Per comprendere la situazione economica in cui versa attualmente l’Egitto è necessario ripercorrere le scelte di politica economica adottate dal suo governo nel corso degli anni. L’Egitto di Al-Sisi sembra avere bisogno di una quantità di risorse sproporzionata rispetto alle capacità del sistema economico di produrle. Inoltre, la destinazione di tali capitali appare controversa: ne sono un esempio i 58 miliardi di dollari stanziati per la nuova capitale amministrativa nel governatorato del Cairo, i 25 miliardi per la costruzione di un reattore nucleare per la produzione di energia elettrica (in un paese che vanta un surplus di elettricità a fronte di una scarsità di risorse petrolifere) e gli 8 miliardi di dollari per l’espansione del canale di Suez, opera che, al momento, ha visto un profitto modesto (200 milioni tra il 2017 e il 2020). Tutte opere che aggiungono un valore simbolico, più che finanziario, al sistema economico egiziano. La gran parte delle entrate del paese non vengono destinate alle necessità della popolazione – 112 milioni di abitanti -, che vive in una regione povera d’acqua e produce solo un terzo del cibo che consuma. Secondo la Banca Mondiale, il 60% degli egiziani possono considerarsi poveri o vulnerabili.
Dal 2013, anno in cui il Presidente Al-Sisi è salito al potere, l’Egitto si è rivolto al Fondo Monetario Internazionale quattro volte, diventando il secondo maggior debitore dell’istituzione finanziaria, secondo solo all’Argentina. L’ultimo prestito, stipulato lo scorso ottobre, consiste in un pacchetto di 3 miliardi di dollari per far fronte alla scarsità di riserve estere detenute dalla Banca centrale. Come si legge nel comunicato del FMI del mese di dicembre, “il programma vuole preservare la stabilità macroeconomica, ripristinare le riserve finanziarie e porre le basi per una crescita inclusiva guidata dal settore privato”. Per raggiungere questi obiettivi, l’accordo prevede: una politica monetaria volta alla graduale riduzione dell’inflazione; il consolidamento delle entrate fiscali per garantire una riduzione del debito pubblico rispetto al Pil e, contemporaneamente, rafforzare la rete di sicurezza sociale per proteggere i più poveri; riforme su larga scala per ridurre il ruolo dello stato nel sistema economico e favorire la concorrenza tra gli operatori economici.
Inoltre, a causa del conflitto in Ucraina, che ha causato un aumento rilevante dei prezzi alimentari e, temporaneamente, di quelli energetici, gli investitori esteri hanno ritirato circa 20 miliardi di dollari di investimenti dal sistema bancario del Cairo; questo ha causato la crisi di riserve in valuta estera detenute dalla Banca centrale egiziana di cui si è già accennato. Da notare come il sistema economico egiziano dipenda in larga misura dall’afflusso di capitali esteri, per via della debolezza del settore privato.
L’aumento dell’inflazione alla luce della guerra in Ucraina
L’invasione dell’Ucraina, che si somma al ciclo economico negativo del periodo pandemico, ha aggravato la spirale inflattiva del Cairo, primo importatore di grano al mondo. Secondo i dati rilasciati dal governo egiziano, l’inflazione del mese di febbraio si attesta al 32,9%, segnando un incremento del 7% rispetto a gennaio. Il dato anno su anno è ben peggiore, considerando che a febbraio del 2022 l’inflazione segnava il 10%. Ad aver risentito particolarmente dell’alta volatilità dei prezzi, sono stati soprattutto i beni alimentari: a febbraio il costo della carne è aumentato di quasi il 30%, quello del pane del 9%. Per far fronte al tasso d’inflazione in crescita, durante la riunione mensile di marzo il Comitato di politica monetaria della Banca centrale egiziana ha stabilito l’incremento dei tassi di interesse del 2%. Da notare che il sostanziale aumento del 31 marzo segue la decisione di non procedere a un incremento dei tassi nella riunione precedente (a febbraio), in cui l’istituto aveva sostenuto la necessità di “tempo per valutare l’impatto dei precedenti rialzi”, una scelta di difficile spiegazione, considerata l’alta inflazione del paese nordafricano.
Ciò che aggrava la posizione egiziana nel difficile contesto macroeconomico attuale è la natura del sistema economico. L’economia egiziana vede, infatti, un’ampia presenza delle forze armate nella gestione di aziende strategiche per il paese (infrastrutturali, energetiche e turistiche), elemento che scoraggia gli investitori stranieri dall’impiegare capitali nel paese. Al-Sisi, nell’ambito delle contrattazioni con l’FMI, ha assicurato che avrebbe ridotto il ruolo dell’esercito nell’economia. Tuttavia, permangono i dubbi circa la possibilità di intraprendere le ampie privatizzazioni promesse dal governo, poiché la tenuta del potere del Presidente egiziano dipende proprio dal supporto dei militari.
Tra le condizioni dell’accordo negoziato con il FMI, c’è anche la necessità di operare un passaggio a un regime di tassi flessibile, invece di utilizzare le riserve in valuta estera per mantenere il regime di cambi al livello desiderato. Dato che le riserve in valuta estera si sono sostanzialmente ridotte, l’esecutivo egiziano si è visto costretto a cominciare il passaggio da un regime a tassi fissi a uno a tassi variabili. La conseguenza dell’operazione è stata un rilevante deprezzamento della sterlina egiziana, che in un anno ha perso il 50% del suo valore.
Gli scenari
La situazione descritta porta a ipotizzare due scenari. L’Egitto potrebbe avvicinarsi rapidamente alla Russia e alla Cina per far fronte al debito estero (155 miliardi secondo la Banca centrale egiziana). Il Cairo e Mosca, infatti, condividono la difficoltà ad accedere a grandi quantità di dollari americani e, di conseguenza, gli scambi commerciali effettuati nelle rispettive valute nazionali potrebbero costituire una soluzione per entrambi i sistemi economici. Nell’immediato, come afferma l’economista egiziana Hanan Ramses, “importare materie prime a basso costo dalla Russia abbasserà i prezzi e contrasterà l’inflazione”. D’altra parte, per Mosca, incrementare i propri scambi con Il Cairo può costituire un’opportunità per ridurre la dipendenza dalle economie occidentali. Le relazioni economiche con la Cina sono aumentate notevolmente nel 2022, con Pechino che rappresenta il primo finanziatore della nuova capitale amministrativa egiziana. In dicembre è stata creata l’associazione degli imprenditori sino-egiziana, al fine di promuovere gli investimenti di Pechino in Egitto. In ultimo, il Cairo sta considerando la possibilità di emettere obbligazioni in yuan. La tendenza di avvicinamento alla Russia e alla Cina sembrerebbe quindi confermata dai recenti sviluppi; una sorta di ultima spiaggia per la dissestata economia egiziana.
Il riavvicinamento con la Turchia costituisce un elemento di novità. I Ministri degli esteri egiziano e turco, Shoukry e Çavuşoğlu, si sono infatti incontrati tre volte negli ultimi due mesi ed è difficile non considerare come le reciproche difficoltà economiche possano aver spinto Ankara e il Cairo a riallacciare le relazioni bilaterali, interrotte dal 2013. Bisognerà però attendere l’esito delle prossime elezioni turche per capire se e quanto il nuovo governo di Ankara vorrà proseguire lungo questo percorso. Nel secondo scenario si ipotizza che il sistema economico egiziano non reggerà a lungo, proprio a causa del ruolo preponderante delle forze armate in diverse aziende strategiche del paese. La pura economia di mercato e una mentalità caratterizzata dall’interesse commerciale, non sembrano quindi compatibili con il sistema economico del Cairo. Questi elementi porterebbero a pensare che le riforme promesse non verranno attuate nel breve periodo e che lo stato non sarà in grado di ripagare i debiti verso i creditori esteri. A fine marzo, tuttavia, la Banca Mondiale ha annunciato l’approvazione di un accordo della durata di 5 anni che permetterà all’Egitto di accedere a finanziamenti per 7 miliardi di dollari. La partnership si concentrerà sulla creazione di posti di lavoro, sullo sviluppo di tecnologie che favoriscono la transizione energetica e sul miglioramento dei servizi sanitari ed educativi. Sembrerebbe una via per garantire all’Egitto maggiori fondi per far fronte alla congiuntura economica attuale, dilatando così i tempi necessari al soddisfacimento delle condizionalità poste dal FMI.