Tradizionalmente stretta tra il mondo germanico e quello slavo orientale, la Polonia ha storicamente cercato di costruire sistemi atti ad incrementare la propria profondità strategica nei confronti di tali minacce. I ripetuti fallimenti nel raggiungimento di tale obbiettivo determinarono la sparizione della Polonia dalla carta geografica. Ripristinata pienamente la propria sovranità, Varsavia è tornata a perseguire questo disegno, con obbiettivi caratterizzati da una forte continuità storica con i precedenti tentativi.
Tra oriente ed occidente
Nella seconda metà del ‘300 Polonia e Lituania, principali potenze geograficamente localizzate nell’Europa Centro Orientale, si ritrovarono ad affrontare due preoccupanti minacce provenienti sia da occidente che da oriente. Ad ovest il mondo germanico, rappresentato dall’Ordine Teutonico, premeva sui territori baltici, mentre ad est l’espansione del Khanato dell’Orda d’Oro e del nascente Granducato di Moscovia rappresentava una crescente fonte di preoccupazione. Ciò determinò la nascita nel 1385 dell’Unione di Krewo, prima unione tra Polonia e Lituania sancita tramite il matrimonio tra il Gran Duca lituano Jogaila e la Regina polacca Edvige. La quale successivamente si sarebbe evoluta nella Confederazione Polacco Lituana. La manovra si rivelò altamente funzionale e nel 1410 le forze polacco lituane sbaragliarono le forze dell’Ordine Teutonico nella Battaglia di Grunwald e nei decenni successivi le due nazioni riuscirono ad avviare un proficuo processo di espansione verso ovest, a danno dello Zarato Russo, erede dei khanati mongoli. Tale processo culminò nel 1619, con una netta vittoria contro lo stato russo che determinò l’apogeo territoriale della Confederazione Polacco-Lituana. Il declino della Confederazione venne determinato dall’intersezione tra i gravi problemi interni di una formazione statale complessa e multiculturale con la forte crescita relativa dello Zarato Russo ad oriente e del Brandeburgo a Occidente. La costanti ribellioni dei cosacchi ucraini culminate con la rivolta di Chmel’nyc’kyj cagionarono alla Confederazione la perdita del territorio ucraino, altamente strategico e caratterizzato dalla presenza di immani riserve di grano, tale evento rappresentò il punto di partenza per l’espansionismo russo nel Continente europeo. Ad occidente invece il piccolo ma organizzato esercito brandeburghese, comandato da Federico Guglielmo I di Hohenzollern, riuscì ad occupare la Prussia Orientale. Squassata da rivolte interne e attaccata anche a nord dalla Svezia, la Confederazione Polacco Lituana riuscì a preservare la propria sovranità su un territorio ridotto, ma entrò in un periodo di inarrestabile decadenza culminato con le tre spartizioni territoriali del 1772, 1793 e 1795, che sancirono la sparizione del paese dalla carta geografica.
Il “Międzymorze” e il contrasto al revisionismo
L’idea di costruire una nuova Confederazione Polacco-Lituana sorse a seguito del ripristino dell’indipendenza della Polonia nel 1918. In particolare Józef Piłsudski, capo di stato della neo ricostituita nazione, riteneva necessaria un’iniziativa volta a schermare la Polonia dalle due principali potenze revisioniste del periodo: la Germania, uscita sconfitta dalla Grande Guerra e naturalmente portata a ricercare la riunificazione con la Prussia Orientale, ora staccata dal territorio tedesco a causa della presenza del Corridoio di Danzica controllato dalla Polonia e la Russia Sovietica, intenzionata ad espandersi sul continente europeo. Tale iniziativa avrebbe dovuto comprendere la Lituania, avente un fondamentale sbocco sul Mar Baltico e l’Ucraina, stato cuscinetto tra Polonia e Russia, dotato contestualmente di immani risorse agricole, un possente sistema industriale e numerosi importanti porti sul Mar Nero. A tale progetto venne associato il nome di “Intermarium”, in quanto le nazioni in questione affacciavano su due mari. Nei fatti il progetto risultò condannato sin dal primo momento a causa di numerosi fattori. Il primo è relativo al profondo nazionalismo polacco del periodo, tradottosi in una politica estera fortemente espansionistica a danno delle due nazioni che avrebbero dovuto far parte dell’iniziativa: Lituania e Ucraina. L’occupazione di Vilnius da parte di Varsavia segnò il crollo nelle relazioni polacco lituane, al contempo la prolungata guerra tra Polonia e Ucraina Occidentale impedì alle forze ucraine di concentrarsi interamente nel frenare l’offensiva sovietica, peggiorando al contempo le relazioni tra i due paesi. Quando nel 1920 Polonia e Ucraina forgiarono un’alleanza tramite il Trattato di Varsavia, il coefficiente di potenza ucraino risultava significativamente deteriorato a causa del conflitto con la Polonia, il che contribuì alla presa di Kyiv da parte dei sovietici. L’esercito polacco riuscì a fermare le forze dell’Armata Rossa nella Battaglia di Varsavia, tuttavia il generale esaurimento delle rispettive forze combattenti e il mancato supporto delle potenze occidentali obbligarono la Polonia a siglare un accordo con la Russia Sovietica, tramite la Pace di Riga, la quale sancì la fine dell’indipendenza ucraina.
La perdita dell’Ucraina, dotata di una posizione strategica e di immani risorse naturali, privò l’Intermarium di uno dei suoi pilastri fondamentali. Piłsudski, ora chiamato a gestire una nazione confinante sia con la Germania che con l’URSS, cercò pertanto di avviare un processo volto a formare un nuovo Intermarium, stavolta composto dalle nazioni scandinave, dai tre stati baltici e dalle nazioni dell’Europa Centro Orientale, escluse Grecia, Bulgaria e Albania. Tuttavia l’iniziativa fallì ancora una volta. In questo caso a rivelarsi decisive furono le profonde divergenze tra le nazioni che avrebbero dovuto far parte della federazione. Lituania e Cecoslovacchia risultavano profondamente ostili e diffidenti nei confronti della Polonia, in virtù dei conflitti che le avevano viste opposte a Varsavia negli anni precedenti. Al contempo l’Ungheria aveva assunto una posizione profondamente revisionista, motivata dalle devastanti amputazioni territoriali subite dal paese dopo la fine della Grande Guerra. Ciò rese pertanto impossibile attirare le nazioni scandinave e la Jugoslavia, molto distanti geograficamente dalla Polonia. Tali fattori si incrociarono con una generale assenza di supporto esterno. Gli Stati Uniti d’America si disinteressarono in gran parte della questione, avendo nuovamente assunto una postura isolazionista sul sistema internazionale. Viceversa il Regno Unito non era intenzionato a supportare un’iniziativa che avrebbe fortemente indebolito la Germania, nazione intesa da Londra come contrappeso essenziale all’influenza della Francia. Infine anche Parigi, unica nazione avente un interesse nella formazione dell’Intermarium, decise in ultima analisi di non spendersi a suo favore, in virtù della forte opposizione britannica e della formazione di alleanze militari tra la Francia e alcune nazioni appartenenti all’Europa Orientale. In punto di morte, Piłsudski (non menzionando le proprie responsabilità), asserì che la mancata creazione dell’Ucraina indipendente avesse rappresentato il suo più grande fallimento. Il fallimento nella creazione dell’Intermarium ebbe conseguenze devastanti, risultando prima nell’occupazione tedesca e poi di quella sovietica delle nazioni che avrebbero dovuto farne parte.
Verso l’integrazione europea
Il ripristino dell’indipendenza delle nazioni che avrebbero dovuto far parte dell’Intermarium a seguito del crollo del comunismo, ha determinato il riavvio di un processo di cooperazione tra queste ultime. In particolare esse risultavano legate dal perseguimento di due obbiettivi pienamente convergenti nella loro politica estera, ossia il rafforzamento della cooperazione reciproca e l’integrazione nelle istituzioni euro atlantiche. L’intersezione di tali necessità rappresentò il motore dietro il summit di Visegrad del 1991, nel quale Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria si accordarono per il rafforzamento della cooperazione economica e l’armonizzazione circa le rispettive politiche di avvicinamento all’Unione Europea e alla NATO, dando vita al Blocco di Visegrad. L’ingresso delle nazioni Visegrad nelle istituzioni euro atlantiche ha certamente contribuito ad incrementare la stabilità nel continente, ma ha contestualmente segnato l’inizio delle frizioni tra il blocco e le nazioni facenti parte dell’Europa Occidentale. Tali frizioni sono esplose a seguito della prima invasione russa dell’Ucraina operata nel 2014. Nelle fasi successive a tale evento la Polonia ha spinto per l’impiego della linea dura nei confronti della Federazione Russa, riducendo i propri legami economici con Mosca e incrementando le proprie spese militari in linea con le richieste statunitensi. Viceversa la Germania e le nazioni europee occidentali pur aderendo alle sanzioni imposte alla Federazione Russa hanno tuttavia conservato con quest’ultima rilevanti legami economici, in particolare nel settore energetico, dimostrandosi al contempo molto meno ricettive circa le richieste statunitensi di incrementare le proprie spese militari. Tale stato di cose ha determinato per la Polonia una riproposizione, sia pure segnata da profonda differenze, della dura situazione che il paese ha affrontato nei secoli precedenti, ritrovandosi un rivale (in questo caso politico) ad occidente, rappresentato dalla Germania e ed una nuova minaccia militare rappresentata dalla Federazione Russa. Ciò ha spinto Varsavia e le altre nazioni appartenenti all’Europa Centro Orientale ad avviare un progetto simile all’Intermarium, avente gli stessi obbiettivi di quest’ultimo, quello di fare da contrappeso al mondo germanico e a quello russo.
Tale progetto ha ricalcato un rapporto presentato nel 2014dal think tank statunitense Atlantic Council denominato Completing Europe, From the North-South Corridor to Energy, Transportation, and Telecommunications Union. Tale relazione indicava come l’Europa Centro Orientale presentasse una scarsa connettività infrastrutturale, in particolare tra le sue metà settentrionale e meridionale, determinando una generale incompletezza del progetto di integrazione europea. L’Atlantic Council identificava in particolare quattro aree di investimento prioritarie: energia, trasporti, telecomunicazioni e infrastrutture. Il think tank statuiva come significativi investimenti in tali settori avrebbero non solo migliorato la situazione economica del continente, ma anche reso quest’ultimo più resiliente da attacchi sul fronte energetico e digitale, con particolare riferimento alla Federazione Russa.Nel 2015 il Presidente polacco Anzdrej Duda e l’omologa croata Kolinda-Grabar Kitarovic hanno lanciato ufficialmente la Three Seas Initiative, volta ad incrementare la connessione energetica, infrastrutturale e digitale tra le nazioni dell’Europa Centro Orientale aventi sbocco sul Mare Adriatico, sul Mar Nero e sul Baltico, obbiettivi ribaditi nella dichiarazione congiunta redatta al termine del primo summit tenutosi nel 2016 a Dubronvik. Differentemente dall’Intermarium, la TSI ha sin da subito goduto di un rilevante supporto esterno espresso da un partner estremamente rilevante, gli Stati Uniti d’America, favorevoli ad un affrancamento energetico dell’Europa dalla Federazione Russa, nonché ad un’iniziativa volta a fare da contrappeso all’influenza tedesca sul continente. Il secondo summit della Three Seas Initiative vide infatti la partecipazione dello stesso Presidente americano Donald Trump. Al contempo il nazionalismo polacco, seppur ancora molto forte risulta ora privo di qualsivoglia forma di revisionismo del sistema internazionale, in quanto espresso nel rispetto delle frontiere vigenti e all’interno delle strutture euro atlantiche. Ciò ha quindi reso sin da subito la TSI ben più solida rispetto all’Intermarium, essendo venute meno le principali ragioni che determinarono il fallimento di quest’ultima.
L’iniziativa ha preso forma nei successivi meeting nel 2018 e nel 2019, i quali hanno visto la costituzione delle infrastrutture dell’iniziativa, ossia il Business Forum e il Three Seas Investment Fund (3SIIF), la redazione di una lista di progetti prioritari, nonché la partecipazione del Presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker e del Segretario statunitense per l’energia Rick Perry. La TSI ha altresì ricevuto un consistente supporto diplomatico dagli Stati Uniti, espresso attraverso una risoluzione della Camera dei Rappresentanti, nonché da un paper del Congressional Research Office, il quale rimarcava la convergenza tra gli obbiettivi dell’iniziativa e gli obbiettivi della politica estera americana. A dispetto della sua rilevanza per Washington, la Three Seas Initiative è rimasta un’iniziativa prettamente infrastrutturale, come indicato nel 2019 dal Ministro degli Esteri polacco Jacek Czaputowych, il quale respinse le richieste di ingresso dell’Ucraina asserendo che la TSI non dovesse essere intesa come un progetto geopolitico, respingendo pertanto le richieste di ingresso presentate dall’Ucraina. La prima svolta per la Three Seas Initiative si è avuta nel 2021, a seguito della partecipazione al summit della TSI svoltosi a Sofia in Bulgaria, il quale ha visto la partecipazione della Presidente greca Katerina Sakellaropoulou, indicando il forte interesse della Grecia verso una possibile partecipazione all’iniziativa, dalla quale avrebbe ricavato notevoli benefici. Summit di Bucarest, nel quale la Grecia è ufficialmente divenuta membro dell’iniziativa.
La seconda svolta si è avuta a seguito dell’Invasione Russa dell’Ucraina del 2022, tale evento ha infatti determinato non solo la necessità di accelerare il perseguimento degli obbiettivi della Three Seas Initiative, ma ha anche cambiato la natura stessa di quest’ultima. Laddove infatti l’iniziativa era sempre stata reputata come un progetto infrastrutturale, con l’insorgere dell’aggressione russa essa si è tramutata in un progetto geopolitico. Tale trasformazione è stata implicitamente sottolineata da Primo Ministro polacco Morawiecki, il quale ha asserito (recependo le lezioni date dal fallimento di Piłsudski) che tale iniziativa non può sussistere senza un’Ucraina indipendente. Kyiv svolge infatti un ruolo essenziale nel tutelare la sicurezza delle nazioni facenti parte della TSI, garantendo un’elevata profondità strategica nei confronti della Federazione Russa, la perpetuazione della sovranità statale ucraina consente altresì di prevenire un afflusso di profughi di enormi dimensioni nell’Europa Centro Orientale. L’Ucraina risulta in ultima analisi provvista di immani riserve di gas naturale, le quali assieme al carburante nucleare che Kyiv inizierà ad esportare nel prossimo futuro potrebbero rendere Kyiv garante della sicurezza energetica della regione. Viceversa gli aiuti militari essenziali all’Ucraina per ripristinare il proprio controllo sulle regioni attualmente occupate, transitano attraverso la rete logistica delle nazioni parte dell’iniziativa. Il potenziamento dei collegamenti infrastrutturali tra le parti risulta pertanto mutualmente profittevole, ciò ha determinato la concessione all’Ucraina dello status di partner partecipante alla TSI, diventando de facto membro dell’iniziativa.
Il futuro
Sorta inizialmente come iniziativa infrastrutturale, la TSI ha visto negli ultimi anni un certo successo nel finanziamento di progetti volti ad incrementare le connessioni telematiche, infrastrutturali ed energetiche tra i paesi membri. L’insorgere di potenze revisioniste sul sistema internazionale ha determinato un brusco mutamento di tale paradigma, incidendo profondamente sulla natura dell’iniziativa, la quale ha assunto un carattere sempre più geopolitico. La concessione a Ucraina e Moldavia dello status di partner partecipante ha segnato infatti una drastica rimodulazione della postura della TSI verso le nazioni dell’Europa Orientale non ancora facenti parte dell’UE, ponendosi come strumento atto a favorire l’integrazione prima infrastrutturale e poi politico di queste ultime. In secondo luogo l’ingresso della Grecia ha segnato anche un profondo mutamento geografico dell’iniziativa, la quale ora vede tra i propri membri paesi che affacciano su ben quattro mari. L’ingresso della Grecia consentirà alla TSI di accedere ai ricchi giacimenti di gas naturale situati in Israele e Cipro, nazioni con le quali la Grecia ha rafforzato significativamente la cooperazione sul fronte energetico. Atene risulta inoltre situata in una posizione altamente strategica, in grado di collegare i paesi dell’Europa Centro Orientale al progetto del corridoio tra India e Medio Oriente annunciato nel mese di settembre. La fine del bipolarismo conseguente al crollo dell’URSS ha garantito un’ondata di democratizzazione, integrazione e prosperità economica senza precedenti, ma ha anche contribuito a rendere il sistema internazionale maggiormente instabile. In un sistema “liquido” e mutevole come il presente, i vecchi sistemi di alleanze basati su trattati e strutture integrate come la NATO stanno progressivamente divenendo sempre piò obsoleti, superati da iniziative minilaterali, o multilaterali caratterizzate dall’assenza di tali strutture, un’elevata flessibilità, un rapido processo di decision making e una profonda convergenza di interessi e obbiettivi tra i partecipanti, nettamente più funzionali per affrontare la nuova realtà. Pienamente in linea con tali caratteristiche, la TSI può rappresentare nel lungo termine un veicolo per completare il processo di integrazione europeo, creando un’Europa più integrata, più resiliente e comprendente anche le nazioni dell’Est.