Per la prima volta dal 2013 si incontrano in un meeting a Mosca i Ministeri della Difesa dei due Paesi artici. Tra i temi in agenda: la sicurezza regionale e internazionale e la situazione in Siria.
Gli apparati militari di Russia e Norvegia tornano a parlarsi. E’ successo a Mosca il 2 febbraio scorso, come riporta una comunicato stampa diffuso dal Ministero della Difesa norvegese, all’insegna di “un reciproco desiderio di scambiare informazioni sulle attività militari e contribuire a evitare malintesi”.
E’ apparso subito chiaro che non si tratta di riprendere una vera e propria cooperazione con la Russia, sospesa nel 2014 a causa dell’annessione russa della Crimea e degli atti di violenza in Ucraina, tuttavia il Ministero ritiene necessario riavviare uno scambio sulle informazioni e sulle esperienze in ambito di sicurezza con il fine di mantenere la stabilità nelle regione, cooperazione oggi limitata ad operazioni di frontiera e guardia costiera.
Nonostante il meeting non abbia visto la partecipazione di altri esponenti del mondo politico, è comunque importante sottolineare come questo incontro avvenga in un momento delicato per l’Artico. Solo qualche settimana fa la Cina ha reso pubblica la sua Strategia per l’High North cogliendo di sorpresa forse buona parte dei leader europei, dichiarandosi interessata a mantenere la regione in pace, a preservarne la logica cooperativa, ad operare per la protezione dell’ambiente tramite la ricerca scientifica in pieno accordo con i trattati internazionali. Dietro questa apertura “volontaria” (bisogna infatti ricordare che la Cina è dal 2013 ammess al del Consiglio Artico come membro osservatore, pur non essendo uno stato Artico) vi è una linea nemmeno troppo celata di interesse verso le possibilità offerte dalle nuove rotte polari che iniziano ad essere decisamente appetibili.
In questo clima che potremmo dire a tutti gli affetti “surriscaldato”, si inserisce il meeting di Mosca che ha corso il rischio di creare un incidente diplomatico tra i due Paesi quando in una nota, precendetemente rilasciata dal Ministero della Difesa russo si accennava ai “possibili passi in avanti verso una rinnovata cooperazione bilaterale in ambito militare”. La nota, corretta in seguito dal Ministero, dopo le dichichiarazioni più moderate rilasciate del Ministro norvegese definisce l’incontro svoltosi come un costruttivo passo in cui “le parti hanno discusso la sicurezza regionale e internazionale, la situazione in Siria nonché le azioni possibili verso la diminuzione delle tensioni, lo sviluppo di misure bilaterali finalizzate alla fiducia e la prevenzione di incidenti durante le attività militari. (..)”.
A Febbraio 2013, solo un mese prima dell’annessione russa della Crimea, il Ministro della Difesa norvegese all’epoca Anne-Grete Strom-Erichsen incontrava a Mosca il suo collega russo Sergey Shoygu. I due concordano di espandere l’azione militare congiunta e preparano un accordo di sicurezza bilaterale sullo scambio di informazioni classificate.
Questo il passato, oggi la situzione è molto diversa, a causa della aperta violazione da parte russa del diritto internazionale in Ucraina. Nel febbraio 2015, la NATO ha accettato l’offerta proprio della Norvegia di ospitare la Trident Juncture 2018. Esercitazione militare che si svolgerà tra ottobre e novembre di quest’anno e a cui si prevede parteciperanno decine di migliaia di soldati, un evento di grande visibilità per l’Alleanza Atlantica impegnata nella zona più settentrionale della sua sfera di influenza. Solo lo scorso marzo, un’altra esercitazione la Joint Viking 2017 aveva visto il coinvolgimento di circa 700 soldati del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, dell’esercito degli Stati Uniti e dei Royal Marines britannici al confine russo, in una esercitazione nazionale, principalmente concentrata sulle coste che aveva come obiettivo la gestione delle crisi e la difesa del confine norvegese.
Su un altro fronte la Russia risponde con Zapad 2017 esercitazione che si ripete con cadenza quadriennale ma che ha alzato comunque il livello di attenzione quando, secondo fonti tedesche si è diffusa la notizia che nell’esercitazione fossero stati coinvolti almeno centomila militari, ipotesi che ha alimentato lo scenario di una imminente invasione verso i Paesi NATO del fianco orientale europeo. L’invasione non si è verificata ma il clima di agitazione provocato dalle “manovre d’autunno” lungo il confine ovest bielorusso ci dice molto della percezione del pericolo russo alle porte dell’Europa.
Non è certamente rassicurante l’intenzione della Russia di rafforzare il proprio apparato militare “allo scopo – si legge nella Russian National Security Strategy – di difendere l’inviolabilità del confine russo e dell’ordine costituito, i diritti di sovranità, indipendenza e integrità territoriale” oltre che “ preservare e difendere la cultura, le tradizioni, lo spirito e i valori della cultura russa, (..) e di consolidare il suo status di potenza globale”.
In Artico almeno per il momento tutti gli attori in gioco hanno l’interesse a scongiurare un possibile conflitto, motivo per cui sembra improbabile una evoluzione in questo senso, nè sembrerebbe facile prevedere le intenzioni della Russia nella regione valutando la crescita del suo arsenale militare.
Va comunque detto che esiste una Russia’s Security Policy per l’Artico che mira prioritariamente a proteggere i confini e neutralizzare eventuali minacce rafforzando la presenza militare nella regione: le esercitazioni di threat detection sui sottomarini nucleari condotte nel 2015 nelle acque artiche sono state un esercizio della misura della risposta russa ad eventuali attacchi militari nella regione come un conflitto su larga scala con la NATO.
Completato il lavoro sulle isole di Novosibirsk, base polare fiore all’occhielo di Putin, sull’arcipelago di Franz Josef Land e sulla Novaya Zemlya, prosegue la costruzione delle posizioni tecniche delle divisioni radar e dei punti di guida aeronautica sulle isole di Alexandra, Wrangel e Cape Schmidt e l’assemblamento di capacità militare via mare, via terra e nella difesa aerea.