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Dove e come investe la difesa italiana? Riflessioni sul DPP 2023-2025

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Partendo dalla guerra russo-ucraina, il DPP enfatizza l’importanza del primo compito delle Forze armate, la difesa dello Stato, investendo pesantemente sulla componente corazzata. La difesa, però, non deve dimenticare che i principali interessi strategici italiani sono nel Mediterraneo Allargato, e che in quest’area potrebbero servire capacità diverse. Inoltre, la spesa militare resta sbilanciata a favore degli investimenti, a scapito dell’addestramento. 

Con notevole ritardo rispetto alla data di prevista pubblicazione, fissata dalla legge 244/2012 al 30 aprile, il Ministero della Difesa ha reso pubblico il Documento Programmatico Pluriennale (DPP) per il triennio 2023-2025. Insieme alle Linee Programmatiche e all’Atto di Indirizzo, il DPP rappresenta uno dei tre documenti più importanti per capire in che direzione sta andando e intende andare la Difesa italiana. Il DPP fornisce infatti un aggiornamento sulle attività della Difesa e traccia le linee di indirizzo generali del Ministero, definendo la priorità politiche che il Ministro intende perseguire nell’impiego delle risorse finanziarie rese disponibili nel triennio di riferimento. Esso, in sostanza, fornisce un quadro chiaro di quelle che sono le attività che hanno coinvolto la Difesa fino ad oggi e stabilisce come il Ministero della Difesa spenderà i soldi messi a sua disposizione. Soprattutto, il DPP presenta una descrizione dettagliata dei nuovi programmi avviati dalla Difesa. L’analisi del documento, dunque, risulta molto utile per capire in che modo le linee di indirizzo del Ministero della Difesa verranno effettivamente implementate nel prossimo triennio. 

I nuovi programmi: focus sulla difesa e la deterrenza 

Il primo e forse più importante elemento di rilevanza del DPP, evidente fin dalla prima pagina del documento, è il focus sul primo compito delle Forze armate, la difesa dello Stato. Nell’introduzione, il Ministro si sofferma brevemente sulla descrizione dell’attuale contesto internazionale, stabilendo che esso impone oggi all’Italia di tornare a “orientare e preparare il suo strumento militare ad assicurare la difesa dello Stato”. L’invasione russa dell’Ucraina, che ha rappresentato il ritorno della guerra convenzionale tra Stati sul continente europeo, ha reso evidente a tutti Paesi europei che la sicurezza dei propri confini non è affatto da considerare scontata. Per questo motivo, l’Italia, secondo il ministro, “non può più permettersi di impiegare il proprio strumento militare nelle modalità che ha conosciuto negli ultimi trent’anni”, ovvero “prioritariamente nella conduzione di operazioni e missioni per il mantenimento della pace e della stabilità internazionale nonché in operazioni di concorso”. Difesa e deterrenza devono quindi essere i compiti principali dello strumento militare italiano. 

L’accento verso il primo dei compiti delle forze armate si riflette chiaramente nelle decisioni prese dal Dicastero riguardo i nuovi programmi da finanziare a partire dal 2023. Dei 4.623 milioni di euro messi a disposizione del dicastero per l’avvio di tredici nuovi programmi, più del 90% dei fondi sono dedicati a programmi di modernizzazione della componente corazzata dell’Esercito: si tratta dell’acquisto dei carri MBT Leopard 2 (volume finanziario pari a 2.264 milioni) e del progetto Armored Infrantry Combat System (AICS) per l’acquisizione di un sistema di sistemi per la fanteria pesante dell’Esercito (1.646 milioni). Anche se meno rilevante dal punto di vista finanziario, almeno nel triennio, un altro segnale importante in questo senso è l’assegnazione delle risorse per l’acquisto dei lanciarazzi multipli d’artiglieria ruotati M142 HIMARS a favore dell’Esercito, un sistema d’arma ampiamente utilizzato dalle forze ucraine nel conflitto con la Russia che rinforza decisamente le capacità di deep strike delle Forze armate italiane. 

La spesa militare e la quota indicata alla NATO

Il secondo aspetto rilevante riguarda il trend della spesa militare. Come affermato nel documento, il bilancio integrato della difesa, quello cioè che comprende tutte le fonti di finanziamento della difesa, incluse quelle provenienti da altri ministeri, continua a registrare un trend positivo nel 2023, nonostante l’aumento dei prezzi dei beni energetici. Il bilancio della difesa per il triennio è pari a 27.748 milioni di euro nel 2023, 27.278 milioni nel 2024 e 27.485 milioni nel 2025, cifre che rappresentano rispettivamente il 1.38%, 1.30% e 1.26% del pil nazionale. Nel 2022, l’Italia ha speso 26,9 miliardi di euro per la Difesa (bilancio a legislazione vigente), per cui l’aumento è di circa 736 milioni di euro.

Queste cifre, tuttavia, non consentono un’analisi completa delle risorse finanziarie a disposizione per la funzione Difesa. In primo luogo, perché non tengono conto dei finanziamenti a favore del Dicastero della Difesa da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMiT) – prevalentemente rivolte verso gli investimenti – e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) – prevalentemente rivolte verso le missioni all’estero. In secondo luogo, perché questi fondi inglobano anche la spesa per i carabinieri, un’istituzione che, sebbene faccia parte delle forze armate, non contribuisce direttamente all’assolvimento della funzione difesa, bensì a quella della funzione Sicurezza. 

Per calcolare la spesa per la funzione difesa, allora, occorre fare due calcoli. Innanzitutto, bisogna tenere conto dei fondi del MIMiT e del MEF. I fondi del MIMiT, destinati all’investimento, sono pari a 1.872 milioni nel 2023, 2.179 milioni nel 2024 e 2.513 nel 2025. I fondi del MEF, invece, destinati al sostenimento delle operazioni all’estero, sono pari a 1.547 milioni e, nella nostra analisi, non rientrano in nessuno di questi tre settori. Aggiungendo questi fondi si ottiene quello che la Difesa chiama Bilancio Integrato. Nel 2023, esso è pari a 30.758 milioni di euro, contro i 29.442 del 2022. Per il biennio successivo, è previsto che il bilancio integrato ammonti a un totale di 30.832 milioni nel 2024 e 31.396 milioni nel 2025. 

In secondo luogo, per ottenere l’ammontare totale dei fondi dedicati esclusivamente alla funzione difesa, occorre rimuovere dal bilancio integrato i fondi dedicati all’arma dei carabinieri. Si ottiene così quello che la Difesa chiama “Bilancio Integrato della Difesa in chiave NATO”, il quale si discosta dal bilancio integrato perché scorpora l’intero importo della Funzione Sicurezza presente nel bilancio, ad esclusione della quota parte afferente al personale dell’Arma dei Carabinieri cosiddetta “deployable”, cioè impiegabile presso i Teatri Operativi. Dato che per la funzione sicurezza vengono dedicati 7.617 milioni, il budget dovrebbe scendere a circa 23.141 milioni. Il Bilancio comunicato alla NATO però, aggiunge “l’importo della spesa pensionistica del personale militare e civile della Difesa sostenuta dall’INPS, includendo solo la quota deployable del personale dell’Arma dei Carabinieri”. La cifra finale comunicata all’Alleanza nel 2023 è quindi superiore alla cifra da noi calcolata ed è pari a 29.178 milioni di euro, in aumento di circa 400 milioni di euro rispetto ai 28.758 milioni di euro comunicati alla NATO nel 2022. 

Prima di passare alle conclusioni, analizziamo nel dettaglio come il Ministero della Difesa distribuisce i propri fondi. Prendiamo quindi i fondi messi a disposizione della funzione difesa del ministero. Questa cifra si ottiene sottraendo alle spese del Ministero della Difesa quelle per la Funzione Sicurezza del territorio, le Funzioni Esterne, e le Pensioni Provvisorie del Personale in Ausiliaria. Nel 2023, essa è pari a 19.555 milioni di euro, contro i 18.196 milioni di euro del 2022, un aumento di 1,5 miliardi. Significa che l’aumento della spesa è quasi esclusivamente a favore della Funzione Difesa. Di questi, 11.118,8 milioni sono dedicati al personale (salari), 2.336,6 all’esercizio (addestramento e manutenzione), e 6.100,5 all’investimento. Come si nota, le spese per la difesa sono sbilanciate a favore del personale (56,9% del totale) e dell’investimento (31,2%), mentre trascurano quelle per l’esercizio (11,9%). La spesa per il personale, nel 2023, aumenta di 514 milioni rispetto al 2022 e rimane sostanzialmente costante nel 2024 e 2025; la funzione esercizio aumenta di 266 milioni nel 2023, per poi ridursi di ben 408 milioni nel 2024 e 64 milioni nel 2025; la spesa per l’investimento aumenta di 679 milioni nel 2023, cala di 118 milioni nel 2024 e torna ad aumentare di 247 milioni nel 2025. 

I dubbi da sciogliere

I dati fin qui presentati permettono di svolgere alcune considerazioni riguardo la direzione che sta prendendo la difesa italiana. Procediamo con ordine e partiamo dal primo aspetto discusso, il focus sulla difesa e sulla deterrenza. In linea con questo obiettivo, la difesa investe pesantemente sulla componente corazzata. Sul tema in questione, è possibile formulare due riflessioni. La prima riguarda il bilanciamento con gli altri compiti delle Forze armate. A partire dal 2015, quando è stato pubblicato il Libro Bianco per la Difesa, tutti i documenti strategici di Palazzo Baracchini continuano a ripetere come un mantra che la principale area di interesse strategico dell’Italia è quella del Mediterraneo Allargato. La domanda che occorre porsi è quanto gli investimenti nella componente corazzata giovino alla politica militare italiana nel Mediterraneo Allargato. Nelle operazioni condotte dalle nostre forze in quest’area, l’Italia ha raramente fatto uso di mezzi corazzati. Investire pesantemente in unità che trovano poco spazio nel Mediterraneo Allargato è quindi una scelta che andrebbe ben ponderata con le esigenze delle forze italiane in questo fondamentale quadrante strategico. Come spiegava lucidamente Pietro Batacchi su Rivista Italiana Difesa ad aprile, l’Esercito Italiano dovrebbe attentamente valutare il mix tra componente corazzata e meccanizzata/ruotata, sulla base del bilanciamento tra impegno ad est ed impegno a sud. A riguardo, le priorità della strategia italiana, come dichiarato da Crosetto, dovrebbero essere ben delineate in un Strategia di Sicurezza Nazionale, a cui il DPP non fa però riferimento. 

La seconda riflessione riguarda l’effettivo raggiungimento della capacità di assolvere al primo compito delle Forze armate. Ritrovare le capacità di condurre operazioni convenzionali significa non solo procurarsi mezzi adeguati, ma anche (anzi, soprattutto) acquisire la capacità di impiegare e mantenere operativi questi mezzi. Ora, due dubbi sorgono a questo riguardo. Il primo riguarda tutte le forze armate. Come spiegato, mentre cresce la spesa per l’investimento, quella per l’esercizio rimane limitata. Il dato sulla distribuzione della spesa rappresenta uno dei maggiori problemi per le forze armate italiane, che dovrebbero teoricamente distribuire la spesa in maniera tale da conferire il 50% al personale, 25% all’esercizio e 25% all’investimento. Lo sbilanciamento delle spese oggi è soprattutto verso l’investimento, più che verso il personale. Tuttavia, acquistare mezzi senza poi avere la possibilità di usarli e mantenerli operativi rischia di risultare uno spreco di risorse. Tutto questo, poi, senza tenere conto dell’età del personale, che oggi per i graduati supera i 40 anni. 

Il secondo dubbio riguarda l’Esercito in particolare, quello su cui il DPP investe maggiormente. Benché il ministro invochi una maggior enfasi verso la difesa, il DPP spiega anche come ad oggi lo sforzo principale dell’Esercito in realtà sia l’operazione Strade Sicure. Si tratta di un’operazione che, come dimostrano decenni di ricerca scientifica sul tema in diversi continenti e come hanno lamentato anche i vertici militari italiani, nuoce all’addestramento delle unità. Probabilmente, se le Forze armate italiane devono riacquisire le capacità di combattere conflitti convenzionali, dovrebbero ridurre il loro impiego in compiti di polizia interna. 

Veniamo poi al dato sulla spesa in generale. Qui il dubbio sorge in merito al dato comunicato alla NATO. Come detto, l’Italia dichiara alla NATO una spesa pari a 29,7 miliardi, il che porterebbe la spesa militare italiana a una percentuale superiore al 1,5% del proprio PIL (circa 1,51%). Alcuni analisti, tuttavia, ritengono questa cifra non esattamente indicativa della reale spese militare per la Difesa. Secondo Giovanni Martinelli, analista molto attento alle questioni relative al budget, la cifra deve essere considerata molto inferiore. Studiando il DPP 2022-2024, Martinelli notava che la somma della Funzione Difesa (nel 2022 pari a 18.095 mln), dei fondi MISE (oggi MIMiT, nel 2022 pari a 2.426 mml) e dei fondi MEF (nel 2022 pari a 1.059 mln) era pari a 21.581 milioni, una cifra che di discostava di molto dalla cifra comunicata dalla difesa alla NATO, ovvero 28.856 milioni di euro. Allo stesso modo, Pietro Batacchi, calcolando sulle colonne di RID (fascicolo 2/2023) il dato sul budget totale della spesa militare italiana, otteneva un risultato diverso. Sommando la spesa per la funzione difesa (19.656 milioni), quelle messe a disposizione dal MIMiT (2.368 milioni), quelle messe a disposizione dal MEF (1.547 milioni) e quelle dei carabinieri dedicate alla funzione difesa (stimate pari a 500 milioni), il direttore otteneva una cifra pari a 24.080 milioni di euro, ben lontana da quella comunicata alla NATO. 

Ad oggi, pertanto, benchè l’Italia dichiari di spendere circa l’1,5% del proprio PIL in spese militari, la cifra effettivamente dedicata a garantire l’efficacia del nostro strumento militare è probabilmente inferiore, collocando il nostro Paese tra gli ultimi posti nella lista dei contributori NATO. Eppure, l’Italia dispone di Forze armate relativamente numerose se paragonate con gli altri principali Paesi Europei. Secondo l’IISS, nel 2022 l’Italia disponeva di 161.050 uomini in servizio attivo, la Francia 203.250, il Regno Unito 150.350, la Germania 183.150. Tuttavia, secondo l’IISS, l’Italia spendeva 29,4 miliardi, la Germania 50,5, la Francia 51,4 e il Regno Unito 74,6. Senza considerare, come si è detto, che l’Italia spende probabilmente meno di quanto dichiarato all’IISS, il dato indica che l’Italia è il Paese che spende meno in rapporto al personale (secondo questi dati, l’Italia spende 182.550 euro per ogni soldato, la Germania 275.730, la Francia 252.890, il Regno Unito 496.170). L’analisi è superficiale e richiede uno studio più approfondito. Tutto sommato, però, i calcoli svolti sembrano dimostrare che l’Italia spende tropo poco per delle Forze armate troppo numerose. 

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