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La ciliegina sulla torta del decoupling tecnologico tra Cina e Stati Uniti

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La competizione economica sino-americana si protrae sin dagli inizi degli anni Duemila e dal 2017 ha sperimentato un inasprimento delle sue condizioni. Dalla cosiddetta “trade war” trumpiana, al decoupling tecnologico dell’attuale presidente Biden, le relazioni economiche e commerciali tra le principali due superpotenze del mondo stanno ridefinendo le catene globali del valore in settori strategici non solamente per Pechino e Washington, bensì per ogni Paese ivi coinvolto direttamente o indirettamente.

Lo stato dei rapporti economici sino-americani nei settori high-tech

Sin dal suo insediamento, è stato palese che l’amministrazione Biden avrebbe avuto, nel breve e medio-lungo periodo, settori high-tech all’interno delle proprie priorità strategiche economiche e produttive.

Infatti, nel febbraio 2021 firmò un ordine esecutivo votato alla creazione di catene produttive e di approvvigionamento di terre rare, semiconduttori e prodotti farmaceutici al di fuori della sfera di influenza del Dragone. Nel frattempo, il Congresso statunitense era al lavoro per delineare un pacchetto di incentivi fiscali per promuovere la costruzione di impianti di produzione di microchip su suolo americano, ultimando i lavori nell’agosto del 2022, ed emanando così il CHIPS and Science Act.

Quest’ultima iniziativa ha posto le basi per la realizzazione di un’alleanza tra potenze per il coordinamento internazionale del settore. Secondo The Diplomat, questa alleanza potrebbe essere la cosiddetta “Chip 4 Alliance”, un entente che vede coinvolte Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Stati Uniti. Ad ogni modo, la piattaforma prevista dall’amministrazione Biden per portare avanti l’ordine esecutivo era stata inizialmente identificata nel Quad, il Quadrilateral Security Dialogue, il forum informale che vede coinvolte Australia, Giappone, India e Stati Uniti.

Tuttavia, nel mese di maggio 2022, tredici Paesi, tra cui quelli menzionati in precedenza, hanno rilasciato una dichiarazione con la quale annunciavano l’inizio del processo di costituzione dell’Indo-Pacific Economic Framework. Questo strumento, per così dire, di politica estera economica statunitense prevede al suo interno la creazione di catene di approvvigionamento nel settore dei semiconduttori, sollevando così il Quad dall’incarico preposto nel 2021.

Il domino della revisione degli export controls americani

Il vasto numero di iniziative promosse da Washington fa comprendere la portata delle intenzioni statunitensi nel settore. Tuttavia, fino ad ottobre 2022 è possibile affermare che gli Stati Uniti non siano effettivamente riusciti nel loro intento di svincolare i loro alleati dalla Cina, creando così una catena di approvvigionamento al di fuori della sfera di influenza di Pechino. Dalla fine del 2022, tuttavia, il Dipartimento del Commercio americano ha cambiato le carte in tavola e sembrerebbe che gli Stati coinvolti nell’industria dei microchip siano rimasti travolti dalla decisione.

Infatti, dal 10 ottobre 2022 il Bureau of Industry and Security ha esteso i controlli alle esportazioni di microchip verso la Repubblica Popolare Cinese. Ciò comporta che qualsiasi azienda, non solamente americana, voglia esportare microchip o componenti necessari alla loro realizzazione basati su tecnologia statunitense, ha bisogno di una licenza per poterlo fare. Attualmente, le sudcoreane Samsung e SK Hynix hanno ottenuto un’esenzione di un anno, ma Nikkei Asia riporta che ciò viene percepito come “un avvertimento, piuttosto che come un ramoscello d’ulivo”. Sempre secondo l’azienda di stampa asiatica, le due multinazionali stanno seriamente pensando ad un piano B in seguito alla riforma commerciale americana.

Indubbiamente, l’iniziativa del Dipartimento del Commercio statunitense dimostra come Washington stia prendendo tutte le misure necessarie per rallentare lo sviluppo tecnologico cinese. Si prevedono, nel breve periodo, delle modifiche alle catene globali del valore nel settore dei semiconduttori.

La strada per le terre rare passa nel Sudest asiatico

Secondo quanto riporta Nikkei Asia, la giapponese Sumimoto ha raggiunto un accordo con la MP Materials, un’azienda con sede Las Vegas, per implementare catene di approvvigionamento di terre rare raffinate al di fuori della Cina. Per quanto ancora la Repubblica Popolare detenga oltre il 90% della loro raffinazione e quest’accordo rimanga circoscritto solamente tra due aziende, non coinvolgendo attori istituzionali, potrebbe rivelarsi un apripista per altre multinazionali che vogliano evitare di rimanere ingrovigliate all’interno della competizione sino-americana.

Il fatto che le due aziende guardino al Sudest asiatico rappresenta senz’ombra di dubbio un elemento rilevante dell’”accordo”. Quest’area geografica si sta imponendo sempre più come middle ground tra le due superpotenze, a torto o a ragione, e gli analisti sono ancora estremamente divisi sul fatto che questa possa mantenere quella neutralità dichiarata in svariate sedi. Al di là del presunto posizionamento geopolitico del Sudest asiatico, è innegabile che a livello economico e commerciale stia assumendo un’importanza sempre più ragguardevole.

La Regional Comprehensive and Economic Agreement è entrata in vigore ad inizio 2022 e vede coinvolta la Cina in un’area di libero scambio con l’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico, l’ASEAN. Da una parte, dunque, Pechino si trova a competere con l’organizzazione regionale, ma dall’altra non è detto che questa competizione sia dannosa tout court.

In conclusione, il disaccoppiamento tra le due principali superpotenze mondiali è una realtà con la quale bisogna fare i conti su base giornaliera, dal momento che i cambiamenti geopolitici avvengono ormai a cadenza regolare e frequente. Tuttavia, il fatto che stia sempre più diventando relegata in settori high-tech, quali quello dei semiconduttori e delle terre rare, fa sì che sia impossibile prevederne gli esiti con un margine ridotto di errore poiché sono industrie che richiedono tempistiche estremamente dilatate per operare.

Una cosa è certa: l’espressione “secolo asiatico” è sempre più corretta.

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