Il presente articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’approfondimento “Ambizioni e vincoli dell’autonomia strategica europea. Aspetti politici, operativi e industriali“, qui consultabile, del Centro Studi Geopolitica.info sviluppato per l’Osservatorio Politica Internazionale del Parlamento Italiano.
Introduzione
Lo sviluppo di una solida e tecnologicamente avanzata industria della difesa è un perno imprescindibile perché l’Europa possa raggiungere una qualche forma di autonomia strategica. La capacità di produrre sistemi d’arma all’avanguardia non solo aumenta l’efficienza delle forze armate, ma rafforza anche le basi tecnologiche ed economiche dell’Europa nell’attuale contesto di crescente competizione geopolitica.
Il ritorno della guerra in Europa ha messo in evidenza come l’industria della difesa non abbia attualmente la capacità di produrre le risorse necessarie per sostenere un conflitto militare prolungato e ad alta intensità. Per fare due esempi paradigmatici, l’inventario delle forze armate tedesche conta solo su 20.000 colpi di artiglieria da 155mm (sufficienti per meno di tre giorni di combattimento), mentre il numero di granate prodotte in Francia in un anno equivale a una settimana di fuoco della Seconda Guerra Mondiale. In risposta a questo gap militare e industriale, tutti i paesi europei stanno aumentando il loro sostegno all’industria della difesa.
È quindi il momento ideale per analizzare lo stato attuale dell’industria della difesa, soprattutto alla luce del dibattito sull’autonomia strategica europea. Questo breve capitolo si concentra su due sfide strutturali che l’industria europea della difesa deve affrontare. In primo luogo, si analizza il trade-off tra colmare i gap militari e industriali nel breve periodo da un lato, e concentrarsi sull’innovazione tecnologica nel lungo periodo dall’altro. Come vedremo, questo trade-off tra breve e lungo periodo non è di facile soluzione e richiede scelte politiche coraggiose. Successivamente, viene analizzata la questione dell’autonomia strategica dell’industria della difesa europea.
Investire nel breve o nel lungo periodo?
I paesi europei hanno recentemente aumentato i loro bilanci per la difesa. Come rivela un rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), i paesi europei spenderanno un totale di 417,8 miliardi di dollari. La crescita del bilancio per la difesa è particolarmente significativa in Austria, Finlandia, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia, Svezia e Polonia, con quest’ultima che registra un impressionante aumento della spesa militare del 46% in termini reali tra il 2022 e il 2023. La Germania ha stanziato un fondo speciale di 100 miliardi di euro per nuovi investimenti in progetti di armamento, e mira a raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL in spese militari. Il totale delle acquisizioni di materiale bellico si avvicinerà a 100 miliardi, con un aumento di 21,5 miliardi di euro (circa il 33%) tra il 2022 e il 2023.
Questi aumenti di spesa militare costringono adesso i paesi europei a dover cercare di trovare un equilibrio tra colmare i gap militari e industriali nel breve periodo da un lato, e concentrarsi sull’innovazione tecnologica nel lungo periodo dall’altro. Le due cose possono essere in contraddizione.
Dopo la fine della Guerra Fredda, infatti, i governi europei hanno ridotto drasticamente i loro bilanci per la difesa e hanno chiesto all’industria di concentrarsi sulla produzione di sistemi d’arma di precisione, di risposta rapida e funzionali per le attività di intelligence, sorveglianza e ricognizione. Queste richieste sono state dettate dal fatto che l’attenzione militare degli stati europei si era gradualmente spostata verso la guerra “asimmetrica”, ovvero la capacità di impegnarsi in operazioni militari a bassa intensità contro piccoli stati o attori non statali, spesso sotto l’ombrello delle missioni di peacekeeping e peace-enforcement.
La guerra in Ucraina ha portato ad un’inversione di tendenza e i paesi europei stanno cercando di riorientare le proprie industrie verso la produzione di materiale bellico per colmare i gap militari nel breve periodo, nell’eventualità di un conflitto convenzionale contro un avversario di pari livello. Questa rinnovata attenzione agli investimenti a breve termine non è una transizione facile per l’industria. Infatti, molte linee di produzione in settori chiave (come le munizioni) erano state chiuse per mancanza di ordini, visto che i paesi Europei tendevano a importarle da produttori extraeuropei. L’industria della difesa europea ha quindi chiesto ai governi piani di lungo periodo per garantire ordini sufficienti a riaprire le linee di produzione.
Concentrarsi sul colmare i gap militari nel breve periodo potrebbe portare a sottovalutare i necessari investimenti nel lungo periodo: nel 2021, i governi Europei hanno speso un totale di 52 miliardi di euro per gli investimenti nel settore della difesa, di cui 43 miliardi di euro (82%) sono stati utilizzati per l’acquisto di equipaggiamento militare e soltanto 9 miliardi di euro (18%) è stato speso per ricerca e lo sviluppo (R&S). Questo potrebbe mettere l’Europa in una posizione di svantaggio rispetto a Stati Uniti e Cina, che si stanno concentrando su investimenti in tecnologie come l’intelligenza artificiale, soprattutto attraverso una crescente sinergia tra l’industria militare e commerciale. Alcuni esperti sottolineano che sarebbe un’occasione persa se l’Europa decidesse di puntare tutto su investimenti nel breve periodo, sottovalutando le grandi sfide tecnologiche che attendono l’industria europea nel medio-lungo periodo. È invece essenziale che i decisori europei mantengano un equilibrio virtuoso tra investimenti nel breve e lungo periodo, ad esempio aumentando il budget del Fondo Europeo per la Difesa e i suoi investimenti nelle tecnologie emergenti e dirompenti.
Autonomia Europea o Nazionale?
Con un fatturato di 119 miliardi di euro, 463.000 dipendenti diretti e più di 2.500 piccole e medie imprese, l’industria europea della difesa è il secondo esportatore mondiale dopo gli Stati Uniti. Tra il 2018 e il 2022, i cinque maggiori esportatori dell’Europa occidentale – Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna – hanno fornito circa un quarto (24%) delle esportazioni totali di armi a livello mondiale. Il mercato europeo della difesa ha inoltre avviato un processo di integrazione attraverso la fusione di grandi gruppi industriali (ad esempio MBDA nel settore missilistico), e attraverso iniziative europee per favorire l’integrazione del mercato.
Nonostante la graduale integrazione del mercato, i paesi europei continuano ad acquistare più da fornitori extra-UE che da fornitori UE.Gli acquisti da paesi terzi rappresentano il 70% del totale nel periodo 2022-2023, di cui il 63% da un unico fornitore, gli Stati Uniti. Inoltre, i Paesi europei continuano ad utilizzare le eccezioni all’articolo 346 del trattato UE per ignorare le norme comunitarie e favorire le imprese nazionali nelle gare d’appalto (l’80-90% del bilancio per nuovi equipaggiamenti viene ancora speso su base nazionale).
Il difficile trade-off tra investimenti nel breve o nel lungo periodo può essere una ragione per cui i paesi europei continuano ad acquistare da fornitori extraeuropei, ma non è l’unica. A causa della complessità tecnologica e dei grandi investimenti necessari per essere competenti in questo campo, l’industria della difesa è concentrata attorno a pochi e grandi gruppi industriali. In Europa, questi grandi gruppi sono perlopiù basati nei due stati più grandi (Francia e Germania) con punte di eccellenza in altri pochi paesi (tra cui l’Italia). Il resto dell’Europa non ha una significativa base industriale della difesa. Quando si parla di integrazione del mercato della difesa europea o di autonomia strategica nel campo della difesa, ci si riferisce in realtà a un’industria fortemente concentrata in pochi grandi paesi. I paesi medi e piccoli europei, che non possiedono una significativa industria della difesa, sono quindi incentivati a diversificare le fonti di approvvigionamento, acquistando a volte da industrie europee e a volte da produttori extraeuropei. Questi paesi non hanno incentivi strutturali per sostenere l’integrazione del mercato, che potrebbero portarli a diminuire le loro possibilità di scelta. Questi (dis)incentivi strutturali rendono difficile l’integrazione del mercato della difesa. Come ho già suggerito altrove, la sfida per i decisori europei è quella di incoraggiare i grandi gruppi industriali a collegare le loro catene del valore a subfornitori nei paesi europei di medie e piccole dimensione, in modo da mitigare le perdite che questi paesi e aziende subirebbero a causa di una maggiore integrazione del mercato europeo.
La questione della autonomia dell’industria della difesa europea deve inoltre tenere in considerazione che il perimetro dell’Unione Europea non coincide con quello della sicurezza europea. Ciò è particolarmente evidente nel ruolo del Regno Unito e della sua industria della difesa dopo Brexit. Il Regno Unito e la Francia avevano iniziato a lavorare insieme su un progetto per un caccia di sesta generazione, ma, dopo la Brexit, i due paesi hanno deciso di dividere le loro strade. La Francia si è unita a Germania e Spagna per sviluppare il Future Combat Air System. La Gran Bretagna si è unita a Italia e Giappone per sviluppare il Global Combat Air Programme. Questa biforcazione nella scelta del caccia di sesta generazione ha infatti portato l’Italia a fare una scelta difficile tra la fedeltà al blocco dell’UE e i suoi legami industriali e strategico-operativi con la Gran Bretagna. I costi e la complessità tecnologica rendono difficile la sostenibilità di entrambi i progetti e allontanano i prospetti per una consolidata industria della difesa europea. L’autonomia strategica in ambito di difesa deve avere un carattere flessibile, che consenta l’integrazione e l’interazione con alleati chiave come il Regno Unito e gli Stati Uniti.
Conclusioni
Il conflitto in Ucraina ha evidenziato ancora una volta la necessità di una solida industria della difesa Europea. I paesi europei hanno aumentato i loro bilanci per la difesa, ma in nuovi ordini sono andati principalmente a beneficio di produttori extraeuropei. Il mercato della difesa europea rimane così molto frammentato, sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. Questo breve testo si concentra su due aspetti centrali, ma solitamente poco considerati, del dibattito sull’industria della difesa europea. In primo luogo, occorre prestare attenzione al trade-off tra colmare i gap militari e industriali nel breve periodo da un lato, e concentrarsi sull’innovazione tecnologica nel lungo periodo dall’altro. Il mercato della difesa è trainato dalla domanda, ma la domanda dei paesi europei si sta riposizionando verso gli investimenti nel breve termine. Questo potrebbe però portare ad una sottovalutazione delle sfide strategiche e industriali a lungo termine.
In secondo luogo, analizzare lo stato attuale dell’industria della difesa getta luce sul più ampio dibattito sull’autonomia strategica europea. Consolidare l’industria della difesa a livello Europeo creerà inevitabilmente vincitori e vinti e richiederà una riconfigurazione del rapporto tra grandi e piccoli paesi e tra le grandi e piccole industrie della difesa. Spingere per l’autonomia strategica in ambito di industria della difesa significa impegnarsi seriamente sull’integrazione tra grandi e piccoli in una catena del valore europea e adoperarsi in un lavoro di cucitura politica e compensazione industriale per mitigare le perdite dei paesi e delle industrie più piccole.
L’obiettivo dell’industria della difesa europea deve essere quello di sviluppare capacità militari al servizio delle forze armate europee. Concentrarsi in modo pragmatico sulle due sfide strutturali dell’industria della difesa qui discusse può incoraggiare e stimolare una pragmatica riflessione sull’autonomia strategica europea.
Punti essenziali
- Lo sviluppo di una solida e tecnologicamente avanzata industria della difesa è un perno imprescindibile perché l’Europa possa raggiungere una qualche forma di autonomia strategica;
- Il mercato della difesa è trainato dalla domanda, ma la domanda dei paesi europei si sta riposizionando verso gli investimenti nel breve termine. Questo potrebbe però portare ad una sottovalutazione delle sfide strategiche e industriali a lungo termine;
- Spingere per l’autonomia strategica in ambito di industria della difesa significa impegnarsi seriamente sull’integrazione tra grandi e piccoli players della difesa in una catena del valore europea.