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TematicheItalia ed EuropaDiplomazia 2022: un Dna forte e innovativo

Diplomazia 2022: un Dna forte e innovativo

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La nostra diplomazia ha un Dna forte, e lo ha dimostrato. La presenza in teatri di crisi, il sostegno al rilancio economico del Paese, i negoziati multilaterali. Purtroppo, anche il sacrificio della vita, in certi casi. A volte, grazie all’eroismo di qualcuno, si scopre il valore degli altri, di un’intera carriera, spesso nascosta.

Giovani, impegnati, operativi”. Così Fabio Tonacci su Repubblica[i] ha definito i nuovi diplomatici. Il 2022 proietta un’immagine della carriera nuova e diversa: audacia e coraggio, visione strategica e capacità progettuale. Oltre lo status, oltre i soliti, polverosi stereotipi.

Presenza sul campo, anche quando significa rischiare la pelle. Esserci quando serve, anche senza apparire. Risultati concreti. Dietro al record dell’export italiano, oltre 510 miliardi di € nel 2021 (+ 18.6%), c’è anche il “Patto per l’Export”: aziende e governo insieme; intuizione politica e coraggio imprenditoriale; nuova diplomazia economica in azione.

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Il Dna della nostra diplomazia, oltre che forte, è anche innovativo. Per una carriera pubblica, innovare non significa necessariamente “inventare”, ma prima di tutto ricomporre la frattura fra consuetudini e nuove modalità di “stare sul campo”. Qualunque sia il campo, reale o virtuale, fisico o cyber.

Ogni epoca, a modo suo, è trasformativa. Il nostro privilegio è viverne una che lo è più di altre. Oggi infatti la rivoluzione digitale cambia il modo di lavorare di qualunque carriera, esaltando la componente dinamica e creativa. Da azioni esecutive, definite a priori, si passa a compiti “intelligenti”. Le imprese lo hanno capito e sono impegnate in un colossale processo di business building. I top manager intervistati in un recente sondaggio di McKinsey[ii] ritengono che, entro il 2026, il 50% del fatturato delle loro aziende verrà da beni,  servizi o attività che ancora non esistono.  In un mondo veloce, l’avvenire è sempre più vicino ed appartiene a chi sa anticiparlo. Il dilemma comune a tutti è che tecnologia, alla quale non possiamo rinunciare, produce accelerazioni esponenziali, mentre le organizzazioni, specialmente quelle più complesse, cambiano in scala logaritmica.

Tuttavia, quando hai un Dna forte, riesci a proiettarti nel tempo, cioè ad innovare[iii]. Puoi guardare al futuro valorizzando il passato. Però quel DNA lo devi reinventare alla luce dei cambiamenti. Anche la burocrazia, ci ricorda Charles Landry, può essere creativa. Se invece si irrigidisce troppo, perde efficacia; perdendo efficacia, tende ad auto-preservarsi e, in tal modo, si irrigidisce ulteriormente.

Le best practise funzionavano in un mondo lento e lineare, ma in quello attuale invecchiano presto e servono meno. Occorre integrarle con next practise, abilità e capacità nuove innestate nel proprio DNA. È la storia dei colleghi che, mettendosi in gioco al di là dei protocolli, hanno salvato vite in Afghanistan e Ucraina, o hanno perso la propria in Congo. Ma è anche la storia di altri diplomatici, impegnati nelle tante Ambasciate o nei Consolati, all’interno delle aziende o nei Ministeri, a progettare, cambiare, sviluppare, innovare il proprio modo di essere e di lavorare. In un mondo veloce e volatile, il pericolo per tutti è guardare con occhi vecchi qualcosa di completamente nuovo, o insistere su idee invecchiate solo perché sono le nostre. Non si tratta di “specializzarsi”, ma di orientare il cambiamento in senso multi-disciplinare. Di mettersi in gioco senza “proteggersi”, aprendosi alle circostanze. Conservare la forza e i valori del DNA, ma innovare il metodo di lavoro: try, learn, adapt.

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Per la diplomazia di oggi, dunque, la vera sfida non è l’efficienza, ma l’innovazione. Il 2022 è iniziato con un cambio di passo al Ministero degli Esteri: prima il lancio della nuova Direzione Generale per la diplomazia Pubblica e Culturale; poi l’istituzione di una Commissione per lo sviluppo professionale e motivazionale dei diplomatici e, subito dopo, l’emanazione della Circolare 1/2022 sui nuovi metodi di lavoro. Il documento si apre con la parola adattare, e parla di organizzazione flessibile e trasversale, progettualità e decentramento decisionale, capacità propositiva e innovativa delle persone. Non semplici ritocchi organizzativi, perciò, ma un intervento di smart governance che concepisce l’innovazione come attitudine comportamentaleSaranno i diplomatici, non altri, ad innovare la diplomazia. La Circolare si rivolge a loro, non alla carriera in astratto. Uscire (presto) dalla comfort zone, perché là dentro, al massimo, si trova efficienza operativa, che abbiamo già dimostrato di avere, ma non la creatività necessaria ad affrontare sfide ad alta complessità. In pratica, occorre diventare più agili per andare più veloci. Vale quanto diceva Mario Andretti, storico pilota della Ferrari: “Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano”.

Il cambiamento della diplomazia (delineato negli atti) aiuterà a capire quanto i diplomatici (alla prova nei fatti) siano davvero disposti a cambiare. L’innovazione, in qualunque ambito si manifesti, non dipende da doti eccezionali delle persone, ma dalle loro capacità normali di associare e gestire problemi, idee e soluzioni. La diplomazia, come altre carriere, è un “portafoglio di competenze”. La sua evoluzione dipende, innanzi tutto, dalla capacità delle persone di correlare conoscenze (ciò che sanno), competenze (ciò che sanno fareleadership (ciò che sanno essere). Poi, dipende anche dalla volontà del vertice gerarchico di essere inclusivo e disposto al decentramento funzionale. Delegare è l’unico modo per sviluppare pensiero predittivo e flessibilità operativa; entrambe qualità indispensabili per innovare il proprio Dna e costruire resilienza. Da questo punto di vista, il dialogo con il settore privato rappresenta una componente di rilievo nella formazione del management pubblico. Al diplomatico del futuro, ad esempio, serviranno competenze simili a quelle del project manager: lavoro di squadra e responsabilità di risultato; pragmatismo ed agilità esecutiva. Guardare avanti significa elaborare una visione di sé nel futuro ed acquisire nuove abilità per realizzarla. Significa, in ultima istanza, generare valore, ma anche comunicare il valore creato. Le informazioni creano potere e influenza, si sa. Ma gli esseri umani comprendono il mondo dandogli una struttura narrativa. Al giorno d’oggi, narrare è un gesto naturale; i social media accentuano questa tendenza. Tutti cerchiamo storie, e quelle della diplomazia, spesso, meritano di essere raccontate, come la cronaca dimostra. Del resto, una funzione pubblica ha bisogno di narrazioni contemporanee per esercitare influenza, creare valore e consolidare soft power. La narrazione contemporanea della diplomazia italiana sono le storie dei colleghi impegnati in teatri difficili e in negoziati complessi, come quelle di chi ha lavorato per rilanciare le aziende italiane all’indomani del Covid-19. Da ora in poi, anche per la nostra diplomazia, non si tratterà più soltanto di “informare” o “informarsi”, ma soprattutto di “raccontare” e “raccontarsi”. Sotto questo profilo, la nascita della nuova Direzione Generale di Public Diplomacy rappresenta un grande aiuto e un passo in avanti.

La sfida del cambiamento ne contiene un’altra. Per innovare non basta apprendere, cioè sommare o perfezionare competenze. Bisogna prima dis-apprendere, ossia abbandonare alcune categorie logiche e adottarne altre. La digitalizzazione accentua questo aspetto, perché costringe a cambiare il proprio atteggiamento mentale. Evolvere dalla digital alla data diplomacy, ad esempio, significa acquisire padronanza di nuovi modelli concettuali, più che perizia tecnica nell’uso dello strumento digitale. Algoritmi, Big Data e Analytics richiedono pensiero predittivo e azione collaborativa. Affidando certi compiti alle macchine, le tecnologie liberano energie per attività più strategiche. Moltiplicando quantità e qualità della conoscenza accumulata, esse aiutano a delineare scenari più accurati, intuire sul nascere rischi geopolitici destinati a diventare crisi, cogliere segnali deboli e nuovi trend economici prima che diventino “macro”. L’Open Source Unit del Foreign Office britannico, o le Big Data Unit del Ministero degli Esteri norvegese, analizzano e rendono fruibili immense quantità di dati per le scelte di politica estera e le azioni diplomatiche dei rispettivi governi. L’analisi di queste nuove strutture offre spunti utili per una riflessione da fare anche in Italia, senza paura. Gli algoritmi, del resto, non sostituiranno mai la politica estera, perché da soli non possono elaborare un’ipotesi di futuro migliore, che è il fine ultimo di ogni politica. E non sostituiranno neppure la diplomazia, che della politica estera è strumento d’azione. Tuttavia, la risposta a sfide sempre più complesse dipenderà anche dalla capacità degli attori, pubblici e privati, di elaborare pensiero predittivo, avvalendosi di moderne tecnologie digitali. Se ben usate, queste ultime sono in grado di potenziare l’azione diplomatica e l’efficacia del suo contributo alla politica estera del Paese e allo sviluppo del suo Sistema. L’uso efficace delle tecnologie digitali, però, richiede flessibilità e disponibilità a collaborare, cioè il passaggio, affatto scontato, da un ego-sistema[iv], articolato su azioni individuali, ad un eco-sistema, nel quale, al contrario, il valore è co-creato, aprendosi e interagendo con altri. D’altra parte, concepire l’innovazione in senso “proprietario” mal si concilia con la velocità del mondo digitale. Invece, affiancare alla struttura gerarchica gruppi trasversali, piccoli team, network ibridi e comunità innovative può aiutare a rendere più ricca la fase ascendente del processo decisionale, cioè quella di raccolta delle idee e delle proposte da parte delle persone, lasciando poi alla linea gerarchica le scelte finali.

L’innovazione determina il potenziale di crescita di lungo periodo di un Paese. Essa detta il ritmo della ripresa economica e della transizione ecologica; riavvicina la dimensione politica dello Stato a quella economica, sociale ed ambientale; consente alle imprese di vincere la sfida dell’internazionalizzazione anche prima di aver risolto quella dimensionale. Michael Porter ricordava che la prosperità di una Nazione non è ereditata, ma viene creata. Essa non dipende soltanto dalle risorse naturali, o dalla geografia più o meno favorevole, ma soprattutto dalla capacità del suo sistema, cioè dall’insieme dei suoi attori, pubblici e privati, di combinare realtà diverse, favorendo sviluppo tecnologico, innovazione e flessibilità operativa.

Il Dna forte e innovativo della nostra diplomazia si manifesta nel coraggio. In quello di chi salva vite, innanzi tutto, mettendo a repentaglio la propria. Ma anche nell’audacia di chi, senza clamori, non si arrende a dire “Abbiamo sempre fatto così”, convinto, come sosteneva a ragione Grace Hopper, che quella frase fosse la più pericolosa in assoluto per il genere umano.

Credere nel nuovo come ricerca del bene comune significa rendere il Dna della nostra diplomazia ancora più forte, consentendo alla carriera di partecipare al grande progetto di un “Paese innovatore”, fondato su una Pubblica Amministrazione aperta, dinamica e proiettata al futuro.

Marco Alberti,
Ambasciatore d’Italia presso la Repubblica del Kazakhstan
e la Repubblica del Kirghizistan

[i] Tonacci, F., La nuova diplomazia, Reperibile qui nella versione online: https://www.repubblica.it/commenti/2021/08/25/news/tonacci-315206698/

[ii] McKinsey: “2021 global report: The state of new-business building”, 6.12.2021

[iii] Bolelli F.,: “Venture thinking – Purpose e sostenibilità per accelerare il futuro”, 2020, Engaging Places, p. 66

[iv] Cit. Quinn, R., “Venture thinking – Purpose e sostenibilità per accelerare il futuro”, 2020, Engaging Places,p. 74

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