Nel pomeriggio del 3 novembre, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha pronunciato il suo primo discorso pubblico dall’inizio del conflitto tra Hamas e Israele. In diverse capitali regionali, da Beirut a Damasco, da Sana’a a Baghdad, sono state organizzate località pubbliche di ascolto del discorso del leader libanese, evidenza di come l’appuntamento fosse da interpretare come un evento di “marketing” legato alla comunicazione esterna di Hezbollah piuttosto che una manovra “operativa” attraverso cui annunciare un cambio di postura dell’attore libanese. Solo nella parte conclusiva del suo discorso, a più di un’ora dal suo inizio, Nasrallah ha affrontato nello specifico il tema del ruolo presente e futuro di Hezbollah nel confitto. Si tratta di una scelta oculata volta a far passare il seguente messaggio: al netto della retorica e delle circoscritte azioni di disturbo operate lungo la Linea Blu, in questa fase delle ostilità Hezbollah sta segnalando la sua preferenza, e probabilmente quella dell’Iran, per un cessate-il-fuoco e quindi non per un allargamento regionale delle ostilità. Allo stesso tempo, tuttavia, Nasrallah ha dichiarato che «tutte le opzioni sono sul tavolo», facendo intendere che il prolungamento del conflitto potrebbe spingere Hezbollah e gli altri “membri dell’asse della resistenza” a entrare in guerra.
La genesi “locale” del conflitto
In tutta la prima parte del suo discorso Nasrallah ha tentato di presentare il framework entro cui l’attacco del 7 ottobre ha avuto luogo. L’obiettivo centrale di questa prima parte era chiaro: squalificare la tesi, invero piuttosto realistica, per cui l’attacco di Hamas andrebbe inserito in un disegno regionale che punti a far saltare la normalizzazione israelo-saudita e più in generale il processo di integrazione tra Israele e Paesi arabi inaugurato con la firma degli accordi di Abramo, inviso all’Iran e ai suoi alleati. Secondo le parole del leader libanese la causa del conflitto in corso è da attribuire unicamente allo stato dell’arte dei rapporti israelo-palestinesi, e in particolare allo stato di sofferenza patito dalla popolazione palestinese. Quattro sono i punti critici evidenziati da Nasrallah: i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane; la permanenza di uno stato di occupazione su Gerusalemme Est e le tensioni di al Aqsa; il permanere del blocco totale sulla Striscia di Gaza; la politica degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e le operazioni militari nell’area. Come ribadito a più riprese, per Nasrallah l’operazione del 7 ottobre è da ascrivere interamente alle “dinamiche palestinesi”, escludendo una lettura regionale delle ostilità in cui altri attori, a partire dall’Iran, possano aver avuto un ruolo.
Il ruolo dell’Iran e degli attori esterni
Alla prima parte del discorso si lega un secondo importante passaggio dedicato al ruolo dell’Iran e degli altri membri di quello che Nasrallah definisce l’asse della resistenza. In questo passaggio, non solo il leader libanese esclude che dietro la decisione di Hamas di lanciare l’attacco contro Israele ci fosse una regia iraniana, ma evidenzia come attori come Hezbollah godano di una totale autonomia decisionale rispetto a Teheran. Si tratta di una affermazione che mira da un lato a rinforzare la tesi della “genesi locale” del conflitto in corso, rivolgendo quindi il messaggio a Israele e ai suoi principali alleati internazionali (Stati Uniti e Paesi europei). In seconda battuta, si tratta di parole che si rivolgono all’opinione pubblica interna libanese, con l’obiettivo di rimarcare l’indipendenza decisionale del partito di Dio rispetto a ingerenze esterne, al fine di non intaccare lo status di cui Hezbollah gode in patria. Va infatti evidenziato come in questa fase una delle maggiori preoccupazioni di Nasrallah è quella di escludere l’emersione di un fronte interno di opposizione libanese che possa mettere in discussione lo status quo politico-militare nel Paese. Va ricordato che il Libano sta attraversando ormai da quattro anni una delle peggiori crisi economica, sociale e politica della sua storia. L’eventuale apertura di un fronte settentrionale della guerra con Israele potrebbe rappresentare una valvola di sfogo in grado di mettere in discussione la supremazia del partito sciita nel Paese dei cedri. È proprio questo lo scenario che Nasrallah vorrebbe evitare.
Lessons learned e mosse future
La terza parte del discorso ha riguardato più nello specifico l’evoluzione del conflitto sul piano operativo, il ruolo di Hezbollah e gli scenari futuri. Secondo Nasrallah, le perdite causate a Israele da parte di Hamas hanno messo in evidenza la vulnerabilità delle forze armate israeliane anche in presenza di un massiccio sostegno da parte degli Stati Uniti. Dal suo punto di vista si tratta di un’evidenza incoraggiante che deve motivare ulteriormente gli attori che si oppongono allo Stato ebraico, la cui aura di infallibilità è venuta meno. È proprio in questa parte del suo discorso che Nasrallah ha tentato di trasmettere al pubblico l’importanza che Hezbollah ha avuto sul piano militare nel “fronte libanese” fino a questo momento. Elencando la tipologia di attacchi operati da nord, e i sistemi d’arma utilizzati, il leader sciita ha tentato di disinnescare i malumori interni di chi chiede a Hezbollah di entrare in guerra in maniera più decisa, affermando che l’organizzazione da lui guidata è già entrata in guerra. Tenendo impegnata una parte dell’esercito israeliano sul fronte settentrionale, secondo Nasrallah Hezbollah ha raggiunto l’obiettivo di alleggerire la pressione su Hamas nel fronte meridionale.
Infine, il passaggio più interessante è quello dedicato all’endgame proposto da Hezbollah. Questo si compone di due direttrici. La prima è la richiesta di cessate-il-fuoco; la seconda, e più importante, è la tesi per cui solo una soluzione diplomatica può risolvere il problema degli ostaggi. Se messi a sistema, questi due elementi confermano la volontà di Hezbollah di sostenere la posizione di Hamas ma senza rischiare di essere trascinata in un conflitto allargato che potrebbe in una seconda fase mettere in discussione la sua posizione di potere in Libano. Leggendo tra le righe del discorso di Nasrallah, si può ritenere che ancora in questa fase Hezbollah non miri a un allargamento regionale del conflitto. Ipotesi che conferma come, in realtà, l’obiettivo primario dell’attacco di Hamas del 7 ottobre non fosse di natura militare – la distruzione di Israele (ipotesi che avrebbe richiesto un ingresso in guerra immediato di Hezbollah e Iran) – ma politico – far saltare l’integrazione arabo-israeliana sul piano regionale. Richiamando il ruolo di disturbo giocato dalle milizie yemenite e irachene negli ultimi giorni, e pronunciando un appello ai Paesi arabi al fine di sostenere con maggiore vigore le ragioni palestinesi, Nasrallah ha concluso il suo lungo intervento facendo intendere che ancora, in questa fase, sull’asse Iran-Hezbollah l’imperativo è quello di indebolire il più possibile Israele senza dover entrare direttamente in campo. Ipotesi in cui, come sanno bene a Beirut e a Teheran, il discredito e la debolezza domestica dei due attori rischierebbe di farli vacillare una volta per tutte.