Negli ultimi anni, il deterioramento della primavera egiziana e la sua trasformazione in una nuova fase di autoritarismo sotto l’egida di Abdel Fattah al Sisi avrebbe dovuto frenare la stretta partnership tra il Cairo e l’Unione Europea (UE) sulla base delle stringenti condizionalità che Bruxelles e i suoi membri pongono come elemento alla base dei rapporti commerciali e politici. Tuttavia, il crescente autoritarismo in Egitto è andato di pari passo con l’acuirsi di problematiche come la crescita dei flussi migratori verso l’Europa e l’accelerazione del formarsi di diversi gruppi dediti al terrorismo internazionale, elementi che hanno spinto l’UE a intrattenere relazioni più proficue con paesi come l’Egitto, con l’obiettivo di creare una vera e propria zona “cuscinetto” che funga da fortino securitario per il Vecchio Continente. L’Italia si è ritrovata a rivestire un ruolo cruciale in questo contesto, incrementando notevolmente le relazioni con il Cairo soprattutto dal punto di vista della cooperazione in ambito di polizia e di difesa, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani che occorrono in Egitto e la mancata collaborazione sul caso Regeni. Il nuovo rapporto di Egyptwide for human rights mette in luce le responsabilità di Roma nel deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto.
Alle origini delle contraddizioni nei rapporti con l’Egitto
Se la Dichiarazione di Barcellona del 1995 aveva come obiettivo la creazione di un’area di dialogo culturale e cooperazione nel Mediterraneo, l’attenzione per la stabilità della regione e il contenimento dei flussi migratori emersero sin da subito come priorità per l’UE, contribuendo a mettere in ombra la promozione della democrazia e dei diritti umani. L’Egitto ha rivestito sin da subito un ruolo cruciale, essendo paese di transito per i migranti che dal Corno d’Africa tentano di raggiungere le coste europee e dato che l’arrivo al potere di Al Sisi avrebbe potuto favorire la marginalizzazione dei movimenti islamisti operanti nel paese. A discapito delle tradizionali condizionalità che l’UE, e l’Italia come membro, tendono a richiedere per l’implementazione di armoniosi accordi, sembra che la lotta al terrorismo e il contrasto all’immigrazione abbiano avuto la meglio nella definizione delle relazioni con l’Egitto, indipendentemente dal rispetto o meno dei criteri inerenti a diritti umani, democrazia e stato di diritto.
La responsabilità italiana nel deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto
La situazione in tema di tutela dei diritti umani in Egitto è tristemente nota, con ripetute denunce da parte di ong e associazioni, in merito a episodi di tortura, detenzione arbitraria, persecuzione degli oppositori, sparizioni e uccisioni sommarie, elementi che purtroppo ci riportano alla mente anche il caso Regeni, torturato e ucciso nel 2016 dalle autorità del Cairo. Tuttavia, ciò non sembra aver minimamente turbato le relazioni tra Italia ed Egitto, salvo il breve ritiro del nostro ambasciatore dal Cairo in risposta alla mancata collaborazione delle autorità egiziane sul caso Regeni. Un elemento su cui l’Italia ha investito molto nelle relazioni con l’Egitto, come documentato accuratamente dall’ultimo rapporto di Egyptwide, è rappresentato dalla cooperazione in ambito di polizia e difesa. A livello nazionale, tale rapporto è disciplinato dalla l.76/2003, affiancata da una serie di memorandum sul tema. Il rapporto mette in luce una serie raccapricciante di ambiguità nelle Relazioni annuali sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata presentati dal Ministero dell’Interno italiano alle Camere. Dalle relazioni emerge una costante fornitura di equipaggiamento per scopi militari al Cairo, non arrestatasi neanche nel 2013, anno in cui il Consiglio Europeo aveva promulgato un embargo sulla fornitura di armi all’Egitto in seguito alle gravi violazioni dei diritti umani. Le informazioni al riguardo risultano fallaci. Nella relazione del 2013, ad esempio, si fa riferimento alla cessione all’Egitto di 4 elicotteri Augusta Bell e di altro materiale, soprattutto di tipo informatico, sulla base di un programma di assistenza tecnica che sarebbe stato concordato nel 2010, del quale tuttavia non vi è traccia in alcun documento del Ministero dell’Interno riguardante quel periodo. Anomalie simili si riscontrano anche in successive Relazioni. Tra queste forniture rientrano anche sistemi AFIS, basati su identificazione biometrica volta a conservare e analizzare impronte digitali, tecnologia altamente strumentalizzabile da un regime come quello di Al Sisi. Le forze di polizia italiane, inoltre, hanno fornito una costante offerta formativa alle forze di sicurezza egiziane, essendo essa prevista dalla l.76/2003. Anche nel novembre 2016, nonostante la sospensione delle relazioni diplomatiche in aprile dello stesso anno a causa dell’omicidio di Giulio Regeni, si tenne un incontro volto a predisporre un percorso formativo per le forze di sicurezza egiziane tra il direttore del National Security Sector (NSS) e autorità di polizia italiane. Il 13 settembre 2017, giorno dell’arrivo al Cairo del nuovo ambasciatore Cantini, si firmò anche il protocollo per il programma ITEPA I, anch’esso rivolto alla formazione delle forze di sicurezza di vari paesi africani, tra cui l’Egitto, e portato avanti da esperti della Polizia di Stato italiana, da quella egiziana e da altre agenzie europee partner del programma. Nel 2019 è stato auspicato anche un rinnovamento di tale esperienza, denominato programma ITEPA II, anch’esso finanziato da fondi europei e volto a coinvolgere principalmente la Polizia di Stato e le autorità egiziane. A questo proposito, nel 2020, l’eurodeputato Urbàn Crespo ha presentato un’interrogazione parlamentare sui programmi ITEPA e sul loro impatto in merito alle violazioni dei diritti umani in Egitto.
L’ambiguità dei dati emanati dal Ministero dell’Interno su tali tematiche non permette di attuare una conclusione esaustiva sull’effettivo ruolo italiano nelle violazioni dei diritti umani in Egitto. Ciò che è palese, però, è l’inevitabile impatto che gli equipaggiamenti e i corsi di addestramento forniti da Roma hanno avuto sulle forze di sicurezza egiziane, e non è improbabile che tali mezzi e nozioni siano stati messi in atto dalle autorità per portare avanti il sistema repressivo in Egitto. Nel rapporto viene addirittura citata la partecipazione dei Nuclei Antiterrorismo N.O.C.S. a operazioni di antiterrorismo su suolo egiziano che potrebbe far pensare a un coinvolgimento dell’Italia non solo indiretto, ma anche sul campo, in gravi violazioni dei diritti umani.
Conclusione
Mentre si registravano sempre più casi relativi agli abusi delle autorità egiziane contro la popolazione, i migranti, gli oppositori o i presunti terroristi, il Cairo stava godendo di quella che potrebbe essere definita una particolare “special relationship” con l’Italia, grazie all’erogazione di mezzi militari e corsi di addestramento di polizia. Queste attività portate avanti dall’Italia, come viene sottolineato dal rapporto di Egyptwide, hanno senza dubbio contribuito a rafforzare le capacità del NSS, amplificando la rete repressiva di Al Sisi e del suo entourage. Neanche le tensioni in merito alla questione Regeni sono riuscite a invertire questa rotta. Il rapporto di Egyptwide si conclude con delle raccomandazioni per il governo italiano anche se appare chiaro come, al di là di qualsiasi soluzione al problema, le autorità di polizia italiane si siano rese protagoniste di iniziative che possono essere ricondotte a delle forme più o meno dirette di responsabilità nel peggioramento della situazione dei diritti umani in Egitto.