È passato poco più di un anno dall’entrata in guerra della Francia a fianco degli alleati maliani e tchadiani contro i gruppi estremisti islamici che, nella primavera del 2012, avevano invaso il Nord del Mali, cacciando l’esercito nazionale. Facevano parte delle fazioni ribelli gruppi di ispirazione islamico radicale come Ansar Dine, Mujao, il Movimento per L’unicità e la Jihad nell’Africa dell’Ovest e l’Aqmi, ossia la succursale di Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Al loro fianco combatteva anche l’MNLA, l’esercito laico che mira a rendere libero il popolo tuareg e per dare vita a uno stato auto-nomo dove questa etnia possa finalmente autogovernarsi: l’Azawad. La maggioranza degli insorti era re-duce della guerra in Libia, dove avevano sostenuto le forze di Gheddafi. Una volta caduto il regime del dittatore, questi combattenti erano tornati nelle loro regioni d’appartenenza, carichi delle armi sottratte dai depositi dell’esercito libico.
In realtà, l’alleanza tra le coorti islamiche e l’MNLA durò il tempo di scacciare l’esercito maliano. I terroristi ebbero la meglio in poco tempo anche sui loro ex alleati tuareg, che da quel momento in poi avrebbero combattuto contro di loro nel nord del Mali. Nel frattempo, un manipolo di graduati dell’esercito governativo aveva effettuato un colpo militare, motivato dall’insoddisfazione riguardo a come il governo stesse conducendo le operazioni militari contro gli insorti. Nel paese regnava il caos più totale.
Nel gennaio 2013, in seguito all’avanzata dei gruppi islamisti verso Bamako, la capitale maliana nel sud del paese, la Francia decise, dopo la richiesta esplicita del governo maliano, di lanciare l’operazione Serval per eliminare una volta per tutte la minaccia islamista dallo stato africano.
L’11 gennaio, gli aerei francesi cominciarono a bombardare le postazioni dei ribelli islamici attorno a Sevarè. Grazie allo strapotere aereo, i francesi e i loro alleati non faticarono a sbaragliare i vari gruppi terroristici e, circa tre mesi dopo, a seguito della battaglia nella regione dell’Adrar Ifoghas, l’alleanza franco-africana poté dichiarare la fine delle principali operazioni militari.
Sebbene il grosso della resistenza islamista fosse stato battuto e le principali città del nord del Mali fossero state liberate, la situazione non poteva certo definirsi completamente sotto controllo. Qualche sparuto gruppo appartenente a Aqmi , Ansar Dine o a Mujao era, ed è tutt’ora, ancora operativo nelle vaste zone desertiche dello stato africano. Tuttavia, subito dopo la fine della fase più importante della campagna militare, riemerse con forza la spinosa situazione riguardante i tuareg e il loro desiderio di autodeterminazione.
Gli uomini blu, come vengono anche chiamati i tuareg, hanno avuto rapporti conflittuali con chiunque cercasse di assoggettarli. Numerose furono le ribellioni contro i colo-nizzatori francesi e più numerose ancora quelle contro il governo centrale maliano. Infatti, diverse sollevazioni si sono susseguite nei sessant’anni d’indipendenza dello stato africano.
La prima esplose subito dopo il processo di decolonizzazione, dal 1962 al 1964, e l’altra, forse più famosa, durò dal 1990 al 1996, causando migliaia di vittime, soprattutto tra la popolazione civile, e la diaspora dei tuareg nei paesi confinanti , come l’Algeria e la Mauritania. Due sollevazioni minori scoppiarono anche nel 2006 e nel 2009 . La tensione nei rapporti è dovuta anche a una sostanzia-le differenza etnica e culturale. I tuareg sono legati alle tribù nomadi del nord Africa, come i berberi, e anche dal punto di vista somatico, si differenziano dalle popolazioni del sud, che hanno una carnagione più scura e tratti simili alle popolazioni dell’Africa sub sahariana, parlano una lingua lo-ro, il tamasheq, e vivono secondo un sistema di caste che perdura da tempo immemorabile.
Nel caos generale seguito all’operazione Serval, l’MNLA, insieme ad altri gruppi tuareg minori co-me il MAA, ossia il Movimento Arabo per l’Indipendenza dell’Azwad, decise di passare all’azione, occupando Kidal e dichiarando a gran voce l’intento di non lasciare le armi e continuare a combattere contro lo stato centrale fino a quando la nazione dell’Azwad non fosse nata. La Francia si trovò a dover far da paciere tra i due contendenti, cercando di evitare un intervento contro Kidal e, nel frattempo, ammorbidendo le pretese tuareg.
Nel maggio 2013 si aprì uno spiraglio di trattative, con dei rappresentati tuareg, che per favorire il dialogo, decisero di rinunciare alla lotta armata e creare l’ Alto Consiglio dell’Azwad(HCA). Così si avviarono le negoziazioni di Ouagadougou con la mediazione di Blaise Compaoré, presidente del Burkina Faso. L’inizio delle trattative vide la fazione tuareg disponibile a non contrastare lo svolgi-mento delle elezioni presidenziali a Kidal, ma assolutamente contraria a permettere all’esercito maliano di entrare nella città, proponendo invece che fossero le truppe Onu e i membri dell’MNLA a occuparsi della sicurezza. Questo fu sicuramente uno dei primi momenti di scontro tra le due fazioni. A ciò si aggiunge l’episodio del 2 giugno, quando i separatisti tuareg arrestarono 180 perso-ne a Kidal, accusandole di spionaggio per conto del governo centrale. La situazione all’interno del-la città si fece sempre più tesa, soprattutto quando i capi dei ribelli tuareg dichiararono che avrebbero espulso dal territorio da loro occupato chiunque non fosse originario della regione dell’Azwad. Nel tentativo di far valere la propria autorità, il 4 giugno, il governo centrale inviò un contingente nella regione, conquistando la città di Anéfif, dopo degli scontri con l’MNLA che fecero diversi mor-ti in entrambi gli schieramenti. Lo stesso giorno, un kamikaze cercò di uccidere un colonnello dell’MNLA a Kidal, senza però riuscirvi. A seguito del deteriorarsi della situazione, la Francia si vide costretta a intervenire ancora, fermando definitivamente l’avanzata dell’esercito maliano verso la città occupata dall’MNLA.
Il 18 giugno, dopo due settimane di negoziazioni, il governo di transazione maliano e i ribelli tuareg firmarono un cessate il fuoco, per consentire lo svolgimento delle elezioni del 28 luglio senza particolari disordini. Comunque, onde evitare una nuova escalation di violenza, truppe ONU e appartenenti al MISMA, ossia la Missione Internazionale di Sostegno al Mali, furono inviate nella regione, in modo da creare un cordone di sicurezza tra i due contendenti.
Il 5 luglio, secondo gli accordi, le forze tuareg si ritirarono da una parte della città di Kidal, lasciando libero il passaggio alle forze governative. L’approccio della popolazione rese ancora più palese la frattura tra coloro che supportavano l’MNLA, quasi esclusivamente tuareg, e coloro, soprattutto di etnia Songhai, che invece avrebbero voluto un ripristino delle autorità che vigevano prima dell’insurrezione del 2012. Queste due fazioni iniziarono a manifestare il loro disappunto o il loro supporto nei riguardi dell’entrata in città delle truppe di Bamako, arrivando anche allo scontro.
Il 20 luglio, cinque agenti elettorali vennero rapiti a Tessalit, da un commando composto da membri dell’MNLA ostili alle elezioni.
Le elezioni del 28 luglio sancirono la vittoria di Ibrahim Boubacar Keita, eletto con più del 70% del-le preferenze. Sebbene i tuareg avessero accettato qualche compromesso, la loro sete di indipendenza era tutt’altro che sopita. L’11 settembre a Foità, nella regione di Timbouctou, uno scontro tra membri dell’MNLA e truppe governative provocò diversi morti. In questa occasione, i due schiera-menti scaricarono l’uno sull’altro la responsabilità per quanto fosse accaduto. L’MNLA accusò il governo di non aver rispettato gli accordi di Ouagadougou, non avendo lasciato la giurisdizione in quella zona alle truppe dell’ONU e della MISMA. Oltretutto, sempre secondo il gruppo secessioni-sta, i prigionieri di guerra non erano ancora stati liberati e nessuna commissione di inchiesta della comunità internazionale che dovesse indagare sulla condotta dell’esercito maliano era ancora sta-ta indetta. Dall’altra parte, il governo centrale accusava gli insorti di una deriva verso il banditismo.
Un punto di svolta sembrò essere l’accordo di Bamako del 17 settembre, quando i rappresentanti dei diversi gruppi tuareg,l’MNLA, il MAA e l’Alto consiglio dell’Azwad, si ritrovarono nella capitale per firmare un accordo che dichiarasse il loro impegno a mettere fine alla crisi nel Nord del paese. Ciononostante, questo accordo fu criticato da altri esponenti di spicco di queste fazioni, i quali sostennero che, in realtà, coloro che lo avevano firmato non fossero stati in alcun modo legittimati a farlo.
Il 26 settembre, i portavoce dei tre principali gruppi di ribelli tuareg annunciarono la sospensione dei trattati con il governo maliano, in quanto il presidente Keita si sarebbe rifiutato categoricamente di negoziare l’indipendenza del nord del Mali.
Da quel momento, nessun significativo passo in avanti è stato fatto per risolvere questo conflitto etnico e culturale. Molti scontri sono intercorsi tra i ribelli secessionisti e le forze governative, soprattutto nella regione di Kidal. Da una parte e dall’altra piovono ancora accuse pesanti: vi sono molte testimonianze di violenze sia contro la popolazione civile sia nei confronti dei prigionieri di guerra che vedono protagonisti sia i ribelli tuareg, sia l’esercito nazionale maliano.
In questo clima teso, la piena stabilità del paese è ancora lontana da essere raggiunta e lo spettro di una nuova escalation di violenze, nonostante la presenza delle forze di pace internazionali, non può essere ancora scongiurato.