Lo scorso 27 gennaio gli Stati Uniti hanno inviato un messaggio scritto alla Federazione russa a proposito della crisi in Ucraina. Da un lato, nonostante le esigenze dei principali attori coinvolti (USA, Russia, Ucraina e NATO) sembrino inconciliabili le une con le altre, dall’altro il tentativo di risolvere la crisi attraverso lo sforzo diplomatico non fa che accentuarsi, nel tentativo di scongiurare un possibile e catastrofico incidente diplomatico.
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Non accenna a diminuire la tensione tra Stati Uniti, Russia ed Ucraina. Il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha espresso la sua preoccupazione – condivisa anche dal presidente statunitense Biden – rispetto alla situazione estremamente delicata affermando: “stiamo lavorando al meglio per una soluzione diplomatica, ma siamo preparati al peggio”.
In effetti, è verso una soluzione diplomatica che, in un primo momento, il Pentagono si è diretto dopo che Mosca ha avanzato in maniera chiara ed inequivocabile le sue richieste politiche. Nello specifico, la Russia ha chiesto che la NATO non ammetta mai, tra le sue fila, tanto l’Ucraina quanto le altre ex-nazioni sovietiche; inoltre, viene richiesto all’Alleanza di ridurre il dispiegamento di truppe in altri paesi dell’ex blocco sovietico, sui quali la superpotenza russa desidera esercitare la sua influenza.
Lo scorso mercoledì, 26 gennaio, l’ambasciatore statunitense in Russia John Sullivan ha consegnato personalmente al ministro degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov la risposta di Washington alle richieste avanzate da Mosca. Questa lettera non verrà resa pubblica, poiché la strategia di Washington è quella di favorire delle confidential talks, nella speranza che Mosca prenda seriamente le sue proposte. E, anche se non rappresenta un documento formale di negoziazione, il Segretario di Stato Antony Blinken ha affermato che esso è stato prodotto in accordo tanto con la nazione ucraina quanto con gli altri paesi europei partner americani.
In particolare, Blinken evidenzia che la NATO continuerà a sostenere la sua politica “della porta aperta” per qualunque stato. Il Segretario di Stato ha sottolineato che gli Stati Uniti sono pronti a supportare la NATO in questa decisione. All’interno del documento, inoltre, vengono delineati i turbamenti dettati dal comportamento russo, che minaccia la sicurezza sia ucraina che europea che, di riflesso, mondiale. Altrettanto importante è il fatto che gli Stati Uniti difendono la sovranità dell’Ucraina, nonché la sua integrità territoriale.
Da un lato, il consigliere del presidente ucraino, Mykhailo Podollak, ha affermato che quella americana è stata la strategia di risposta giusta e che la Federazione russa dovrebbe cogliere l’opportunità di usare un approccio diplomatico per evitare uno scenario negativo. Dall’altro, la risposta di Lavrov non si è fatta attendere: “Se l’Occidente continua nel suo percorso aggressivo, Mosca prenderà le necessarie misure di rappresaglia”.
La soglia di preoccupazione di una possibile invasione dell’Ucraina da parte russa nel corso degli ultimi mesi poteva già considerarsi notevolmente elevata a seguito dello schieramento da parte del leader russo Putin di oltre 100.000 soldati presso il confine ucraino. Ad aumentare la tensione, poi, l’annuncio da parte di Mosca della messa in stato di allerta di forze per la difesa antiaerea equipaggiate con missili S-400 nella regione della capitale stessa. Questi missili, definiti dall’Istituto Affari Internazionali come “missili della discordia”, destano numerose perplessità innanzitutto per la loro natura: infatti, questi missili a lunga gittata rappresentano il sistema missilistico mobile terra-aria più avanzato in dotazione delle forze armate russe. Inoltre, l’S-400 Triumf, avvalendosi di tre diverse serie di missili (S-350, S-500 e, appunto, S-400), è capace di colpire obiettivi multipli quali aerei, sistemi a pilotaggio remoto ed eventuali altri missili con raggio d’azione (stimato) fino a 400 chilometri. Se a questo aggiungiamo il fatto che, secondo alcune fonti, il sistema missilistico prodotto dalla società Almaz-Antey è il più economico tra gli altri analoghi (500 milioni di dollari contro un range che va da 1 a 3 miliardi per la controparte statunitense Patriot PAC-3), e che il tempo di dispiegamento sia di 5 minuti, ogni preoccupazione può essere, forse, giustificata.
L’urgenza dettata dalle tensioni appena discusse è emersa anche nel corso della telefonata intercorsa giovedì 27 gennaio tra i presidenti Joe Biden e Volodymyr Zelensky. In questa occasione, infatti, Biden ha parlato della “possibilità concreta che i russi invadano l’Ucraina nel mese di febbraio”, cioè quando il terreno ghiaccerà, agevolando il passaggio dei mezzi militari. Zelensky ha ribattuto chiedendo di “abbassare i toni” della conversazione, cercando di dipingere la possibilità di un’invasione russa in quanto, appunto, possibilità ambigua e non certezza. A rincarare quanto affermato da Zelensky interviene Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, che ha affermato che, nonostante il numero di truppe ammassate lungo il confine dell’Ucraina sia notevole, esso è al momento insufficiente per un’offensiva su vasta scala lungo l’intero confine.
Il Pentagono, ad ogni modo, ha dichiarato che risponderà in maniera risoluta e pronta, qualora la Russia decidesse di invadere l’Ucraina. Biden ha inoltre reso noto il fatto che sono state messe in stato di allerta alcune delle sue unità – per un totale di 8.500 uomini – allo scopo di dislocarle, eventualmente, in Europa dell’Est, qualora le sue parole dovessero corrispondere alla realtà. Di rimando, nel corso di un’altra comunicazione telefonica tenutasi venerdì 28 gennaio tra i presidenti Putin e Macron, il primo dei due ha affermato che “le risposte degli USA e della Nato (alle richieste di sicurezza avanzate da Mosca) non hanno tenuto conto delle preoccupazioni fondamentali della Russia, inclusa quella di impedire l’espansione della Nato e lo schieramento di armi d’attacco vicino ai confini russi, nonché riportare il potenziale militare e le infrastrutture del blocco in Europa alle posizioni del 1997, quando è stato firmato l’Atto fondatore Nato-Russia”. Macron e Putin si sono detti d’accordo sul fatto che una de-escalation è necessaria, così come un proseguimento del dialogo rispetto alla crisi ucraina. Il presidente francese ha aggiunto che, nel corso della telefonata, Putin non ha espresso alcune intenzioni offensive.
Lavrov ha inoltre sottolineato che “se dipendesse dalla Russia, la guerra non scoppierebbe. Non vogliamo la guerra, ma non permetteremo nemmeno che i nostri interessi vengano ignorati”. Il riferimento è chiaramente rivolto alla richiesta russa di inammissibilità di un’ulteriore espansione della NATO ad Est, richiesta non negoziabile dal punto di vista dell’Alleanza Atlantica. Il ministro russo ha infine reso noto che entro un paio di settimane si terrà un nuovo incontro tra Russia e Stati Uniti. La situazione è indubbiamente delicata, che si voglia adoperare la diplomazia o meno. Se l’inizio dell’anno nuovo si è aperto sulle note positive del dialogo tra Biden e Putin, l’attualità mostra che da un momento all’altro il sottile equilibrio delle relazioni internazionali può trasformarsi, talvolta con conseguenze catastrofiche.