Lo scorso 3 marzo, l’Amministrazione Biden ha rilasciato l’Interim National Security Strategic Guidance, un documento provvisorio – in attesa della National Security Strategy vera e propria – che traccia le linee guida dell’approccio strategico e di sicurezza nazionale che adotterà Washington. Tale documento, partendo dal presupposto che le dinamiche globali sono cambiate e che ci si trova di fronte ad un momento di accelerazione delle sfide che coinvolgono gli Stati Uniti – sottolinea ancora una volta l’importanza della democrazia, della diplomazia, e del ripristino delle alleanze per fronteggiare le sfide dell’oggi e del domani.
Il mondo attuale presenta nuove sfide che hanno messo in crisi la distinzione tra politica estera e interna e che devono essere affrontate con azioni collettive. Le pandemie, la crisi climatica, le minacce cyber e digitali, la crisi economica internazionale nonché la crisi umanitaria, l’estremismo violento e la proliferazione di armi nucleari e di distruzione di massa sono una minaccia seria e, talvolta, esistenziale. Con questa rinnovata consapevolezza, la leadership statunitense e il suo impegno insieme agli alleati è fondamentale. Le democrazie sono poste sotto attacco da forze quali la corruzione, l’ineguaglianza, la polarizzazione e le derive illiberali della democrazia stessa. La retorica nazionalista spinge a isolare i Paesi e promuovere forme di governo alternative. Gli Stati Uniti devono guidare con la forza dell’esempio, il che comporterà lavorare sulla dimensione interna per rafforzare i pilastri della democrazia e risolvere alla radice i conflitti che minacciano di dividere ulteriormente il popolo. Poiché il mondo, secondo gli Stati Uniti, è sempre più interconnesso, Washington sarà la forza motrice della restaurazione della democrazia.
Il documento, inevitabilmente, pone una certa attenzione sulla Cina, divenuta rapidamente assertiva. Pechino è riconosciuta come l’unico competitor potenzialmente capace di sfidare – sul fronte economico, diplomatico, militare e tecnologico – l’equilibrio del sistema internazionale. La Russia rimane determinata a rafforzare la sua influenza globale e a “giocare un ruolo dirompente sulla scena globale”. Ad ogni modo, come chiarito dal Dipartimento di Stato, Mosca non ha le stesse capacità di Pechino, nonostante provi ad acquisire prestigio in aree strategiche per gli Stati Uniti.
Dall’altro lato, gli attori regionali quali l’Iran e la Corea del Nord proseguono nel tentativo di acquisire capacità tali da cambiare la distribuzione del potere, sfidando gli Stati Uniti, i suoi alleati e la stabilità regionale. Rimangono preoccupanti le minacce provenienti da attori non statali, così come rimane saldo il vantaggio statunitense che permetterà di dare forma all’assetto internazionale e avanzare l’interesse nazionale e i valori statunitense nel mondo, più libero e prospero.
Non c’è alcuna possibilità di tornare indietro, per cui bisogna difendere e rinnovare le alleanze, le istituzioni e gli accordi che possono riunire gli alleati e i partner intorno ad obiettivi comuni. Se Trump proponeva di abbandonare i fora multilaterali dove gli Stati Uniti non potevano più giocare un ruolo decisivo, vi è un ulteriore cambio di rotta. Le sfide saranno affrontate di concerto con gli alleati, rilanciando le alleanze democratiche.
L’obiettivo dunque è chiaro: proteggere i cittadini e gli interessi americani. Per farlo, secondo il documento, sarà cruciale:
- difendere le fonti fondamentali della forza americana quali la democrazia e l’economia;
- promuovere una distribuzione favorevole del potere per impedire agli avversari di minacciare direttamente gli Stati Uniti e i suoi alleati e inibire l’accesso ai beni comuni globali e al dominio di regioni chiave;
- guidare e sostenere un sistema internazionale stabile e aperto, sostenuto da forti alleanze democratiche e istituzioni multilaterali.
La questione dell’elemento democratico fondamentale per rinvigorire leadership americana sembrerebbe un punto di particolare cambiamento rispetto all’Amministrazione Trump e a quella Obama che non avevano considerato la promozione della democrazia come perno strategico del loro approccio, mentre quanto scritto nel documento, condito da quanto detto da Biden nel suo primo discorso di politica estera, parrebbe un’ulteriore conferma del fatto che l’Amministrazione democratica voglia riportare al centro della propria azione – come fatto da Clinton prima e da Bush Jr. poi – il tema della promozione della democrazia (sul tema si consiglia la lettura di “Renderli simili o inoffensivi. L’ordine liberale, gli Stati Uniti e il dilemma della democrazia” di Gabriele Natalizia).
Altro tema fondamentale è quello del ripristino delle alleanze che “sono un’enorme fonte di forza e di vantaggio”. Nel documento si fa riferimento alla volontà di voler riaffermare, investire e modernizzare la NATO e le alleanze con l’Australia, Giappone e Corea del Sud, queste ultime fondamentali per il contrasto alla Cina. Ancora una volta, infatti, l’Indo-Pacifico viene riconosciuto come quadrante strategico vitale per gli interessi nazionali americani, una zona nella quale l’obiettivo è quello di “approfondire le partnership con India, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam e gli altri stati membri dell’ASEAN”. Inoltre, e non era così scontato se si pensa alla precedente amministrazione, si sottolinea l’importanza di una maggiore integrazione europea con l’obiettivo di rafforzare i vari partenariati transatlantici. Anche il quadrante europeo, e questo un po’ in discontinuità con le precedenti amministrazioni, figura tra le aree più importanti per gli interessi strategici americani. Non a caso, nel documento si fa esplicito riferimento al fatto che “la presenza più robusta sarà riservata all’area dell’Indo-Pacifico e a quella europea”.
Per quanto concerne il Medio Oriente, rimane saldo l’impegno nel garantire la sicurezza di Israele, mentre proseguono i tentativi di integrazione con i Paesi limitrofi. Gli Stati Uniti assumono nuovamente il ruolo di di promotore della “soluzione dei due stati”, in questo senso si veda anche l’opposizione statunitense all’investigazione della Corte Penale Internazionale sugli eventi accaduti in Palestina. La grande questione aperta in Medio Oriente coinvolge l’Iran e le sue mire espansionistiche, per arginarle è necessario collaborare con i partner regionali. L’approccio collaborativo sarà funzionale a fermare l’avanzata di al-Qaeda, prevenire la ricostituzione dell’ISIS così come a tamponare le crisi umanitarie che affliggono la regione nel tentativo ultimo di risolvere i conflitti aperti. L’obiettivo in Afghanistan, di cui non si è ancora parlato concretamente, è la creazione di un ambiente sicuro per la popolazione e il governo legittimo, non i terroristi. Si sottolinea anche, e questo è un chiaro riferimento allo scenario afghano – ad ottobre saranno 20 anni dall’inizio del conflitto – l’importanza di non impegnarsi più nelle cosiddette “guerre eterne” che sono costate migliaia di vite e miliardi di dollari. Infatti, sembra trapelare dal documento che gli Stati Uniti non hanno smesso di promuovere la democrazia, ma hanno definitivamente smesso di farlo attraverso lo strumento militare. In questo senso, l’Amministrazione Biden ha già ritirato il supporto all’offensiva militare in Yemen e mostrato supporto alle iniziative delle Nazioni Unite per giungere alla risoluzione della guerra civile.
Considerazioni analoghe al Medio Oriente vengono estese anche all’Africa, con particolare riguardo alle emergenze umanitarie e alla sanità pubblica. Gli Stati Uniti continueranno ad investire sulla società civile in Africa e sul rafforzamento delle istituzioni e delle economie locali.
Tale documento, sebbene provvisorio, non tralascia il ruolo degli alleati. La leadership statunitense deve infatti promuovere la cooperazione internazionale sui fronti più disparati, dal cambiamento climatico all’attuale pandemia da COVID-19. A riguardo, gli Stati Uniti tenteranno di rafforzare e riformare l’Organizzazione Mondiale della Sanità, supportare la Global Health Security Agenda e creare una capacità di reazione per affrontare le minacce biologiche e, eventualmente, contrastarle. La collaborazione si estenderà anche alle Nazioni Unite, ai Paesi del G-7, del G-20, e all’Unione Europea. Gli alleati infatti sono i moltiplicatori di forza necessari per aprire nuovi mercati e migliorare le capacità di deterrenza senza ignorare la considerazione che il fardello vada condiviso equamente. Le organizzazioni internazionali, seppur imperfette, rimangono importanti per avanzare gli interessi nazionali.
Citata tra le sfide globali, il documento si sofferma particolarmente anche sulla questione del nucleare per la quale Washington vuole ricoprire un ruolo di primo piano nel controllo degli armamenti adottando misure per la riduzione del ruolo delle armi nucleari nella strategia di sicurezza nazionale americana, garantendo al contempo che “il nostro deterrente strategico rimanga sicuro ed efficace” e che gli impegni americani per quanto riguarda la deterrenza estesa verso gli alleati rimangano credibili. Fondamentale sarà l’impegno in un dialogo sia con Russia e Cina ma anche con l’Iran, dossier cruciale per il quale sarà fondamentale lavorare con partner e alleati per “affrontare il programma nucleare iraniano e le sue altre attività destabilizzante”.
Relativamente alla difesa, gli Stati Uniti “non esiteranno mai ad usare la forza quando sarà necessario per difendere gli interessi nazionali vitali” riconoscendo però che l’uso della forza militare dovrà essere l’ultima risorsa e non la prima. La diplomazia, lo sviluppo e la politica economica dovranno essere gli strumenti principali della politica estera americana. “La forza militare dovrà essere usata solo quando gli obiettivi e la missione sono chiari e realizzabili”. Fondamentale in questo senso sarà la Global Posture Review annunciata nelle ultime settimane dal Capo del Pentagono Lloyd Austin.
L’Interim National Security Strategic Guidance, anche se non definitiva, tratteggia ulteriormente la postura che gli Stati Uniti intendono adottare nei prossimi quattro anni sotto la guida di Biden. Nonostante il mondo e l’assetto internazionale non siano più quelli degli anni Novanta e nonostante l’affermazione che il mondo si trovi in un punto di flessione strategica, il documento si pone in continuità su molti temi. Al punto da far sembrare l’Amministrazione Trump una parentesi nella politica statunitense sebbene non sia ancora del tutto chiara la portata dei cambiamenti avvenuti in questo intervallo. La promozione della democrazia rimane un punto fermo della politica estera, anche se non avverrà più tramite guerre lunghe e costose. Gli alleati, bistratti da Bush Jr. prima e da Trump poi, tornano ad essere importanti compagni di viaggio, consapevoli delle responsabilità e degli oneri che lavorare con gli Stati Uniti comporta, come rilevato già dalla National Security Strategy del 2010.
Il rafforzamento dei legami con gli alleati sembra equivalere ad una rinnovata assertività, questa volta ereditata dall’Amministrazione Trump, nei confronti dei Paesi revisionisti, siano questi potenze regionali o globali. Il punto di rottura si concretizza nel diversificare Cina e Russia, attribuendo loro diversi gradi di minacciosità. Nonostante gli Stati Uniti si riservino di intraprendere rapporti competitivi e collaborativi con entrambe le potenze, il Segretario di Stato Blinken ha affermato che la relazione con la Cina potrebbe divenire conflittuale, se non ci saranno altre vie percorribili. L’impegno statunitense sulla scena globale, senza più alcuna maschera, sarà guidato dalla magnitudo degli interessi nazionali coinvolti perché, nella crisi globale della democrazia, gli Stati Uniti devono proteggere e rinsaldare la democrazia interna a cui il mondo guarda.
Alessandro Savini e Elisa Maria Brusca,
Geopolitica.info