Trenta del Novecento che nella Repubblica d’Irlanda il potere è stato retto dai due principali partiti di centrodestra, il Fine Gael ed il Fianna Fail. Anche se rientrano nella stessa sfera politica, entrambi europeisti e conservatori, essi sono storicamente rivali dai tempi delle lotte per l’indipendenza dal Regno Unito. Questi due partiti si sono divisi le cariche politiche maggiori per circa un secolo, non avendo altre grandi formazioni ad ostacolarli.
I risultati, che hanno di fatto confermato gli esiti dei vari sondaggi pre-elezioni e gli exit poll, si possono definire storici. Il vero vincitore è senza dubbio lo Sinn Féin, con il 24,5%, seguono il Fianna Fail con il 22,2% e il Fine Gael con il 20,9%. Gli Indipendenti, in calo, si fermano al 12,2%.
Le percentuali del voto non saranno però proporzionali al numero di seggi guadagnati dai singoli partiti, proprio a causa del sistema elettorale delle preferenze. Il primo partito per numero di deputati sarà il Fianna Fail con 38, lo Sinn Féin ne prende 37 mentre il Fine Gael 35. Seguono, distaccati, gli indipendenti con 19, i Verdi con 12, i Laburisti e i Socialdemocratici con 6.
Lo Sinn Féin, formazione che ai tempi dei Troubles nord irlandesi era a tutti gli effetti il braccio politico dell’IRA (Irish Republican Army), l’organizzazione paramilitare che ha lottato per l’indipendenza, è diventato il partito più votato del Paese. Una crescita, rispetto alle ultime elezioni del 2016, di circa 10 punti percentuali. Da notare che lo Sinn Fein si presenta con lo stesso simbolo e apparato anche in Irlanda del Nord, dove ovviamente è sempre stato in prima fila per la riunificazione dell’isola.
Un partito che, ormai evidentemente, non si può più definire solamente nazionalista e di sinistra, anche perchè soprattutto negli ultimi anni ha attuato al suo interno un vero e proprio restyling che gli ha permesso di intercettare i voti dei più giovani, i quali non hanno vissuto in prima persona gli anni della vera e propria guerra. Dopo la morte di Martin McGuinness nel 2017, anche l’altro storico leader del partito Gerry Adams, con un forte passato nell’IRA, è uscito di scena dimettendosi e sostituito dalla cinquantenne Mary Lou McDonald.
Un desiderio di slegarsi il più possibile dalle immagini e dalle figure della lotta armata che ha insanguinato per decenni l’isola irlandese e tutto il Regno Unito. Senza però dimenticare l’obiettivo principale per il partito, ovvero la riunificazione del Paese con l’Irlanda del Nord, vero e proprio cavallo di battaglia. Lo Sinn Féin ha promesso infatti di portare avanti questa battaglia e di proporre un “border poll”, un referendum, nei prossimi cinque anni.
Uno dei due partiti storici, il Fine Gael dell’uscente Varadkar e il Fianna Fail di Michael Martin (se non entrambi), potrebbe rimanere totalmente fuori dal governo. Varadkar è stato il più giovane Taoiseach dell’Irlanda, guidando un governo che si poggiava sostanzialmente sull’astensione dei rappresentanti del Fianna Fail; nonostante il buon lavoro svolto durante il processo della Brexit, infatti Varadkar ha perso di popolarità e tra le formazioni politiche irlandesi il suo Fine Gael è quello più in difficoltà, avendo perso rispetto alle scorse elezioni 4,7 punti percentuali.
Non c’è dubbio che il lungo processo della Brexit abbia influenzato, e non poco, il voto di sabato, ma sarebbe riduttivo ricondurlo semplicemente ad esso. Lo Sinn Féin infatti è riuscito a rappresentare tutti i delusi e gli stanchi del sistema bipartitico irlandese. Nonostante l’indubbia crescita economica del Paese e la disoccupazione bassisima, i problemi interni emergono in maniera significativa: la sanità, con infinite liste di attesa, e l’emergenza abitativa, dovuta al caro prezzi degli affitti, sono una piaga per la Repubblica d’Irlanda. Basta fare un giro per le principali città irlandesi per capirlo, i senzatetto aumentano a vista d’occhio e sono in maggioranza irlandesi che non possono permettersi una casa.
La vittoria dello Sinn Féin potrebbe portare ad una vera e propria rottura del sistema politico irlandese. E’ curioso il fatto che, verosimilmente, un così grande successo e riscontro non se lo aspettassero neanche gli stessi dirigenti dello Sinn Féin, visto che i candidati presentati sono stati solamente 42, a fronte degli 81 seggi necessari per una maggioranza. Ma adesso riuscire a tenere fuori i 37 deputati Sinn Fèin, da un nuovo esecutivo, sarà piuttosto complicato.
Nonostante sia il Fine Gael sia il Fianna Fail abbiano alla vigilia della tornata elettorale, negato la possibilità di governare insieme allo Sinn Féin, la leader di quest’ultimo, McDonald, ha subito annunciato la volontà di iniziare a dialogare con tutti gli altri partiti, tra cui anche i Verdi, partito con circa il 7,1%, per riuscire a formare un esecutivo senza gli storici partiti conservatori. Martin del Fianna Fail, visti i risultati, ha timidamente riaperto alla possibilità di negoziazioni.
Anche se ciò non dovesse accadere, e quindi lo Sinn Féin si ritrovasse nuovamente fuori dalla maggioranza, il risultato elettorale non potrà non essere preso in considerazione, essendo la prima forza del Paese, e quindi con una folta e nutrita rappresentanza in Parlamento. I temi della sanità, del caro vita e soprattutto della possibile riunificazione della Repubblica con la regione dell’Ulster, sarebbero sicuramente all’ordine del giorno e affrontati in maniera diversa rispetto a quanto fatto finora.
Sicuramente ciò che emerge da queste elezioni è un paese frammentato, e la formazione (e la vita) di un nuovo governo sarà molto difficile. Il futuro politico è quanto mai incerto ma la cosa sicura è gli elettori hanno dato un forte messaggio a tutti i partiti, qualcosa da cambiare c’è e va fatto nel miglior modo possibile.