I Talebani proclamano di avere il controllo dell’85% del territorio Afghano. Gli Stati Uniti a loro volta smentiscono, mentre le autorità governative Afghane attraverso le parole del Ministro della Difesa dichiarano la difesa ad oltranza. Mentre le forze della coalizione completano il ritiro dei propri militari, la Russia incontra a Mosca una delegazione talebana che tra l’altro dichiara che i talebani non rappresenteranno alcuna minaccia per la Russia o per i suoi alleati in Asia Centrale. La Turchia a sua volta con un accordo con gli USA e la NATO lascia sul territorio afghano 500 uomini il cui compito è garantire la sicurezza dell’aeroporto della capitale. Si giocano sembra, sul filo del rasoio, da più parti gli interessi di alcuni, la sicurezza di altri. Ma di fatto sembra apparire chiaro un ritorno a breve dei Talebani alla guida del paese.
In attesa degli eventi: prove di mediazione e diplomazia?
Il Ministro della Difesa del governo dell’Afghanistan, Bismillah Mohammadi dichiara che :“Le nostre forze nazionali utilizzeranno tutta la loro potenza e tutte le loro risorse per difendere la nostra patria e il nostro popolo”.
Mentre da parte della delegazione Talebana recatasi a Mosca e guidata da Sheikh Shahabudden Delaware, viene dichiarato che :“impediremo a Daesh e ad altri gruppi terroristici di guadagnare terreno in Afghanistan e non rappresenteremo una minaccia per la Russia o i suoi alleati nell’Asia Centrale”.
Le parole dello Sheikh sembrano volersi garantire una sicurezza nei confronti di un eventuale intervento della Russia in caso di attentati terroristici o a sconfinamenti verso i territori di suoi alleati, chiarendo ogni dubbio in merito ad eventuali attività militare oltre i confini del Tagikistan ove il trattato di sicurezza sottoscritto da Russia, Bielorussia, Armenia, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakhistan (con Serbia e Afghanistan ammessi quale osservatori) meglio conosciuto con l’acronimo CSTO ovvero Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettivo prevede l’intervento collettivo a difesa in caso di attacco ad uno dei membri. Ciò in risposta alle parole del Ministro degli Esteri Sergei Lavrov che il 9 Luglio aveva dichiarato: “siamo alleati con il Tagikistan. E se ci sarà un attacco al Tagikistan, ovviamente sarà un argomento immediato da considerare” aggiungendo a tali parole un “Invieremo truppe”.
Di fatto l’avanzata dei talebani, anche se smentita e ridimensionata dagli USA, appare come un fatto compiuto, ovvero nel momento del definitivo ritiro delle forze NATO il potere sarà conquistato quasi senza ombra di dubbio. Sul campo essi continuano inesorabilmente ad avanzare, ed in particolare le azioni sono state visibili sui confini est, sud e nord del paese. Spesso intere guarnigioni governative attraverso la mediazione delle autorità tribali si sono arrese ai Talebani, consegnando armi ed equipaggiamenti. Il confine tagiko è stato attraversato da un migliaio di militari dell’esercito afghano in fuga mettendo così in allerta il governo che ha mobilitato 20.000 riservisti a rafforzare il confine stesso. Altri ancora sono fuggiti oltre confine raggiungendo l’Iran, il Pakistan e l’Uzbekistan. L’Iran di conseguenza ha incrementato la sorveglianza della frontiera che corre per 900 chilometri tra i due paesi sorvegliando ogni minimo movimento. La situazione ha quasi bloccato gli scambi commerciali via terra tra i due paesi e Teheran è preoccupata per eventuali nuove ondate di profughi verso il proprio territorio, considerando che secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in Iran sono presenti 2.000.000 di profughi afghani, di cui solo 780.000 ufficialmente censiti. Teheran ha garantito per anni istruzione e cure mediche in un pregevole lavoro di inclusione sociale, ma le difficoltà legate alle sanzioni internazionali, alla recessione economica e all’incremento dei prezzi ha messo in difficoltà il sistema e il paese sembra per questo temere una nuova ondata migratoria. Le preoccupazioni sono nate dagli ultimi avvenimenti, sono diverse le località sul confine cadute nelle mani dei talebani e le operazioni di avanzata di questi ha creato un primo movimento interno di 270.000 profughi, da ciò Teheran presume un vasto spostamento di profughi verso i propri confini. Oltretutto anche se l’ONU si dichiara pronta a rafforzare il sostegno umanitario in tutti i paesi di accoglienza, le risorse attualmente disponibili sono scarse, le operazioni per i rifugiati afghani in Iran e Pakistan restano fortemente sottofinanziate, garantendo ad oggi solo il 43% delle risorse che necessitano ai due paesi per far fronte all’emergenza.
Giustificazioni, dichiarazioni ed interessi strategici.
Nell’area settentrionale del paese per ragioni di sicurezza Teheran ha limitato le attività del consolato di Mazar-e-Sharif nella provincia di Balkh dove invece hanno chiuso le ambasciate di Turchia e Stati Uniti.
Ma nonostante ciò il governo afghano sembra voler ridimensionare gli accadimenti forse nel tentativo di non creare panico o anche di tenere alto il morale delle truppe, che di fatto non sono all’altezza della situazione. Decenni di corruzione ed inefficienza, l’arruolamento di un elevatissimo numero di analfabeti (il 70/75% degli arruolati) a cui sono stati consegnati armi e in particolare materiali che necessitano di alfabetizzazione per gestirne l’efficienza e l’uso (i sistemi di comunicazione, la gestione delle informazioni, gli apparati d’armi complessi) hanno creato solo una opportunità di guadagno economico per migliaia di giovani senza lavoro e speranza, i quali alle prime difficoltà e scontri paiono dileguarsi. D’altronde di fronte hanno milizie motivate che basano le tecniche di addestramento, su mobilità, conoscenza del territorio e a pochi ma efficaci sistemi di arma di passata generazione, di facile uso e manutenzione (armi leggere perlopiù, artiglieria classica senza uso di sistemi informatici e digitali) ma estremamente efficaci.
Anche il Regno Unito tenta di sdrammatizzare in parte una situazione difficile affermando attraverso il capo di Stato Maggiore della Difesa che appare plausibile il collasso del paese dal punto di vista della sicurezza senza la presenza delle forze internazionali, ma che se anche ciò dovesse accadere non tutto il paese cadrà nelle mani dei Talebani.
Gli USA da parte loro ricordano che dopo la partenza delle forze armate sovietiche l’esercito governativo riuscì negli anni 90 a sconfiggere sonoramente più volte i Mujahedin, dimenticando che ciò accadde fino a quando vi fu il supporto economico e militare ai governi comunisti, ma che alla caduta definitiva dell’Unione Sovietica ed al decadere del supporto economico e di armamenti i Mujahedin conquistarono velocemente terreno.
La Turchia dal canto proprio ha insistito a voler restare sul campo attraverso la presenza di 500 uomini a difesa dell’aeroporto di Kabul, a fine Maggio ha avanzato la proposta alla NATO durante un incontro. La reazione talebana è stata di un netto rifiuto della presenza Turca, insistendo che tutte le forze NATO presenti sul territorio afghano in base agli accordi debbono lasciare il paese.
Ma il rapporto della Turchia con i Talebani ed il popolo afghano sembra essere particolare; più volte i Talebani hanno dichiarato di vedere Ankara una sede neutrale ideale per le discussioni nei colloqui di pace afghani. La Turchia non nasconde il suo desiderio di avere un ruolo guida per i paesi musulmani e l’Afghanistan potrebbe essere un luogo fisico di prova.
Ma le dichiarazioni dei vari paesi come gli USA ed il Regno Unito sembrano apparire più come giustificazione che altro, quasi a non considerare gli accadimenti sul campo. Mentre le dichiarazioni di altri paesi come Russia e Iran variano dalla minaccia velata di una prova di forza ad una attesa degli eventi futuri. Di fatto il ritiro della NATO lascia nella realtà sociale del paese l’inconfutabile prova che 20 anni di presenza occidentale non hanno portato stabilità , né politica, né sociale, né economica, ma oltretutto rischia di riportare il paese, già enormemente martoriato da oltre 40 anni di guerra, nell’oscurantismo sociale dei Talebani.
Sandrino Luigi Marra
Osservatorio della sicurezza internazionale, LUISS.
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