La vittoria elettorale di SYRIZA del 25 gennaio 2015 ha sollevato le più grandi speranze di cambiamento nell’intera Unione Europea ma, al contempo, ha suscitato anche fondati timori sul destino dei progetto comunitario. In appena quattro mesi di governo Alexis Tsipras ha battuto diverse vie per ottenere una sponda internazionale all’uscita dalla profonda crisi economica e sociale del paese. Tentiamo quindi di analizzare le scelte di Atene in questo quadrimestre e i possibili futuri scenari.
Atene al tempo della crisi
La Grecia, per qualsiasi europeo, non è soltanto un paese in difficoltà economica o un’affascinante meta per gite turistiche, ma evoca immancabilmente un profondo legame sentimentale il cui peso sarebbe difficile da sottostimare. Atene, Olimpia, il Peloponneso e la Tracia, sono luoghi che impariamo a conoscere fin dalla nostra infanzia, già dalle pagine dei sussidiari, mentre i nomi di Odisseo, di Socrate o di Pericle ci suonano immancabilmente più familiari rispetto a quelli di Gilgamesh, Ramses o Nabucodonosor. La “mezzaluna fertile”, la valle del Nilo, le città fenicie e la Persia sono terre mostrate a generazioni di europei come paradigma dell’alterità, come luoghi abitati dai sempiterni avversari e concorrenti, percepiti sempre lontani da noi. Rispetto alla Grecia, invece, sentiamo una certa parentela, quasi una diretta filiazione. È là, ci insegnano, che è iniziata la nostra storia.
Non dovrebbe dunque destare troppo stupore l’emotività con cui affrontiamo anche i recenti rapporti tra la Grecia e l’Europa. Sdegno e sentimenti di rivalsa sono stati anche il motore che ha condotto il cartello delle sinistre elleniche SYRIZA – sotto la guida di Alexis Tsipras – verso l’annunciato trionfo alle elezioni politiche del 25 gennaio. Lo sdegno era diretto principalmente contro i due principali partiti di governo, Nea Dimokratia e PASOK, per aver condotto il paese in una drammatica crisi economica, e dunque sociale, senza esser riusciti a elaborare vie d’uscita credibili o sostenibili. I sentimenti di rivalsa hanno avuto invece uno spiccato carattere nazionale, indicando nella cessione di sovranità alle istituzioni europee e alle grandi organizzazioni economiche un’aggravante, se non la causa stessa, dell’attuale prostrazione greca.
Eppure, se i sentimenti hanno una loro forza, è altrettanto innegabile che essi prendano corpo in uno scenario assolutamente materiale. La crisi economica che ha colpito l’euro-zona è stata particolarmente feroce nel contesto ellenico. Quella che resta tutt’oggi una delle più importanti economie balcaniche, con la maggior flotta mercantile del mondo e forti interessi in tutti i paesi limitrofi – dall’Albania alla Bulgaria e alla Serbia – continua a sprofondare nella recessione. Se la Commissione europea prevedeva per il 2015 un’economia greca in ripresa, i dati reali del primo quadrimestre hanno invece mostrato come Atene mantenga tassi di crescita negativi del -0,2%, a fronte di una media positiva europea dello 0,4%. Tali cifre sono ancor più preoccupanti se teniamo presente come diversi paesi colpiti dalla crisi, quali Cipro e la Spagna, mostrano i più chiari segni di ripresa – rispettivamente dell’1,06% e dello 0,9%.
Indubbiamente la Grecia soffre l’attuale ritardo anche per problemi strutturali di difficile risoluzione. Accanto alla diffusa corruzione e all’evasione fiscale endemica – fattori comuni a molti paesi dell’Europa meridionale – l’economia greca si presenta come un ibrido tra modernità e arretratezza. Della prima condivide la preminenza del settore terziario che, da solo, copre quasi quattro quinti del prodotto interno lordo. Della seconda, invece, un sistema di produzione ancora arcaico in numerose aree del paese. Rilevatori, a questo proposito, sono i dati della produzione agricola – dalla quale la Grecia ottiene anche importanti indici di esportazione, come l’olio – secondo i quali essa contribuisce al 3,4% del pil impiegando però più del 12% della forza lavoro. Se prendiamo come termine di paragone l’Italia (dove un contributo agricolo al pil di circa il 2% è garantito da appena il 3,6% della forza lavoro) è possibile farsi un’idea abbastanza chiara della situazione in cui versa il settore primario ellenico e, con esso, l’intero sistema produttivo. Chiunque abbia poi modo di visitare la Grecia nel suo interno, lontano da Atene, dalle isole e dai resort, potrebbe facilmente veder tradotte queste cifre in realtà.
Un altro indice di arretratezza emerge inoltre dalle percentuali di bilancio riservate alle spese militari. Nella nostra epoca quote superiori al 2% sono appannaggio o delle grandi potenze o di paesi del cosiddetto Terzo Mondo che, per ragioni di politica interna o internazionale, basano la propria sopravvivenza su forze armate sovradimensionate alla loro economia. Atene dedica alle spese militari circa il 2,5% del proprio bilancio, collocandosi al primo posto tra tutti i paesi europei (si consideri, ad esempio, Francia e Inghilterra col 2,2% o la Svezia, che ha sempre avuto una tradizione di costruzioni belliche in proprio, non superiore all’1,1%) e superando addirittura la vicina Turchia (2,3%), la quale rappresenta – con le diverse dispute di confine tra i due paesi nell’Egeo – la principale “scusa” per gli investimenti ellenici nelle forze armate.
La sirena di Mosca
Ai problemi, e dunque alle possibili soluzioni, sul piano interno, si aggiungono inevitabilmente anche quelli del panorama politico estero. Nonostante i nostri sussidiari e gli sforzi dei professori di lettere classiche o di storia, la Grecia è sempre stata una terra a metà tra Oriente e Occidente. Già nell’antichità, da un punto di vista culturale e politico, i Greci avevano molto più in comune con i Persiani o i Fenici che non con i Celti o gli Iberi. Nell’attuale scacchiere internazionale non può dunque sorprendere che la Grecia, oltre a forti interessi nel Mediterraneo orientale, abbia sviluppato una propria Ostpolitik verso la Russia e i paesi dell’ex-blocco sovietico. I buoni rapporti con il mondo slavo sono stati, dagli anni Novanta, una costante della politica estera di Atene, e hanno subito solo una breve parentesi di riorientamento atlantista durante il governo di George Papandreou (2009-2011). In particolare la Grecia ha trovato in Mosca un partner economico abbastanza favorevole, soprattutto nel campo della cooperazione energetica – si pensi all’oleodotto Burgas-Alexandroupolis, ideato nei primi anni Novanta e sospeso solo nel 2011. Nell’ultimo biennio, inoltre, il valore degli scambi della Grecia con la Russia ha oltrepassato i 9 miliardi di euro, superando quello con la Germania.
Le ragioni economiche potrebbero da sé giustificare quindi il perdurare dell’atteggiamento benevolo di Atene verso Mosca, concretizzatosi nell’opposizione del governo Tsipras al rinnovo delle sanzioni imposte nel quadro della crisi ucraina, affiancato in questo caso da altri paesi eminentemente russofili come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e, soprattutto, l’Ungheria. Non è però SYRIZA a mantenere il monopolio di tale linea politico-internazionale all’interno del panorama partitico ellenico e dello stesso governo. La cosiddetta “sinistra patriottica” (su tutti il KKE) si distingue infatti per un ancor più deciso riorientamento del paese in favore della Russia – e, dunque, contro l’Europa – mentre il partito del Greci Indipendenti-ANEL, che con i suoi tredici parlamentari ha permesso la formazione del governo Tsipras, propugna anch’esso una maggiore vicinanza strategica a Mosca, in chiave esplicitamente anti-tedesca. In tale contesto SYRIZA e lo stesso Tsipras appaiono ancora collocabili all’interno della tradizionale politica estera ellenica degli ultimi vent’anni, ovvero fautori di una posizione intermedia, di bilanciamento tra Oriente e Occidente – anche se, nella buona vecchia logica del “peso determinante”, esiste sempre la possibilità, o la tentazione, di porsi troppo marcatamente da una parte per ottenere eventuali concessioni dall’altra.
Qui risiede il maggiore pericolo della Ostpolitik ellenica: non tanto nelle premesse strategiche della Grecia stessa, le cui aspirazioni di bilanciamento o terra-ponte sono assolutamente legittime, quanto nella debolezza interna della costruzione comunitaria europea, insidiata da attori talmente numerosi ed eterogenei (come per esempio il Front National, la Lega Nord, l’UKIP, l’AfD tedesca e così via) da rischiare il collasso su se stessa. In tal caso anche le opzioni strategiche di Atene verrebbero rapidamente meno, poiché infatti la conditio sine qua non per ogni politica del “peso determinante” giace nell’esistenza di due forze contrapposte.
Lo stivale tedesco
Una di queste due forze è indubbiamente l’Europa che, nel vocabolario politico greco, viene ridotta spesso alla sola Germania. Eppure, vale la pena ricordarlo, la Germania è forse proprio uno dei paesi europei ad avere avuto i maggiori legami storici con la Grecia moderna. Il primo monarca dopo l’indipendenza fu infatti il bavarese Otto von Wittelsbach – seguito poi da una dinastia danese – sotto il cui regno iniziò a prender forma il paese ellenico, anche attraverso importanti istituzioni come l’Università di Atene, da lui eretta e dove vennero convocati numerosi eruditi tedeschi (tra i quali Karl Nikolaus Fraas, nonno materno di Karl Haushofer, il padre della geopolitica).
Tuttavia oggi non è affatto la Germania di Ottone e degli accademici a occupare il primo posto nelle menti dei Greci, quanto piuttosto quella di Angela Merkel e del suo ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble. Il relativo benessere tedesco, i forti interessi di Berlino nell’economia greca e, da ultimo, il ricordo di una serie di scandali riguardanti aziende come la Siemens (2007) hanno condotto Atene verso un confronto serrato con la Bundesrepublik, in cui non si risparmiano toni duri e in cui emerge, ben delineato, il carattere “emotivo” delle relazioni greco-europee. Nella compagine del governo ellenico la parte del leone anti-tedesco è giocata indubbiamente dai Greci Indipendenti-ANEL e dal loro leader, Panagiotis Kammenos, attuale ministro della difesa. Kammenos, che ha fondato il partito in disaccordo con la linea di austerity di Nea Dimokratia, si è fatto paladino della lotta contro la «Germania egemone e corrotta» e contro un’Europa governata da «tedeschi nazisti».
Su quest’ultimo aspetto parrebbe delinearsi una possibile saldatura con le istanze critiche di SYRIZA verso l’attuale politica europea. Il primo gesto di Tsipras da capo del governo fu quello di portare omaggio al monumento dei caduti nella resistenza anti-nazista, e si potrebbe dibattere se si sia trattato di un messaggio rivolto ad Alba Dorata oppure alla Germania – probabilmente a entrambi con un colpo solo. Tuttavia risulta abbastanza inequivocabile la recente trasmissione nelle metropolitane ateniesi di un video, promosso da cinque ministeri tra cui quelli del turismo e della difesa, sull’invasione tedesca della Grecia nel ’41. Questa iniziativa – che ha avuto luogo l’8 maggio, anniversario della resa del Terzo Reich – rientra in una più ampia campagna, lanciata in marzo, per richiamare nella mente dei Greci la memoria dei crimini nazionalsocialisti, ed è difficilmente scindibile dalla contemporanea richiesta di riparazioni che Atene ha sottoposto a Berlino, nella cifra di 278,7 miliardi di euro.
Prescindendo dai motivi legali (la Germania pagò le proprie riparazioni alla Grecia negli anni Sessanta con 115 milioni di marchi) e dalle ragioni storiche (l’intervento della Wehrmacht fu dettato dal fallimento della, disapprovata, invasione italiana e dal conseguente rafforzamento del contingente britannico in Grecia), evocare i crimini del nazionalsocialismo per ottenere risarcimenti in un momento di crisi economica e per una cifra molto vicina all’ammontare del debito greco (stimato sui 320 miliardi di euro) ha ottenuto l’unico effetto di suscitare forti sospetti di malafede – quasi un uso economico dell’antifascismo – e, soprattutto, di alienare al governo Tsipras le simpatie di quella parte del panorama politico tedesco (su tutti i Die Linke) che gli aveva concesso appoggio incondizionato fino alle europee del 2014 e che rappresenta comunque una forza in ascesa sia nei vari Länder sia, forse, in un futuro governo federale.
Una politica interna ingombrante
Difficilmente sarebbe stato immaginabile che la Germania avesse potuto acconsentire pacificamente a tali richieste – timide voci si sono levate soltanto a sinistra, suggerendo magari alcuni investimenti per lo sviluppo a guisa di riparazione – ed esse sono parse piuttosto volte a irritare la controparte, così come la minaccia di sequestro di tutti i beni tedeschi in Grecia, tra cui principalmente quelli del Goethe Institut. Dall’altro lato neppure le reazioni del governo di Berlino sono state esenti da cadute di stile. Particolarmente infelici sono state soprattutto le reiterate intrusioni negli affari interni ellenici da parte di Wolfgang Schäuble, che hanno comunque raccolto aspre critiche da diversi membri dell’opposizione, i quali hanno accusato il ministro di gettare benzina sul fuoco della crisi ellenica. In ogni caso sono state indicative del livello dei rapporti greco-tedeschi e della loro percezione le reciproche assicurazioni espresse durante l’incontro bilaterale tra Tsipras e Merkel in marzo, nonché le dichiarazione di Steffen Seibert – portavoce della cancelleria – che ha sentito la necessità di ricordare come la ricerca di una soluzione per il debito greco non sia una «diatriba privata» tra Atene e Berlino.
La tensione tra i due paesi potrebbe però anche poggiare su considerazioni strategico-politiche. Non è possibile escludere, infatti, che molte delle mosse del governo Tsipras siano state dettate più da necessità di politica interna e di governabilità del paese che da vere convinzioni nell’agone europeo e internazionale. La coalizione SYRIZA-Greci Indipendenti è meno di un matrimonio di convenienza: passato politico, orizzonti mentali e fraseologia non potrebbero essere più distanti. A dimostrarlo sta già una prima frattura nel governo, il 13 maggio, sul finanziamento di una moschea ad Atene, per cui Greci Indipendenti-ANEL hanno votato contro. Ulteriori attriti si potrebbero produrre in qualsiasi momento su temi di politica scolastica, religiosa, assistenziale e così via. Alcuni passi falsi, se non pericolosi, in politica estera sarebbero quindi da ricondurre a un compromesso con il feroce anti-europeismo – e la parallela russofilia – del partner di coalizione. Inoltre è opportuno ricordare le grandi speranze che hanno condotto Tsipras alla vittoria di gennaio e che non sarebbe prudente tradire con un repentino passaggio dai toni da campagna elettorale ai mormorii da politica di governo.
Traghettare un paese fuori dalla crisi
Date queste premesse, preme piuttosto valutare se una simile linea possa effettivamente funzionare. La Grecia è un paese in profonda crisi economica e ancora in fase di recessione. Le cause di tale drammatica condizione sono soprattutto interne – corruzione, arretratezza, sperequazione – aggravate semmai da situazioni e congiunture internazionali o dalla volontà di approfittarne di paesi terzi. La Grecia può risollevarsi solo risolvendo i suoi profondi problemi strutturali e, sulla carta, SYRIZA potrebbe essere il partito adatto ad affrontarli direttamente e radicalmente. Tuttavia i primi quattro mesi di governo non sono stati assolutamente promettenti: nessun piano coerente di riforme è stato ancora elaborato e, tantomeno, presentato all’elettorato o ai creditori. Tempo ed energie sono state piuttosto dedicate ai negoziati con gli altri paesi europei e in campagne inconcludenti come quella suddetta sulle riparazioni di guerra. Inoltre alcune vie praticabili per l’ammodernamento del paese paiono già sbarrate – su tutte una sensibile riduzione delle spese militari, automaticamente esclusa con la concessione della difesa a Kammenos – mentre l’attenzione del governo Tsipras sembra più rivolta a cercare la salvezza del paese al di fuori dei propri confini, contro Berlino o con Mosca.
Sullo scacchiere internazionale il gioco però potrebbe essere molto più grande di qualsiasi cosa l’attuale governo greco possa gestire. L’Unione Europea sta attraversando una fase decisiva, in cui si stabilirà non solo il destino della moneta unica, ma anche quello del processo di integrazione. La posta sul tavolo non si riduce poi soltanto alla sistemazione veterocontinentale: attorno a essa ruotano equilibri globali in rapida definizione, da cui emergeranno attori e protagonisti delle prossimo futuro, e la compromissione – anche involontaria – del progetto comunitario potrebbe escludere molti paesi europei dalla partita. La Grecia, in vista di vantaggi immediati, rischia di diventare uno spalto per le mosse strategiche della Russia di Putin; il tutto in nome di una sovranità, o meglio di una libertà, che comunque sarebbe irrealizzabile dati i contesti macro-economici e geopolitici dell’attualità.
Ricorsi e ironie della storia: a cavallo tra il III e il II secolo a.C., Roma combatté le sue guerre “per la libertà dei Greci” contro il giogo macedone. Ad Atene dovrebbero ricordare bene come andò a finire.