Il 19 maggio l’Iran andrà al voto per eleggere il Presidente della Repubblica. 6 i candidati, compreso l’attuale Presidente Rouhani, e un grande assente: Ahmadinejad, escluso dal Consiglio dei Guardiani.
Sono sei i candidati selezionati dal Consiglio dei Guardiani, composto per metà da teologi e per metà da giuristi nominati dal parlamento, che si sfideranno nelle elezioni presidenziali del 19 maggio.
Sei candidati scelti tra i 1600 iscritti che dall’11 al 15 aprile si sono registrati per concorrere alla presidenza del paese. Nei 5 giorni successivi, dal 16 al 20 aprile, il Consiglio ha esaminato le diverse candidature, valutando e selezionando quelle ritenute “congrue” a guidare la Repubblica Islamica.
La lista dei candidati è stata diramata dal Ministero dell’interno il 20 aprile, ed è così composta:
- Hassan Rouhani: attuale presidente iraniano, ha stravinto le elezioni del 2013, dove ha conquistato 18 milioni di voti al primo turno, tre volte i voti presi da Mohammad Bagher Ghalibat, arrivato secondo. La grande base elettorale da cui Rouhani prese la maggior parte dei voti era rappresentata dai giovani, dagli universitari e dalla classe media delle grandi città, ma raggiunse ottimi risultati anche nei centri religiosi più conservativi;
- Mohammad Bagher Ghalibat: sindaco di Tehran al secondo mandato, si presenta per la terza volta alle elezioni presidenziali. Nel 2005 arrivò quarto, conquistando il 13% dei voti, nel 2013 migliorò la performance, arrivando secondo totalizzando un 16%, che non servì ad arginare l’exploit di Rouhani. Dal 1981 al 2005 ha servito nelle Forze Armate, prendendo parte al conflitto con l’Iraq e ricoprendo importanti ruoli nell’esercito;
- Mostafa Mir-Salim: 69 anni, ex Ministro della Cultura sotto la presidenza Rafsanjani, si è distinto durante il mandato per un approccio conservatore. Da sempre critico verso la “cultura occidentale”, grande male che può minare le basi del futuro iraniano, è uno dei candidati maggiormente conservatori;
- Mostafa Hashemitaba: 70 anni, ex vice presidente dell’Iran dal 1994 al 2001, durante le presidenze Rafsanjani e Khatami. Membro di Kargozaran, partito riformista, si è già presentato nel 2001 alle elezioni presidenziali, prendendo solamente 28 mila voti e posizionandosi al decimo posto;
- Eshaq Jahangiri: attuale vice presidente dell’Iran, 59 anni, una laurea in fisica e un dottorato in ingegneria industriale. Anche lui membro di Kargozaran, ha alle spalle una lunga carriera politica, iniziata tra le fila dei collettivi rivoluzionari, e proseguita in parlamento, tra il governorato di Isfahan, due ministeri durante la presidenza Khatami e la vice presidenza con Rouhani.
- Seyyed Ebrahim Raisi: 59 anni, custode del Santuario dell’Imam Reza a Mashhad, è una delle candidature da tenere maggiormente sotto controllo. Uomo vicino all’ayatollah Khamenei, tanto che era ritenuto il suo futuro successore, è il candidato di punta del mondo religioso iraniano. Ha avuto una carriera giudiziaria importante, contornata però da molte ombre. E’ stato infatti accusato di essere uno dei 4 giudici che hanno comandato le esecuzioni di massa contro i dissidenti e militanti di sinistra nel 1988. E’ il candidato che maggiormente può infastidire la rielezione di Rouhani, ancora considerato il favorito nella rielezione.
Il grande assente delle elezioni è Ahmadinejad, ex presidente iraniano, che aveva annunciato la sua candidatura. Un annuncio che aveva scosso il mondo politico in Iran, perchè in completa antitesi con le raccomandazioni di Khamenei, fortemente contrario alla sua candidatura.
Nonostante ciò, l’ex presidente si è registrato come potenziale candidato, e insieme a lui anche Hamid Baghaei, suo vice storico. Il Consiglio, però, ha preferito rispettare le volontà di Khamenei, invalidando le due candidature.
L’ayatollah infatti ha dichiarato che la figura di Ahmadinejad avrebbe rischiato di polarizzare lo scontro politico nel paese, spaccando l’elettorato. L’Iran, negli ultimi anni, sta sviluppando una dialettica politica che si plasma sulla dicotomia moderati – conservatori. L’estremismo di Ahmadinejad avrebbe rischiato di deviare questa traiettoria politica interna, o quantomeno questo è il timore che ha convinto il Consiglio ad annullare la sua candidatura. La grande frizione con il mondo occidentale dell’ex presidente, dovute alla volontà di perseguire lo sviluppo del nucleare in maniera autonoma e senza contrattazioni con gli Stati Uniti, unite alle dichiarazioni forti su Israele, ha contribuito fortemente all’isolamento che l’Iran ha subito durante la sua presidenza.
Il bacino elettorale di Ahmadinejad si ritrova nelle zone rurali e conservatrici del paese, mentre tra gli universitari e nelle grandi città incontra diffidenze e paure, che nel 2009 si sono tradotte nelle manifestazioni anti-governative. In un paese che conta milioni di studenti universitari e con la maggioranza della popolazione formata da under 35, una nuova elezione di Ahmadinejad avrebbe comportato il rischio di disordini interni, secondo le valutazioni di Khamenei.
Un nuovo fronte interno ingestibile per un paese intenzionato a dialogare con l’Occidente, che deve raccogliere la sfida dell’amministrazione Trump intenzionata a rivedere l’accordo sul nucleare, e che è impegnato da più di 5 anni nella guerra in Siria a fianco di Assad, tassello fondamentale per il progetto egemonico iraniano sul mondo sciita.
