Il 2009 non è stato solo l’anno della Grande Crisi, bensì anche l’anno in cui, usando lo pseudonimo Satoshi Nakamoto, è stato pubblicato l’articolo “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”; in questo white paper veniva spiegato cosa fosse e come funzionasse la prima criptovaluta al mondo, il Bitcoin. Parecchie cose sono cambiate da quel giorno, ma procediamo con ordine.
Un libro mastro digitale inviolabile
Anzitutto, occorre specificare che il funzionamento delle criptovalute dipende dalla blockchain: una catena crittografica di informazioni che permettere non solamente di tenere traccia degli scambi tra persone, ma anche di garantire l’inviolabilità delle transazioni trascritte al suo interno. In sostanza, di tratta di un libro mastro digitale a prova di manomissione.
Con “Peer-to-Peer” ci si riferisce al particolare sistema crittografico della blockchain, che rende gli utenti parte fondamentale dell’inviolabilità del libro mastro, in quanto nel momento in cui avviene una transizione di criptovaluta, il sistema controlla tra la blockchain distribuita identicamente tra tutti gli utenti per accertarsi che anche a loro risulti che la persona la quale sta trasferendo quel coin ne sia effettivamente il proprietario e raggiungere un “consenso” (si veda il c.d. “Problema dei generali bizantini”). Una volta che il sistema, nella forma di smart contract, ovvero funzioni informatiche che possono assumere la forma di negozi contrattuali, si è assicurato la legittimità dello scambio, quest’ultimo avviene.
Legittimità intesa non nel senso di legale, bensì come legittima in base a quella prova del consenso menzionato in precedenza. Le monete virtuali, in effetti, hanno corso legale forse in due o tre Paesi in totale e dunque l’accettazione come mezzo di pagamento è su base volontaria (Consob). Avere corso legale significa che lo Stato ritiene quello strumento come valido strumento legale all’interno del proprio territorio e una persona non può rifiutare un pagamento che avviene attraverso quello strumento.
Le istituzioni statali e religiose contro le criptovalute
Uno dei trend che si possono riscontrare in Asia orientale è quello della lotta alle monete virtuali; la Cina, infatti, ha da tempo iniziato una battaglia contro le criptovalute, battaglia culminata nel divieto dell’estate 2021 di qualunque transazione di monete virtuali che non siano lo e-yuan (il renminbi digitale emesso dalla Banca Centrale).
La natura fortemente decentralizzata delle criptovalute costituisce un serio problema nei confronti della stabilità dell’autorità monetaria dello Stato in generale, non solamente per quello cinese, più centralizzato di altre economie. La mancanza di una terza parte che, per semplificare il concetto, possa fungere da semplice intermediario finanziario – si pensi al bonifico tra utenti, ad esempio – o da garante della moneta – si pensi all’emissione di valuta da parte di una banca centrale – è una delle ragioni che ha spinto la creazione di una moneta decentralizzata.
Questa natura intrinseca delle criptovalute le rende appunto mal viste anche dalle economie di mercato, le quali, in realtà, dipendono fortemente da istituzioni solide e garantite da un’autorità centrale, molto più di quanto non possa sembrare ad un novizio di studi economici. Infine, durante il mese di novembre 2021 la comunità islamica indonesiana ha decretato che l’utilizzo di criptovalute, persino quelle emesse da banca centrale, può considerarsi come proibito secondo la legge islamica.
La multinazionale giapponese leader nel settore e le valute digitali delle Banche Centrali
Un altro trend è associato al successo della nipponica Soramitsu, impresa specializzata nella realizzazione di infrastrutture blockchain per banche centrali. Nell’ottobre del 2020 è stata colei che ha permesso alla Cambogia di lanciare la prima moneta elettronica emessa da Banca Centrale al mondo, il “Bakong”, a seguito della volontà del Paese asiatico di incentivare l’utilizzo della moneta locale attraverso i minori costi di transizione che le criptovalute consentono di attuare. Nel white paper di Nakamoto, gli autori esplicitano chiaramente che uno degli obiettivi del Bitcoin è quello di ridurre la distanza tra mezzo e strumento di pagamento, in modo da creare una moneta contante il cui controllo e intermediazione non siano affidati ad una parte terza.
Questa natura delle criptovalute può in realtà aiutare i Paesi che non sono in grado di costruire un’infrastruttura in grado di collegare periferie non integrate con i propri centri finanziari, e di conseguenza influenzarle con le proprie politiche monetarie, dal momento che essendo comunque denaro il valore delle criptovalute può essere influenzato dalla sovranità statale. Tra giugno e luglio 2021 la Soramitsu è anche rientrata tra le 15 finaliste su oltre 200 imprese chiamate dalla Banca Centrale di Singapore a proporre la propria infrastruttura finanziaria sulla quale basare la propria moneta digitale.
Corea del Sud e Thailandia sono gli altri Paesi della regione che stanno le proprie infrastrutture volte alla creazione di una moneta digitale emessa dalla propria banca centrale. Che sia questo il futuro della moneta contante anche nel resto del mondo?
Alessandro Vesprini,
Centro Studi Geopolitica.info
Articolo originariamente pubblicato su China Files.