Inaugurato, lo scorso 17 settembre, il nuovo comando operativo NATO in terra statunitense. Il Joint Force Command (JFC Norfolk) – questo il nome scelto per la nuova struttura dell’Organizzazione dell’Alleanza Atlantica fondata a Norfolk (Virginia) – avrà il compito di assicurare la sicurezza dei collegamenti marittimi tra le due sponde dell’Atlantico: una questione che, già cruciale nel lontano 1949, sta acquisendo una maggiore rilevanza anche a causa dell’accentuarsi della competizione internazionale nella regione artica.
Il nuovo comando
Attivata dal Consiglio Atlantico – il massimo organo assembleare dell’Alleanza – nel luglio 2019, la nuova struttura di difesa della NATO avrà il compito di rafforzare la prontezza militare dell’Alleanza nell’Oceano Atlantico – in particolar modo nel Nord Atlantico e nell’High North (la fascia marittima compresa tra il Mare di Norvegia e il Mare di Barents) – e i legami transatlantici con gli alleati e i partner presenti nella regione. Attraverso la creazione del JFC Norfolk, che porta a tre il numero complessivo dei comandi operativi Nato e a due le strutture militari dell’Alleanza presenti in territorio statunitense (rispettivamente i JFC di Brunssum e Napoli e l’Allied Command Tranformation), l’Alleanza ha ricostituito una struttura dedicata unicamente alla dimensione oceanica di cui era priva dagli inizi degli anni duemila: il processo di adattamento e ristrutturazione della struttura Nato avviato a seguito del summit di Praga del 2002, infatti, determinò la chiusura dell’Allied Command Atlantic, attivo dall’aprile 1952.
Riprendendo – seppur con modalità diverse – quanto fatto per circa cinquant’anni dalla vecchia struttura della NATO, il comando si occuperà di pianificare, preparare e condurre operazioni aeree, navali e terrestri nella propria area di competenza al fine di rafforzare la difesa delle linee di comunicazioni transoceaniche, come sottolineato dallo stesso Segretario Generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg in occasione dell’inaugurazione. Un’idea rimarcata anche dallo stesso comandante del JFC Norfolk e già comandante della ricostituita Seconda flotta statunitense, il Vice Ammiraglio Andrew Lewis: il comandante ha tenuto a precisare come la creazione della struttura rappresenti la risposta dell’Alleanza alla crescente complessità di questo particolare scenario operativo. In un evento organizzato lo scorso febbraio dallo U.S. Naval Institute e dal Center for Strategic and Strategic Studies (CSIS), Lewis aveva sottolineato come il Nord Atlantico non possa essere più considerato come un “paradiso sicuro” per le navi statunitensi e alleate a causa della maggiore presenza dei sottomarini russi nell’aerea.
Ferme restando le prerogative acquisite dalla nuova struttura di Norfolk, le attività legate più strettamente legate all’attività di combattimento, rientranti nella dimensione tattica, resteranno di competenza dell’Allied Maritime Command (Marcom). Presente nella cittadina inglese di Northwood – poco chilometri linea d’aria dal centro di Londra – dal 2012, il comando gestisce le quattro flotte multinazionali NATO che hanno l’obiettivo di assicurare la difesa navale dell’Alleanza: due hanno capacità di superficie (Standing NATO Maritime Group One e Two) mentre le restati sono dotate capacità di mine warfare (Standing NATO Mine Countermeasures Group One e Two).
La difesa dell’Atlantico e la creazione dell’alleanza: “le stepping stones countries”
Tralasciando per un momento le motivazioni che hanno spinto gli stati membri alla creazione del nuovo comando e mettendo da parte la discussione riguardo la possibilità e l’opportunità di un eventuale ampliamento della presenza dell’Organizzazione del Patto Atlantico nella regione polare, è bene fare un passo indietro e sottolineare come l’esigenza di assicurare la difesa dei collegamenti transatlantici sia stata fondamentale per la stessa creazione dell’Alleanza Atlantica.
Nel libro The Long Entanglement, lo storico Lawrence Kaplan ha sottolineato come l’effettivo controllo delle tratte oceaniche sia stato uno degli elementi centrali dei colloqui tra gli Stati Uniti, il Canada e gli stati del Patto di Bruxelles (Francia, Regno Unito, Benelux) riguardo la membership della futura alleanza: se da un lato, gli stati europei si dimostravano restii a un allargamento che andasse oltre la mera adesione degli stati d’oltreoceano all’estensione geografica del Patto di Bruxelles, dall’altro lato gli Stati Uniti – supportati dai vicini canadesi – sostenevano che solo l’allargamento ad alcuni specifici stati europei avrebbe potuto assicurare il corretto dispiegamento della macchina militare statunitense sul continente europeo in caso di aggressione sovietica. Oltre alle considerazioni politiche legate alla volontà di stemperare potenziali istanze isolazioniste del Congresso e dell’opinione pubblica che avrebbero potuto minare alla base l’intero progetto, la ferma posizione dell’amministrazione Truman riguardo l’allargamento prendeva in esame anche dinamiche più strettamente legate alla dimensione strategica e militare. Ipotizzando lo sviluppo di un nuovo conflitto mondiale sulla falsa riga di quello appena concluso – con una potenziale avanzata sovietica terrestre in Europa occidentale – solo un “ponte” sull’Atlantico avrebbe potuto assicurare un’effettiva risposta militare statunitense: “senza le Azzorre, l’Islanda e la Groenlandia, affermò il diplomatico statunitense Charles Bohlen in uno dei colloqui precedenti alla firma del Trattato, potrebbero non arrivare aiuti sufficienti in Europa [in caso di attacco sovietico]”.
Analizzando l’affermazione di Bohlen è possibile individuare già alcuni degli stati ritenuti dalla presidenza Truman fondamentali per consentire alle forze statunitensi di guadare l’Atlantico (per questo motivo questi stati vennero definiti dai membri del Patto di Bruxelles come “stepping stones countries”, letteralmente “le pietre su cui si salta”).
La particolare posizione geografica della Groenlandia, proiettata nella regione polare e a ridosso del continente americano – fondamentale sia per la difesa degli Stati Uniti sia del Canada e già inserita nella sfera di protezione statunitense negli anni ’40 del secolo scorso – aprì le porte della nuova alleanza al piccolo Regno di Danimarca.
Un discorso simile venne fatto per l’Islanda, cruciale per il controllo della rotta atlantica settentrionale e ideale base di scalo per le navi e gli aerei provenienti dal continente americano. Così come la Groenlandia, anche l’Islanda era stata ricompresa nel sistema di difesa statunitense nei mesi che precedettero l’entrata degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale. Le iniziali reticente del governo islandese verso un tipo di alleanza che sembrava mettere in pericolo lo status di nazione pacifica e avversa alla presenza di truppe straniere sul proprio territorio in tempo di pace vennero superate, secondo quanto riportato da Kaplan, grazie all’intervento del segretario di Stato statunitense Dean Acheson: il segretario, infatti, rassicurò il ministro degli Esteri islandese Bjarni Benediktsson della natura difensiva della nascente alleanza.
Volendo assicurarsi l’intero controllo della rotta atlantica settentrionale – al fine anche di scongiurare un potenziale aggiramento sovietico a nord – apparì centrale per l’amministrazione Truman l’inserimento dei Regni di Norvegia e Svezia nella nuova compagine occidentale: se la Svezia decise di restare fedele alla propria tradizione di neutralità, la crescente pressione subita dalla Norvegia per mano dell’Unione Sovietica condusse lo stato a schierarsi per la nascente alleanza, mettendo definitamente da parte ogni tentativo di dar vita ad un patto di difesa esclusivamente scandinavo.
Peculiare e indicativo dell’importanza rivestita dal controllo dell’Oceano Atlantico all’interno della strategia di difesa statunitense, fu il caso portoghese. L’indiscussa rilevanza delle isole Azzorre per il controllo della rotta atlantica centrale fu dirimente riguardo la decisione degli altri stati di supportare la decisione statunitense di far entrare nel gruppo dei fondatori uno stato autoritario, guidato da un regime clerico-fascista che poco o nulla aveva in comune con altri membri e che mal si conciliava con il preambolo del trattato firmato a Washington il 4 aprile 1949, nel quali si affermava la volontà dei firmatari di salvaguardare un comune retaggio fondato sulla “democrazia, le libertà individuali e la preminenza del diritto”. Un compromesso morale, in sintesi, dettato dalla necessità di assicurarsi tutta la potenza della macchina statunitense in caso di necessità.
Iceberg all’orizzonte: l’Alleanza fa rotta verso il Polo Nord?
La decisione dell’Alleanza di creare una struttura interamente dedicata al rafforzamento militare nel Nord Atlantico (così come quella degli Stati Uniti di ricostituire una flotta atlantica smantellata nel 2011) si lega – riprendendo quanto affermato dal Vice Ammiraglio Lewis – alla consapevolezza di una maggiore presenza russa nell’area atlantica, particolarmente nell’High North.
La volontà russa di rinvigorire la propria presenza nella regione risulta particolarmente evidente se si considerano gli sforzi profusi dal Cremlino per ripristinare e ammodernare le infrastrutture militari polari utilizzate in epoca sovietica: le attività polari di Mosca, come riportato in un report pubblicato lo scorso anno dal think tank britannico Chatham House, hanno registrato un deciso incremento dal 2010; nel 2014 – invece – la creazione di nuovo comando militare congiunto per il Nord presso la città di Severomorsk, nella penisola di Kola (nel nord-ovest dello stato). Un rafforzamento quello russo, spiegabile anche in considerazione dell’importanza strategica che la regione artica e le acque prospicienti assumono all’interno della struttura di difesa russa: l’area ospita circa 2/3 delle intere capacità di second strike russe, ovvero delle capacità che consentono di rispondere ad un attacco nucleare.
Sebbene la creazione della nuova struttura NATO si possa considerare come lo strumento scelto dell’Alleanza per mettere in sicurezza le tratte fondamentali per la difesa euro-atlantica in ragione della nuova assertività russa, tutto resta ancora da decidere riguardo il ruolo che l’Alleanza e la sua Organizzazione dovrebbero ricoprire nell’area artica, anche in considerazione dei nuovi rischi e delle opportunità connesse allo scioglimento della calotta polare (comprese la creazione di nuove rotte marittime). Affermare, infatti, che le due realtà atlantiche abbiano già un ruolo definito nella regione in considerazione della larga adesione degli stati artici alla compagine euro-atlantica – su 8 stati artici, 5 fanno parte dell’Alleanza (Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia, Stati Uniti, Finlandia, Svezia e Russia) – sarebbe erroneo, come affermato da Anna Wislander – Direttrice per il settore Nord Europa dell’Atlantic Council e già Segretario Generale della Swedish Defence Association – in un articolo pubblicato su DefenseOne.
Nell’ottica di un’Alleanza e di una NATO in costante adattamento per rispondere alle sfide futuro – mediante, ad esempio, il progetto NATO2030 avviato dal Segretario Generale Stoltenberg – l’approccio strettamente nazionale alle questioni polari utilizzato finora non sembrerebbe più essere il mezzo idoneo per far fronte alle sfide che affiorano come iceberg tra i sempre più sottili ghiacci polari: il pensionamento di un approccio così configurato sembrerebbe superabile anche in vista di un mutamento delle posizioni degli stessi stati artici atlantici che, come sostenuto dall’Assistente del Segretario Generale dell’Alleanza per gli investimenti per la difesa Camille Grand, parrebbero desiderosi di sostenere una maggiore azione dell’Alleanza nella regione. In questo senso, la creazione del JFC Norfolk potrebbe rappresentare non il punto di arrivo ma solo il punto di partenza per un ulteriore ampliamento della dimensione oceanica dell’Alleanza che ricomprenda un maggiore attivismo politico-militare delle strutture atlantiche in una regione sempre più centrale nelle agende di numerosi attori internazionali e così rilevante per la difesa di quel “ponte” immateriale gettato sull’Atlantico circa settant’anni fa.
Danilo Mattera,
Geopolitica.info