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TematicheCina e Indo-PacificoLa diplomazia marittima del Vietnam nel Mar Cinese Meridionale

La diplomazia marittima del Vietnam nel Mar Cinese Meridionale

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Lo scenario del Mar Cinese Meridionale si configura come un crogiolo in cui diversi Stati competono per l’affermazione della propria sovranità su zone contese, ricorrendo a metodi che ricadono al di fuori dei parametri che costituiscono lo scontro convenzionale. Per il Vietnam la maritime diplomacy risulta un mezzo particolarmente utile per il contenimento delle ambizioni cinesi nelle isole Spratly e Paracelso.

L’evoluzione dei rapporti sino-vietnamiti 

La Cina e il Vietnam condividono una recente storia comune, politiche economiche analoghe e ritmi di crescita incalzanti. La Repubblica Popolare Cinese è il maggiore partner strategico per Hanoi, capace di generare un trade turnover di 175.57 miliardi di dollari. Nonostante ciò, i rapporti sino-vietnamiti celano una complessa ambivalenza che caratterizza la storia dei due paesi dall’epoca degli Han fino a quella dei Ming, giungendo alla lotta anticoloniale del XX secolo e passando per la terza guerra d’Indocina, fino ad arrivare all’attuale contesa nel Mar Cinese Meridionale per il controllo delle isole Spratly e Paracelso.
La nine-dash line, che idealmente ricomprende le zone marittime rivendicate da Pechino, confligge in modo evidente con la ZEE proclamata dal Vietnam, oltre che con le pretese di altri attori regionali presenti in loco. La situazione di tensione ha causato una corsa al dragaggio dei fondali, culminata con il fenomeno delle cosiddette isole artificiali. La Cina controlla al momento 20 atolli nelle isole Paracelso e 7 nelle Spratly, dove ha portato in superficie 3.200 acri, espandendo notevolmente la superficie a disposizione su cui costruire installazioni militari. Stando infatti all’AMTI, questi avamposti sarebbero capaci di ospitare apparecchiature di comunicazione, torri radar, piste per ogni sorta di veicolo aereo, compresi i bombardieri strategici, asset anti aircraft, Close-in Weapon Systems (CIWS), piattaforme SAM (HQ-9), missili da crociera antinave (YJ-12B) e mast telescopici per il posizionamento di jamming systems. Sebbene il Vietnam controlli più atolli nelle Spratly, questi risultano notevolmente meno estesi e fortificati; alcuni riescono ad ospitare al massimo un eliporto.
È proprio a causa della contesa nel Mar Cinese Meridionale che i due paesi hanno conosciuto il maggior momento di tensione dalla normalizzazione dei loro rapporti nei primi anni Novanta. Infatti, nel 2014 la compagnia petrolifera statale cinese aveva installato la piattaforma Haiyang Shiyou 981 a sole 120 miglia nautiche dalle coste vietnamite, reclamando la potestà dei giacimenti in modo plateale e suscitando ostilità da parte di Hanoi. Ne conseguì uno scontro tra pescherecci e guardie costiere che coinvolse centinaia di navi, vide l’impiego di cannoni ad acqua e l’affondamento di un’imbarcazione vietnamita. 

Modernizzazione della Marina Vietnamita

Le tensioni nel Mar Cinese Meridionale sono state recepite dal White Paper del 2019, rilasciato dal Ministero della Difesa Nazionale del Vietnam. Sebbene la Cina non sia menzionata esplicitamente, risulta visibile una certa preoccupazione per la situazione negli arcipelaghi, che si accompagna ad un posato sospetto per lo sviluppo della Belt and Road Initiative nella penisola indocinese. Lo scopo della Marina Popolare del Vietnam (VPN) è raggiungere il completo ammodernamento dei propri asset entro il 2030, proseguendo un progetto iniziato nel decennio precedente. A tale scopo il Vietnam si è dotato di 6 sottomarini SSK classe Kilo, di 4 corvette Gepard 3.9 e di 8 Tarantul V, modificate nei cantieri navali vietnamiti per rispondere alle sfide poste dallo specifico contesto regionale. Oltre al dibattito sul possibile acquisto di caccia di quinta generazione e di missili BrahMos, per rendere efficace una moderna green water navy risulta essenziale accrescere le capacità ASW (anti-submarine warfare) e ISR (Intelligence Surveillance and Reconnaisance) della VPN. Proprio a tale scopo, il Vietnam ha recentemente avviato una produzione domestica di UAV al fine di sopperire alla carenza di asset unmanned, solitamente acquistati da paesi occidentali.
Il rafforzamento delle difese costiere e la modernizzazione della flotta costituiscono aspetti chiave di una classica strategia di sea denial, accentuata dall’aspetto psicologico del containment garantito dai sottomarini Kilo; come sottolineato da Collin Koh «negare il mare significa creare un deterrente psicologico accertandosi che un rivale navale più forte non sappia mai davvero dove siano i tuoi sottomarini. È la classica guerra asimmetrica usata dal debole contro il forte e direi che i vietnamiti sanno bene di cosa si tratta. La domanda è se possono perfezionarla nella dimensione subacquea».
L’obiettivo è esercitare una deterrenza per negazione, piuttosto che giungere a un improbabile scontro diretto con un avversario dalle capacità superiori. Tuttavia, la modernizzazione dei propri asset costituisce solo un aspetto della deterrenza. Questa può essere rafforzata dai legami diplomatici stretti, proprio grazie allo strumento navale, con paesi partner. 

La Naval Diplomacy della VPN 

La diplomazia navale coincide con un uso politico delle forze navali, in essa c’è una forte interrelazione tra potenza e influenza. La marina vietnamita adotta sia forme di diplomazia permanente, sia forme non permanenti. L’ASEAN è centrale nella strategia diplomatica vietnamita, potendo fornire una doppia garanzia: ipotetiche azioni ostili di Pechino nei confronti di un paese membro, come il Vietnam, porrebbero a rischio i progetti della RPC nella penisola indocinese e la Via della Seta Marittima; inoltre, la questione potrebbe essere impugnata dall’ADMM+ (la piattaforma per la sicurezza e la cooperazione in ambito di difesa condivisa con Giappone, USA, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia). Proprio in questa cornice la VPN ha preso parte alle esercitazioni comuni AMNEX-2 2020, all’ASEAN Naval Chiefs’ Meeting (ANCM-14) e alla Multilateral Naval Exercise Komodo (MNEK 2014, 2018, 2020).
Il Vietnam ha intrapreso anche operazioni disaster relief nel Mar Cinese Meridionale, sfruttando le potenzialità della moderna nave ospedale Khanh Hoa 01, che ha recentemente preso parte alla Pacific Partnership 2022.
La Marina Vietnamita si è impegnata anche attraverso svariate visite in porti di paesi partner, come India e Filippine, svolte dalle proprie corvette o dalla nave d’addestramento Lê Quý Đôn.
Queste occasioni sono utili per mostrare la qualità dei propri mezzi e dei propri uomini, facendo percepire la propria marina come una potenza capace e potenzialmente pronta all’impiego. Del resto, questo non è l’unico messaggio inviato alla Cina. Recentemente il Vietnam riceve un sempre maggiore numero di visite da svariati paesi.
Nel 2010 la USS George Washington è stata la prima portaerei a visitare il paese, a questo ha seguito l’apertura della baia di Cam Ranh a tutte le marine. Gli Stati Uniti conducono di frequente FONops (freedom of navigation operations) nel Mar Cinese Meridionale per esercitare maggior pressione su Pechino, in sostegno ai propri alleati nell’area. Non è raro che si ricorra anche a strumenti come la lawfare per disincentivare atteggiamenti particolarmente assertivi della RPC.
Negli ultimi anni le visite ricevute dal Vietnam da paesi partner, tra cui l’India, sono aumentate notevolmente. Nonostante questo fenomeno possa rassicurare il paese che ne beneficia e mandare un segnale all’esterno, bisogna notare come il Vietnam non possa di fatto stipulare alleanze militari ufficiali per via del suo approccio multilaterale e della politica dei “quattro no”, propria del paese.


Confronto Ibrido nel Mar Cinese Meridionale 

Modernizzazione e naval diplomacy costituiscono aspetti di rilievo per la strategia deterrente, ma per analizzare in che modo avviene concretamente lo scontro nel Mar Cinese Meridionale si ricorre al più ampio concetto di maritime diplomacy, capace di restituire protagonismo alle milizie e alle Guardie Costiere. Sono queste a svolgere sempre più spesso missioni per il mantenimento del good order at sea, favorendo la demilitarizzazione delle dispute.
Il vantaggio derivante dall’impiego di questi asset, rispetto a quelli più propriamente militari, è sia economico che mediatico. Infatti, la produzione di questo tipo di unità navali risulta essere meno onerosa e il loro impiego permette di mascherare lo scontro, riconducendolo al massimo ad un’operazione di polizia. L’immediata conseguenza è una de-escalation del conflitto e una competizione meno visibile. Sebbene si faccia ricorso a strutture tecnicamente civili come la PAFMM (People’s Armed Forces Maritime Militia) e la Milizia Marittima Vietnamita, queste sono integrate nelle strutture di comando delle rispettive marine e hanno in dotazione equipaggiamento adatto sia alla sorveglianza che all’offesa. Solitamente le milizie sono composte da personale addestrato, che opera pescherecci con scafi rinforzati, adatti a manovre cinematiche, e montano cannoni ad acqua o mitragliatrici. Negli anni precedenti le agenzie di sicurezza cinesi hanno tagliato un cavo della PetroVietnam, speronato diverse imbarcazioni vietnamite e di altri paesi, mettendo in serio pericolo gli equipaggi. Questo approccio aggressivo della Repubblica Popolare Cinese è sempre più diffuso nell’area ed è il sintomo non del semplice mutamento della concezione spaziale cinese, ma di una tendenza che sovverte il vecchio motto “hide your strength, bide your time”, sancendo il passaggio della Cina ad una politica più assertiva e atta allo sfoggio di potenza, piuttosto che al suo temporaneo occultamento. Per far fronte a questa sfida il Vietnam ha iniziato la produzione in massa di pescherecci TK1482 da 400 tonnellate.
Il fenomeno della paragunboat diplomacy investe anche la Guardia Costiera Vietnamita, che al momento conta 73 navi. La privata James Boat Tecnology ha fornito di recente 26 pattugliatori veloci MS-50S, con l’India è stato chiuso un accordo per altri 12 moderni pattugliatori, mentre con l’Olanda ne sono stati chiusi altri per le DN2000 e le DN4000. A questi asset si sommano 9 corvette TT-400TP localmente prodotte.
Ulteriore forza alla Guardia Costiera del Vietnam viene data dai suoi partner strategici, mostrando il frutto dei legami diplomatici sviluppati negli ultimi anni. Dopo l’incidente del 2014, infatti, il Giappone ha consegnato alla RSV  6 pattugliatori Hayato per arginare le azioni cinesi, anche gli USA hanno trasferito 6 Metal Shark, come riportato dalla stessa ambasciata americana in Vietnam.

Prospettive future

Con il progressivo affermarsi di scontri non convenzionali, per i governi si pone il problema dell’allocazione delle risorse volte al rafforzamento di Marine, Guardie Costiere o milizie, al fine di adeguarsi a nuove forme di confronto sempre meno riconoscibili. Tuttavia, il Vietnam punta fortemente sulla diversificazione degli approcci, sullo sviluppo dei legami diplomatici e su un rapporto di interdipendenza, facendo intendere alla Cina che uno scontro aperto sarebbe inutilmente costoso. In questo quadro la diplomazia navale, nelle sue svariate forme, si conferma uno strumento utile al fine di aumentare la capacità deterrente.

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