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TematicheStati Uniti e Nord AmericaCrisi russo-ucraina: l’impossible bind di Washington

Crisi russo-ucraina: l’impossible bind di Washington

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La crisi russo-ucraina, che perdura dallo scorso 20 febbraio, continua ad evolversi di giorno in giorno. La settimana scorsa è stata avanzata una richiesta esplicita al presidente Biden di istituire una “no fly zone limitata” sull’Ucraina. Lo scorso 10 marzo, inoltre, ha avuto luogo un incontro tra Lavrov e Kuleba mentre Biden ha tenuto un discorso nella Roosevelt Room della Casa Bianca. Resta tuttora complesso ipotizzare qualunque tipo di previsione rispetto a cosa accadrà nei prossimi giorni.

La scorsa settimana è stata teatro di numerosi sviluppi riguardanti la crisi russo-ucraina che hanno visto protagonisti gli Stati Uniti. Innanzitutto, nella giornata dell’8 marzo è stata inviata all’amministrazione Biden una lettera, denominata Open Letter Calling for Limited No-Fly Zone, da parte di 27 esperti di politica estera – capeggiata dal co-fondatore della Fondazione USA-Ucraina Robert McConnell – e contenente una richiesta esplicita ed inequivocabile: è stato chiesto al presidente statunitense (e, di riflesso, agli alleati parte della NATO) di istituire ufficialmente una “no fly zone limitata” sull’Ucraina per consentire l’evacuazione dei civili. 

Il contenuto della lettera a Biden

In effetti, questa richiesta nasce a seguito dei negoziati intercorsi la scorsa settimana tra ufficiali russi e ucraini. Dopo avere sottolineato che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è stata tutt’altro che provocata, oltre che premeditata ed ingiustificata, gli esperti sottolineano che gli sforzi (definiti all’interno della lettera come “eroici”) dei cittadini e soldati ucraini volti a resistere alle forze russe non sono sufficienti ad impedire un – probabile – dispiegamento ulteriore da parte del presidente russo Vladimir Putin sulle città ucraine più importanti, prima fra tutte Kiev, già bersaglio di più azioni militari dall’inizio della crisi. Inoltre, nonostante la rapida risposta riscontrata dalla comunità internazionale, la lettera sottolinea che “occorre che venga fatto di più per prevenire perdite più estese e “un potenziale bagno di sangue”. La richiesta esplicita avanzata in questa lettera viene presentata in maniera chiara: “Ciò che chiediamo è il dispiegamento degli aerei di Stati Uniti e NATO non allo scopo di creare uno scontro con la Russia, bensì allo scopo di avvertire ed esercitare deterrenza su un potenziale bombardamento russo che risulterebbe in una massiccia perdita di vite ucraine”.

L’incontro tra Kuleba e Lavrov e il discorso di Biden 

Nella giornata del 10 marzo, quindicesimo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, ha avuto luogo in Turchia l’incontro tra il Ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba con l’omonimo russo Sergei Lavrov. Kuleba ha dichiarato, a seguito dell’incontro, di avere avanzato la richiesta di un cessate il fuoco di 24 ore, così da organizzare un corridoio umanitario da Mariupol. Tuttavia, ha dichiarato il ministro ucraino, non ci sono stati passi avanti da questo punto di vista. 

Il giorno successivo a questa dichiarazione, Biden ha tenuto il suo consueto discorso alla Casa Bianca. L’incipit del presidente ha sottolineato la posizione di ferreo sostegno che gli Stati Uniti mantengono nei confronti del popolo ucraino. Inoltre, il leader americano ha annunciato che tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea continuano a collaborare al fine di aumentare la pressione economica su Mosca. Ed è proprio a questo proposito che gli Stati Uniti, congiuntamente agli alleati NATO e G7 hanno deciso di agire. Tutte queste nazioni, infatti, prenderanno delle misure che serviranno a revocare alla Russia lo stato di nazione più favorita nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il WTO. Il principio dello stato di MFN (most Favoured Nation) – che negli Stati Uniti viene chiamato anche PNTR, permanent normal trade relations – si basa sull’idea che i paesi debbano trattare ciascun partner in maniera equa, impedendo così il nascere di una nazione a tutti gli effetti più favorita. Con questa decisione, dunque, il presidente Biden ha aperto la strada ad un’applicazione di dazi più elevati sulle merci provenienti da Mosca. Inoltre, Biden ha posto l’accento sul sostegno – in termini economici – fornito all’alleato ucraino, che già a fine febbraio si è concretizzato in un aiuto militare del valore di 350 milioni di dollari, unitamente all’autorizzazione di una fitta condivisione di informazioni con Kiev. 

Tutti questi elementi, dunque, fanno pensare che Biden abbia l’intenzione di uscire da quel loop che il giornalista di The Guardian David Smith chiama impossible bind. In effetti, il presidente americano si trova decisamente tra due fuochi: da un lato l’opinione pubblica statunitense sta domandando al suo presidente di “fare di più” per i cittadini ucraini; dall’altro, tuttavia, quest’ultimo non vuole essere artefice dello scoppio di una terza guerra mondiale. Ed è proprio su questo punto che Biden ha calcato la mano, con frasi brevi e concise: “Non combatteremo una guerra contro la Russia in Ucraina. Un confronto diretto tra NATO e Russia equivale ad una Terza Guerra Mondiale, cioè qualcosa che dobbiamo cercare di prevenire ad ogni costo”.

Al termine del suo discorso tenuto nella giornata dell’11 marzo, al presidente è stata posta una domanda inerente alle armi chimiche russe che, secondo alcune voci dentro alla stessa Casa Bianca, potrebbero essere usate addirittura come operazione “falsa-bandiera”. In particolare, è stato chiesto al presidente quali prove ci fossero rispetto a questo e se, in caso di un loro utilizzo, gli Stati Uniti siano in possesso una risposta militare. Biden ha risposto senza mezzi termini affermando che non si sarebbe espresso rispetto all’intelligence ma che “la Russia pagherà un prezzo severo se userà le armi chimiche”. 

La telefonata tra Putin, Scholz e Macron

Sabato 12 marzo ha avuto luogo la telefonata tra Putin, il cancelliere tedesco Scholz e il presidente francese Macron allo scopo di intavolare un dialogo e disinnescare la crisi ucraina. Secondo le dichiarazioni dei media nazionali tedeschi la chiamata, conclusasi poco prima delle 14, si è incentrata sulle richieste di Berlino e Parigi di un immediato cessate il fuoco in Ucraina, nonché di un “inizio di soluzione diplomatica del conflitto”. Il segnale della controparte, tuttavia, non ha dato adito ad alcun segnale di volere sospendere il conflitto, riportano alcune fonti francesi. Le fonti russe, d’altro canto, riportano che Putin avrebbe informato le controparti rispetto al “reale stato delle cose”, criticando quella che lui stesso avrebbe definito come “flagrante violazione” del diritto umanitario internazionale da parte delle forze ucraine.

Conclusioni

Fino a qualche giorno fa il bilancio di missili lanciati sull’Ucraina da parte della Russia ammontava a 625. Proprio nella giornata di domenica 13 marzo Al Jazeera ha riportato, inoltre, che la base ucraina vicino alla Polonia è stata attaccata; sono state uccise, riporta la fonte, almeno nove persone. 

È quanto mai complesso – oltre che prematuro, probabilmente – tirare le somme rispetto alle sanzioni che Biden ha imposto alla Russia, trascinando con sé anche gli alleati europei. Su due cose, certamente, non sussistono dubbi: la prima è che il presidente statunitense sta affrontando una resa dei conti con l’omonimo russo tesa e pericolosa; la seconda è che una resa dei conti così pericolosa e tesa non si vedeva da 60 anni, quando il presidente J. F. Kennedy ha avuto il testa a testa con l’omonimo russo Nikita Khrushchev in occasione della Crisi dei missili cubani.

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