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TematicheStati Uniti e Nord AmericaL’uso statunitense dei droni in Afghanistan

L’uso statunitense dei droni in Afghanistan

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Il legame tra i droni statunitensi e lo stato afghano ha radici più profonde rispetto a quello odierno. La situazione attuale in Afghanistan ha fatto sì che il presidente americano Joe Biden decidesse di ricorrere, come i suoi predecessori, allo strumento letale dei velivoli a pilotaggio remoto. Le conseguenze e l’efficacia derivanti da questa strategia, però, sono tutte da dimostrare.

Articolo precedentemente pubblicato nel quattordicesimo numero della newsletter “A Stelle e Strisce”. Iscriviti qui

Lo scorso 15 agosto Kabul è caduta nelle mani dei taliban, quasi vent’anni dopo che questi vennero espulsi dalla stessa per mano degli Stati Uniti d’America. Per certi versi, questa notizia sembra essere anacronistica: in effetti, tutti gli spiacevoli eventi che hanno avuto luogo nel lontano 11 settembre 2001, a cominciare dall’attacco a Torri Gemelle, sembrano ricondurci qui, sino ad oggi, sull’orlo di una nuova Guerra al Terrore, come la definirebbe Bush Jr. I talebani, sin da allora, hanno prestato rifugio ai vertici della rete terroristica di Al Qaeda, proteggendoli e rendendo più difficoltosa una loro cattura.

Quando, poi, lo scorso 26 agosto ha avuto luogo un attacco condotto da parte di kamikaze dell’Isis-K – la costola dello Stato Islamico della Provincia del Khorasan – presso l’aeroporto di Kabul, la risposta statunitense non si è fatta attendere. A seguito della presa della capitale afghana e dell’attacco all’aeroporto, il presidente americano Joe Biden – che in linea temporale è il quarto capo dell’esecutivo a dovere gestire la guerra in Afghanistan a partire dal 2001, dopo Bush Jr., Obama e Trump – ha espressamente affermato che “gli Stati Uniti non dimenticheranno, non perdoneranno, vi inseguiremo fino agli inferi e pagherete il vostro prezzo”. E, concretamente, alle parole del presidente americano, oggi come vent’anni fa, sono seguiti i fatti. Il giorno dopo, il 27 agosto, a meno di 48 ore dalla strage, gli USA hanno effettuato un raid eseguito tramite drone nella provincia afghana di Nangahr, eliminando – a detta del Pentagono – un membro rilevante dell’affiliata dell’Isis. Il portavoce del Comando centrale americano, Bill Urban, ha dichiarato che questo attacco non ha presentato vittime civili come effetto collaterale. Il drone che ha eseguito l’attacco è un drone di tipo Reaper il quale, già in passato e già molteplici volte, ha rivestito un ruolo da protagonista all’interno degli scontri afghano-americani.

Sotto la presidenza di Bush Jr., il 7 ottobre 2001 ebbe inizio l’operazione nota come Operation Enduring Freedom che fu il teatro in cui i droni – Predator prima e Reaper poi – tentarono di sovvertire la leadership talebana e, di riflesso, quella di Al-Qaeda. Per la verità, ancora prima di Bush Jr., il presidente Bill Clinton aveva promosso ed utilizzato a suo vantaggio la politica dei cosiddetti targeted killings, ossia degli omicidi mirati, allo scopo di annientare Bin Laden ed altri elementi chiave dell’organizzazione. La modalità di condotta della guerra denominata drone warfare (letteralmente, “la guerra dei droni”) è stata ed è tuttora presente in maniera continua e prepotente all’interno della strategia di politica estera degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, i frutti di questa strategia ancora suscitano qualche perplessità, visti i recenti avvenimenti.
Di fatto, sono numerose le critiche rispetto all’uso dei droni all’interno di un conflitto asimmetrico. In particolare, in uno stato come l’Afghanistan, conteso tra i talebani, l’Isis e Al-Qaeda, le stime degli attacchi operati tramite droni sembrano suggerire che questi ultimi non siano così precisi come si potrebbe pensare, soprattutto perché viene messa in dubbio la loro capacità di minimizzare le vittime di guerra. Una cosa, però, è certa: probabilmente è vero che non c’è “nulla di nuovo sotto al sole” rispetto alla modalità di conduzione del conflitto in Afghanistan da parte statunitense. Tuttavia, se questa è la realtà dei fatti, occorre modificare il modo in cui viene condotta, la guerra all’interno dello stato afghano: se ciò non avverrà, sarà futile immaginare un esito diverso rispetto a quello dato dagli ultimi vent’anni.

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