Dal movimento Solidarność del 1979 alla Polonia del PiS che guadagna alle elezioni uno scarto di 24 punti percentuali rispetto ad altre forze politiche e si oppone alla ridistribuzione dei migranti, sembrano passati cento anni e non quaranta.
Il tempo del comunismo ha lasciato cicatrici indelebili, basta fare una passeggiata per Cracovia per scorgere monumenti ricostruiti dopo essere stati distrutti da Stalin. E così, a cavallo tra i due secoli, Varsavia ha guidato l’ondata europeista degli ex Paesi socialisti: nel 2004 l’ingresso nell’Unione Europea ha segnato un momento di grande conquista.
Oggi, invece, con oltre il 43% di preferenze, il PiS – Prawo i Sprawiedliwość, tradotto Libertà e Giustizia che governa il Paese dal 2015 – propone un quadro totalmente differente. La destra radicale e ancorata alle tradizioni vede questa Ue ostile nei confronti dei valori di cui la Polonia, con la sua storia, si fa fervente portatrice. La diffidenza nei confronti degli stranieri, il rifiuto del Trattato di Malta, che ha portato gli stessi polacchi a rifiutare le linee di ridistribuzione tracciate da Bruxelles, mostrano – secondi alcuni – un popolo distante dallo spirito del movimento che ha incendiato gli animi negli anni ‘80, con la sua spiccata solidarietà. I valori tradizionali vengono abbracciati difatti anche dai più giovani che vivono, ancora oggi, i timori e le cicatrici di un passato privo di libertà a cui è giusto guardare per riflettere e per andare avanti, in un’altra direzione. Quindi, da un lato, la tendenza di chiusura da parte del popolo polacco si esprime in movimenti di protesta, favorevoli ad accogliere soltanto coloro che hanno tratti comuni quali identità e religione, come accade con i vicini ucraini e rassomiglia ai fenomeni tipici di tutti i paesi del blocco di Visegrád, ostili rispetto alle politiche di coesione di ridistribuzione dei migranti.
Questa deriva autoritaria ha allertato i vertici dell’Unione Europea e, Bruxelles, reputa preoccupante un’estrema destra che si unisce in piazza attorno allo slogan “Polonia bianca e cattolica”. Nel dibattito corrente si ricorda che la stessa “ex Solidarność” ha tratto vantaggi dall’ingresso nella comunità europea; ètato, infatti, il paese che è progredito maggiormente nel 2018 con un PIL del 5,1%. Se consideriamo, invece, gli investimenti e i fondi stanziati da parte dell’Ue si può notare come questi non sono molto distanti da quelli finanziati per il sud Italia. Nonostante ciò “la Polonia è cresciuta a un ritmo di 8-10 volte maggiore rispetto alle nostre regioni del mezzogiorno perché quest’ultima, anche quando era un paese sotto il regime comunista aveva già una base industriale diffusa e, con l’ingresso nell’Ue, ne ha beneficiato grazie alla diffusione di nuovi settori di innovazione”, si legge in uno studio pubblicato da Il Sole 24 ore. Inoltre, i polacchi, secondo un sondaggio condotto da Ecfr, (www.ecfr.eu) ritengono che l’Ue debba adottare un’azione unitaria che tuteli i singoli stati e non modifichi la loro natura con obblighi non coerenti al loro ordinamento. E, ancora, secondo un’altra analisi condotta nel 2019, lo stato d’animo più diffuso si divide in chi crede nell’Europa e vede in essa speranza per il futuro, e chi invece vuole rimarcare un atteggiamento di chiusura politica, economica e religiosa.
Ma guardando all’attualità possiamo definire oggi, più che mai, i rapporti tra Varsavia e Bruxelles come estremamente tesi e difficili. Con l’approvazione da parte del Parlamento polacco di una legge voluta dal PiS, definita dall’opposizione “legge museruola” perché “viola non solo lo stato di diritto ma anche l’inamovibilità dei giudici oltre a collidere con i valori fondanti dei paesi che fanno parte del’Ue”, lo scontro è stato inevitabile. Questo il commento della magistratura. Qualcuno ricorderà però che i primi segnali di crisi si ebbero già nell’estate del 2018 quando i due protagonisti entrarono in rotta di collisione perché avviata una procedura che ammoniva la Polonia per aver violato lo stato di diritto.
Dunque, data la situazione attuale, una domanda lecita è probabilmente la seguente: come si evolveranno tali rapporti e, quali le possibili conseguenze per gli Stati membri e per la Polonia stessa nel caso in cu ci fosse una brusca inversione di marcia? Un detto afferma che “il polacco diventa saggio soltanto dopo aver sbagliato”. Ma in questo caso, per molti, non si tratta di un errore ma di salvaguardia personale, conservazione etnica e valoriale. A Bruxelles, intanto, il Consiglio Affari Esteri si riunisce su Libia, India e Unione africana. Di tensioni da gestire ce n’è più di una e, certamente, non sembra possibile adottare una linea d’azione comune.
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