La storia recente della Turchia ed il controllo degli Stretti entrano prepotentemente nella crisi ucraina. Nel post-kemalismo di Ankara si coniuga peso atlantico ed eredità ottomana. La “nuova Turchia” voluta dal Partito di governo, che dovrebbe (anche per soddisfare un certo desiderio di simbolismo magico) nascere formalmente l’anno prossimo, una volta tramontato il secolo di Kemal, deve sfruttare il suo essere terra centrale e sfruttare ogni possibilità di manovra dovuta all’appartenenza alla NATO. Si conosce bene la tattica del “gioco su più tavoli”, anche con collaborazioni con la Russia, più volte ripresa e chiara nelle tattiche di Ankara.
Stavolta però, mutate talune condizioni (il governo a guida Dem), il raggio d’azione turco diminuisce drammaticamente.
Una dichiarazione del Ministro degli Affari Esteri Mevlüt Çavuşoğlu “rigetta” l’operazione armata di Mosca nei confronti dell’Ucraina, che definisce “inaccettabile” (kabul edilemez buluyoruz ve reddediyoruz). Poche altre righe e segue la richiesta alla Russia di “ritirarsi da azioni ingiuste ed illegali” (haksız ve hukuksuz eylemi bir an önce durdurmaya çağırıyoruz). Mezzi di informazione vicini al Partito di maggioranza esplicitano una visione unitaria. TRT addirittura si interroga sulla effettiva legittimità di una forza di pace delle NN.UU. quando la Russia mantiene un potere di veto e si chiede se la Russia sia stata ispirata per il suo intervento in Ucraina dal precedente in Siria; Ulke TV riporta che il Leader del Partito d’opposizione kemalista Kılıçdaroğlu asserisce che la Turchia “restituirà gli S400 alla Russia” (S-400’leri İade Edeceğiz!) – i riferimenti alla NATO sono evidenti -.
A-Haber titola con “gli ultimi 10 km per kiev” e sottotitola con “la chiamata al golpe (darbe çağrısı) di Putin”, inserendo poi un’interessante riflessione sulla “continuazione” (ileri) della questione di Montreaux e degli Stretti, ovvero la dichiarazione c.d. “dei 103 ammiragli” sulla possibilità che Ankara apra un secondo canale parallelo al Bosforo, andando ad intaccare un caposaldo della politica turca del primo kemalismo (ne avevamo parlato qui: 103 ammiragli, Montreaux, gli eurasisti, l’estrema destra: la via è segnata per il Governo turco – Geopolitica.info). Ma sulla questione di Montreaux si sofferma Vatan, organo del Partito degli Eurasisti (anti-NATO e maoista) che riporta una richiesta lituana di attivare la procedura prevista dall’art.4 del Patto Atlantico, che cambierebbe totalmente le carte sul tavolo per la Turchia.
Analizziamo brevemente alcune parole-chiave per comprendere quale sia la visione di Ankara:
- Legittimità delle forze di pace delle NN.UU. dato il potere di veto della Russia. Qui il problema non sta nelle forze di pace in se ma nella forma di esercizio del massimo potere in seno alle NN.UU., il Consiglio di Sicurezza. L’espansione turca in Africa (precedente di pochi anni l’inizio dell’era AKP) e altrove aveva portato Ankara a sentirsi abbastanza sicura da immaginare una riforma del Consiglio di Sicurezza, coniando lo slogan secondo il quale “il Mondo è maggiore di 5”. Questo genere di dichiarazione suggerisce le prossime mosse che Ankara potrebbe intraprendere nel corso della vicenda: proporre una riforma del Consiglio che, abolendo la permanenza dei 5 membri, colpisca Russia e Cina con (sperato) appoggio statunitense. Allargando la lista dei membri permanenti o inventando una “cabina di regia” allargata (basata sul G20?), potrebbe ritagliare per Ankara ed alcuni suoi alleati interessanti prospettive;
- Precedente siriano. Un richiamo all’audience interna nazionalista, al fine di prepararla – nel caso – a posizioni di maggiore confronto con la Russia: il riferimento è allo scontro diretto fra i 2 Paesi, che aveva portato all’abbattimento di un assetto aereo russo. Il rimando siriano è davvero foriero di varie possibili elaborazioni future da parte delle agenzie informative turche, che potranno usare la leva dell’intervento russo in Siria definendolo come causa de:
- L’indiretto appoggio al terrorismo interno di matrice politica
- L’accoglimento di milioni di profughi in territorio turco, “obbligo morale” conseguente alla permanenza al potere di Bashar Assad,
- Le perdite umane nel conflitto, che si sarebbe risolto senza troppi sforzi senza l’intervento di Mosca;
- Golpe (“darbe”). Qui i richiami alla storia moderna della Turchia sono massimi. Il termine “golpe” richiama gli eventi del 1960, del 1980, perfino il “postmoderno” del 1997 ma soprattutto gli eventi del 15 luglio del 2015. Questi, usati poi dal Governo di Ankara per imporre cambiamenti notevolissimi nella gestione dello Stato, avendo permesso tanto un rimpasto dei vertici di diverse Amministrazioni (Difesa in primis) quanto la riforma costituzionale in senso presidenzialista, sono stati in definitiva positivi per l’agenda di Governo ma questo li usa per rinnovare l’idea del sacrificio, del sangue versato, della distanza fra la Turchia definita “autentica” e quella voluta dal Kemalismo (il cosiddetto “suicidio culturale”) ed usati, in questo senso, come vero momento fondativo della nuova Repubblica, opposto rispetto allo “sforzo nazionale” (Milli Mücadele) che era stato il basamento della “vecchia” Repubblica del 1923. L’uso del termine “darbe” attribuito a Putin, nel momento in cui questi invita le Forze Armate ucraine a sollevarsi e a prendere il potere, significa quindi voler attribuire alla Presidenza russa caratteristiche ideologiche simili a quelle della forma di governo presente in Turchia prima dell’avvento del Partito della Giustizia e dello Sviluppo nel 2002 (la realtà è che le riforme turche hanno importo un presidenzialismo molto forte);
- L’affaire Montreaux – 103 Ammiragli. Vatan riporta la richiesta della Lituania di ricorrere all’art.4 del Patto atlantico, ovvero alla consultazione dei suoi membri “quando una parte ritiene che l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti sia minacciata”. Questo al fine di chiedere formalmente ad Ankara di impedire il passaggio per i Dardanelli di navi russe non ausiliarie come previsto dall’art.9 di Montreaux (“entrata in guerra di uno degli Stati”). Non è la prima volta che la Lituania si espone, avendo già interrotto i suoi rapporti commerciali con la Cina sulla questione taiwanese, facendo sorgere ad alcuni il dubbio che dietro le istanze della piccola Repubblica baltica echeggi in realtà la voce di Washington. Come leggere questa richiesta? Semplice, Washington capisce Ankara, la anticipa nel suo cortile di casa e le impedisce di giocare su più tavoli.
E’ infatti facilmente prevedibile che la Turchia vedrà nel conflitto un’eccellente occasione di tornare sotto i riflettori dell’alleato atlantico. Se Montreaux resta in vigore, gli Stati Uniti necessiteranno dell’appoggio turco nella gestione di un Mar di Marmara nel quale, proprio secondo Montreaux, non si può impedire il passaggio di mezzi navali russi verso il Mediterraneo. La Turchia potrebbe allora proporre o promettere qualche notevole impegno di carattere militare, che certamente eseguirà al meglio, recuperare terreno e peso strategico dopo l’indifferente silenzio ottenuto dalla Presidenza americana a seguito della dichiarazione sulla costruzione del Kanal Istanbul che permetterebbe libero passaggio a tutti, che pure avrebbe dovuto bendisporli. Bisogna ricordarsi che, non essendo Stato rivierasco, gli Stati Uniti sono nel Mar Nero molto limitati. Questo “guadagno di terreno” potrebbe anche sostanziarsi nella richiesta di avere riconosciuta una voce in capitolo nel gas presente nel Mediterraneo orientale (questione cipriota), dato che la Turchia ha una enorme sete di energia e deve necessariamente pensare a come diversificare il suo portafogli, dato che Mosca potrebbe diminuire il suo apporto, volente o nolente, per ovvi motivi. Se gli Stati Uniti la appoggiassero in questo, allora Ankara potrebbe farsi forte di un importante riconoscimento a favore suo e di Cipro Nord e tornare a danzare da una parte all’altra.
Ma stavolta gli Stati Uniti non ci stanno, ed anticipano le mosse della Turchia prima che questa cominci a danzare.
Il Ministro degli Affari Esteri turco, dal Kazakistan, fa intendere che l’allineamento con Kiev è incondizionato ma che implementeranno l’art.9 di Montreaux solo in caso di formale dichiarazione di guerra, perché è in quel caso che l’articolo si applica. Il diavolo, si sa, è nei dettagli. Questo dimostra la reale volontà turca di non perdere definitivamente il contatto con Mosca.
CONCLUSIONI
Come anticipato più volte, Ankara non può che riallinearsi ad Occidente evitando avvicinamenti – seppur tattici – alla Russia. Questo, da Biden in poi. Dovranno verificarsi le effettive possibilità della Turchia di mantenere il programma nucleare in essere con Mosca, mentre gli Stati Uniti cercheranno di massimizzare il proprio vantaggio senza esporsi troppo (nessun americano morirà per Kiev). Se gli Stati Uniti non dovessero avere un interesse nella fine immediata del conflitto, potrebbero aver bisogno di Ankara anche nella gestione dei Dardanelli, ma questa dovrà tuttavia muoversi su binari definiti da Washington.