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Confronto tra l’influenza di Cina e USA nel Corno d’Africa: il caso del Djibouti

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Per via della sua posizione strategica sullo stretto di Bab el-Mandeb, il Djibouti si trova al centro di alcune tra le maggiori rotte commerciali internazionali. Tuttavia, questo piccolo stato del Corno d’Africa risulta essere estremamente importante anche sotto un alto punto di vista. Ben sei paesi stranieri, fra cui l’Italia, vi hanno stabilito delle basi militari, che forniscono un importante punto di appoggio per le operazioni contro la pirateria somala, il controllo della situazione di instabilità legata al conflitto in Yemen, e lo spiegamento di missioni umanitarie. A partire dal primo agosto 2017, data ufficiale di apertura della base di supporto dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL), la presenza cinese in Djibouti si è fatta determinante. L’influenza di Pechino in quest’area è sempre più cruciale, mentre quella di Washington, che pure può contare sulla base militare di Camp Lemonnier, non si è evoluta significativamente nel corso dei mandati degli ultimi quattro presidenti. 

La Cina in Djibouti: tra interessi economici e geostrategici

Gli interessi di Pechino in Djibouti possono essere divisi in due categorie principali: economici e strategico-militari. Per quanto riguarda i primi, questo stato rappresenta senza dubbio uno snodo cruciale all’interno del ramo marittimo della Nuova Via della Seta (BRI). Fra le operazioni più significative in quest’ambito, vi è la costruzione e gestione del Doraleh Multipurpose Port (DMP), progettato e realizzato da compagnie cinesi tra il 2013 e il 2017, grazie a un investimento di 590 milioni di dollari finanziato dalla Export-Import Bank of China. Si tratta di un’infrastruttura gestita da una joint venture formata dall’autorità portuale del governo djiboutiano e dalla China Merchants Port (CMPort), divenuta ormai un hub commerciale di estrema importanza, che consente l’approdo di portacontainer e fornisce un supporto logistico alle navi che attraversano il Mar Rosso. Sono cinesi anche le compagnie impegnate nello sviluppo della Free Trade Zone attigua al porto, la più estesa dell’Africa, che mira ad essere un centro economico di importanza globale. Oltre a ciò, è necessario ricordare che il DMP è connesso con l’Etiopia, il principale partner commerciale del Djibouti. La costruzione della ferrovia per Addis Abeba è una delle ragioni per cui l’Etiopia è già indebitata con Pechino per un totale che secondo le stime ammonterebbe a 13.7 miliardi di dollari, e deve alla Cina la realizzazione o il miglioramento di buona parte delle sue infrastrutture. Per quanto riguarda il versante marittimo, invece, trovandosi proprio nel punto d’accesso meridionale al Mar Rosso, il DMP è attraversato giornalmente da ingenti flussi commerciali, e costituisce un punto d’approdo quasi simmetrico rispetto a Gwadar, in Pakistan. Le navi cinesi che partono da Doraleh si trovano già nel golfo di Aden, da dove possono raggiungere facilmente Gwadar e viceversa, creando una connessione che aumenta l’efficienza della BRI.

Quest’ultima caratteristica risulta fondamentale anche nell’ambito degli interessi strategico-militari di Pechino. La base di supporto dell’EPL è una delle perle della supposta strategia cinese rivolta all’Oceano Indiano. Se si considera che il porto di Gwadar ha un ruolo centrale nel garantire la sicurezza in quest’area, che è pattugliato da navi della marina pakistana comprate proprio dalla Cina e che, per la sua profondità, potrebbe tranquillamente ospitare anche quelle dell’EPL, è chiaro come Pechino abbia rafforzato la sua presenza quest’area. Ufficialmente, la Cina ha dichiarato che la nuova base deve soltanto fornire un supporto alle navi militari già operanti nella zona, e non è dunque in contrasto con il principio di non interferenza nella politica degli altri paesi. A supporto di queste affermazioni sembra esservi il fatto che nonostante la base sia costruita per ospitare fino a 10000 uomini, ad oggi ne sono stati inviati circa 2000. Tuttavia, questa rimane la prima base di supporto militare cinese in uno stato straniero, e potrebbe rappresentare la volontà di Pechino di ripetere questa strategia in un altro paese africano o dell’area MENA. 

Gli USA in Djibouti: una base per la lotta al terrorismo

La presenza statunitense in Djibouti ha caratteristiche del tutto diverse da quella cinese. In primo luogo, è importante sottolineare che gli affari africani, fatta eccezione per il periodo della Guerra Fredda, hanno sempre avuto una posizione secondaria nell’agenda politica di Washington. Soprattutto per via del fallimento delle operazioni in Somalia all’inizio degli anni Novanta, le missioni umanitarie americane in Africa sono drasticamente ridotte, e i bombardamenti contro le ambasciate in Kenya e Tanzania del 1998 hanno fatto sì che l’Africa entrasse nell’immaginario americano come il teatro di gravi attacchi terroristici. Soltanto all’inizio degli anni Duemila, gli Stati Uniti hanno fatto il primo passo per la creazione di una politica commerciale per questo continente. 

Per quanto riguarda il Djibouti, le sue relazioni diplomatiche con gli USA sono formalmente iniziate nel 1977, anno della sua indipendenza. Durante la Guerra del Golfo, questo stato è risultato particolarmente importante proprio per USA e Francia, che lo hanno utilizzato come base. Lo stesso è stato durante la campagna statunitense in Somalia, anche se il suo supporto, dopo poco tempo, non è più stato riconosciuto dagli americani come il Djibouti avrebbe sperato. Tuttavia, l’escalation dei fenomeni terroristici alla fine degli anni Novanta ha fatto sì che si ritrovasse in prima linea nel supporto agli Stati Uniti nella lotta contro gli estremisti islamici.

Questa caratteristica è stata cruciale per la formulazione delle politiche degli ultimi quattro presidenti nei suoi confronti.  Fra le priorità che i loro governi evidenziano, spicca la risoluzione del problema del terrorismo, oltre allo sviluppo di operazioni di aiuto umanitario. Con la presidenza di George W. Bush, debellare l’estremismo islamico richiedeva l’utilizzo delle forze stanziate in Djibouti. Sebbene fossero anni in cui cresceva la presenza cinese nell’area, Pechino non era considerata una minaccia agli interessi americani. La politica di Obama ha invece messo l’accento sull’aspetto umanitario, ma di fatto ha portato all’aumento delle forze militari in Africa. Inoltre, il suo impegno sul fronte del commercio non ha favorito i risultati sperati, e nel 2009 la Cina ha superato gli USA diventando il primo partner commerciale degli stati africani. 

Solo con Trump il ruolo assunto dalla Cina è stato riconosciuto come svantaggioso per gli Stati Uniti. Tuttavia, le politiche adottate dalla Casa Bianca hanno portato alla riduzione dei finanziamenti destinati alle operazioni umanitarie e a una rinnovata attenzione alla sicurezza. Anche il governo Biden è consapevole della notevole influenza cinese in Djibouti, ma continua a ritenere prioritaria la lotta contro la minaccia di Al-Shabaab, come denota la visita ufficiale della Consigliera per la sicurezza interna degli Stati Uniti Liz Sherwood-Randall in questo stato nel 2021.

Conclusione: il vantaggio cinese in Djibouti 

Sebbene la presenza cinese in Djibouti sia più recente rispetto a quella degli Stati Uniti, il suo peso è sempre più determinante per il futuro sviluppo di questo stato e di tutto il Corno d’Africa. Gli investimenti legati alla BRI hanno una diretta influenza sull’apparato economico djiboutiano, mentre l’apertura della base di supporto dell’EPL ridisegna la situazione strategica del Golfo di Aden e, più in generale, dell’intera area MENA. L’espansione cinese, svincolata da qualsiasi condizionalità di tipo politico, si distingue dalla discontinuità dell’interesse statunitense per il Corno d’Africa. Un confronto fra la presenza americana e cinese in Djibouti non può che prendere atto del fatto che si tratta di approcci completamente diversi, ma che lo sviluppo della BRI avrà un impatto di lungo termine vantaggioso per il territorio. La scarsa attenzione americana verso quest’aspetto, e il taglio agli aiuti umanitari in favore del sostegno alla lotta armata contro l’estremismo islamico potrebbero ridurre l’influenza statunitense in Djibouti e nel resto del Corno d’Africa, favorendo il sostegno internazionale alla Cina da parte di questi stati.

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