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L’asse Budapest-Banja Luka che lega Bruxelles a Mosca bypassando Sarajevo

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Tra richieste di riconteggio e pronunce della corte federale d’appello, il 2 Novembre sono stati ufficialmente pubblicati gli esiti definitivi delle elezioni generali tenutesi il 2 Ottobre 2022 in Bosnia Erzegovina. La più contestata tra le nomine è subito apparsa, già dalla chiusura dei seggi, quella di Milorad Dodik, ex membro serbo della presidenza tripartita ed ora ufficialmente eletto Presidente della Republika Srpska. Nelle more del conteggio elettorale, durato un mese, Dodik
– dopo aver decretato unilateralmente la propria vittoria – non ha perso tempo: subito spesosi personalmente per richiedere un migliore trattamento di Radovan Karadzić, il Neopresidente ha recentemente visto approvare il nuovo budget a propria disposizione, portato da circa 2.5 milioni di euro ad oltre 28.

Il fondo “di assistenza”

Oltre all’aperto allineamento verso Putin, con cui ha avuto diversi colloqui, Dodik è apprezzato anche dal Presidente della Croazia, Zoran Milanović, che ha dichiarato di volere “un serbo del genere come vicino”. Un vicino più discreto, ma decisamente generoso, è invece Viktor Orbán.

La generosità di Orbán verso la Republika Srpska si può quantificare in 100 milioni di euro, tanti sono i fondi “di assistenza” promessi durante un incontro privato tra Dodik ed Orbán tenutosi vicino Banja Luka nel novembre 2021.

Il denaro messo a disposizione dall’Ungheria dovrà essere utilizzato per coprire fino al 70% del finanziamento concesso agli agricoltori per l’acquisto di macchinari di fabbricazione ungherese.

Questo si traduce nel semplice effetto per cui la quasi totalità del denaro proveniente dall’Ungheria, vi farà presto ritorno.


Successivamente, gli agricoltori della Republika Srpska saranno necessariamente legati all’economia ungherese per la manutenzione e l’accessorizzazione dei macchinari acquistati. Questo non è di per sé negativo, potendo potenzialmente rappresentare una situazione vantaggiosa per entrambe le parti. Certamente, non dev’essere equivocato con un fondo “di assistenza” – ricorda il Prof. Cavalic dell’Università di Tuzla – ma piuttosto come un’attività promozionale.

Ma i legami tra Dodik ed Orbán si estendono ben oltre il finanziamento per l’acquisto di macchinari agricoli: entrambi condividono il pensiero secondo cui è in atto una “grande sostituzione islamica”.

Dopo un nuovo sforzo di Orbán per bandire l’ingresso di migranti musulmani in Ungheria, Dodik ha espresso il suo sostegno: “l’Europa, tramite l’immigrazione, sta lavorando per abolire il suo futuro biologico basato sui principi e valori cristiani”, sostiene il leader di Banja Luka.


Se Orbán vuole tenere fuori i musulmani dal suo Paese, Dodik deve digerire il fatto che in Bosnia Erzegovina quasi due milioni di cittadini siano di fede islamica.

Il difficile rapporto con l’UE

I già complessi rapporti dell’UE con l’Ungheria si scoprono tesi su un ulteriore fronte, quello dell’allargamento europeo nei Balcani occidentali.
 Questa rientra tra le priorità dell’Unione, impegnata in Bosnia con la più grande missione militare della sua storia (EUFOR Althea), per garantire la sicurezza dei cittadini comunitari e reprimere i tentativi di destabilizzazione regionale.

Se per la Serbia dell’alleato Vučić, l’Ungheria sostiene la necessità di accelerare il processo di adesione, per la Bosnia Erzegovina la questione è ben diversa.

“La sfida con la Bosnia è l’integrazione di un paese con due milioni di musulmani” ha tuonato Zoltán Kovács, portavoce del governo ungherese.

Queste dichiarazioni hanno immediatamente destato scalpore a Sarajevo, dove la coalizione dei partiti bosgnacchi ha chiesto di indicare Orbán come persona non grata. “Non è una sfida integrare due milioni di musulmani nell’UE” ha sferzato Dzaferović, membro bosgnacco della Presidenza bosniaca “perché siamo persone indigene europee che hanno sempre vissuto qui”.

Non sembra invece aver scatenato grandi preoccupazioni a Bruxelles, forse complice il delicato ruolo di Olivér Várhelyi, Commissario Europeo per l’allargamento e la politica di vicinato.

L’affidamento proprio all’Ungheria del dicastero per l’allargamento europeo rende inevitabile chiedersi se Varhelyi potrà realmente promuovere oltre i confini comunitari – specialmente quelli delicatissimi della Bosnia Erzegovina – i valori di fratellanza europea, quando il suo stesso Paese ne mette in dubbio la sovranità.

Un nuovo attore a Banja Luka

Ritornando in Bosnia Erzegovina, più precisamente in Republika Srpska, Budapest può festeggiare un nuovo punto di contatto a Banja Luka: László Márkusz.

Fresco di nomina come Direttore dell’Ufficio regionale dell’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Mákrusz sarà responsabile per la facilitazione dell’implementazione del Dayton Peace Agreement in Republika Srpska.

Risalta certamente il fatto che ad intrattenere il delicatissimo ruolo di liaison con Milorad Dodik, che minaccia quotidianamente la secessione, sia stato nominato ancora una volta un diplomatico ungherese.

L’esperienza di Márkusz è assolutamente innegabile, avendo già lavorato in Bosnia e nella regione, com’è però innegabile che Budapest abbia guadagnato un nuovo avamposto nei Balcani di cruciale importanza.

La lunga strada che da Bruxelles porta a Mosca, passando da Budapest a Banja Luka, si rivela quindi ricca di attori ungheresi, e mentre l’Unione europea rimane assopita, l’Ungheria promuove i propri interessi bypassando Sarajevo.

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