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Crimea: è davvero Putin il vincitore? Intervista con Gabriele Natalizia

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Geopolitica.info affronta le tematiche strategiche e diplomatiche connesse alla crisi in Crimea con un intervista a Gabriele Natalizia, coordinatore del centro studi e ricercatore per il centro di ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa subsahariana” di “Sapienza” Università di Roma.
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Articolo pubblicato su http://www.huffingtonpost.it/

 

 

Dopo il colpo di mano russo in Crimea è verosimile un intervento della Nato in Ucraina per garantire la stabilità del Paese?

Al momento no. Il costo dell’operazione – pur studiata attentamente e sulla base dei calcoli razionali di tutti gli attori presenti sul campo – potrebbe essere quello di agevolare la perdita di controllo della situazione, soprattutto se Mosca subito dopo decidesse di rafforzare ulteriormente la sua presenza militare in Crimea e concentrare le sue truppe ai confini delle regioni dell’Ucraina a maggioranza russa per difendere quest’ultima in caso di violenze. Uno scenario del genere sarebbe verosimile e gli Stati Uniti non sono disposti a rischiare un pericoloso scontro in un momento in cui l’opinione pubblica interna è ritornata al suo tradizionale isolazionismo e i documenti di sicurezza nazionale dell’Amministrazione Obama concentrano la loro attenzione sull’area dell’Asia-Pacifico. D’altra parte come insegna la storia le ragioni delle medie e piccole potenze vengono meno quando la posta in gioco è troppo alta e la difesa della loro sovranità non incide direttamente sulla percezione della difesa della sicurezza delle superpotenze. Lo insegna il caso della Georgia, anche se l’Ucraina è sia strategicamente, che simbolicamente più importante per gli equilibri internazionali. Rappresenta il più grande Stato di quella sorta di nuova area di “finlandizzazione” tra Occidente e Russia che era stata riscritta sulle mappe geopolitiche del post Guerra fredda. La sua divisione o un eventuale occupazione russa delle regioni orientali – dopo quella della Crimea – segnerebbe la fine del concetto di “estero condiviso”, promosso dagli Stati occidentali, e la definitiva affermazione di quello di “estero vicino” con cui Mosca ha ribadito il permanere delle ex repubbliche sovietiche nella sua area d’influenza. D’altro canto non è neanche nell’interesse del Cremlino rischiare lo scontro, tanto che il gioco diplomatico di Putin è stato quello di mostrare i muscoli nella consapevolezza del forse eccessivo razionalismo politico dei Paesi occidentali. Dopo aver salvato il controllo di un territorio simbolicamente e strategicamente importante come quello della Crimea, peraltro, nell’interesse della Russia non delegittimare la sua immagine con un atto di forza che sarebbe anti-storico e continuare a condizionare la vita politica dell’Ucraina grazie al peso elettorale dei cittadini russi per appartenenza etnica o linguistica (i primi sono il 18%, mentre i secondi il 25% della popolazione complessiva).

Le sanzioni alla Russia e il congelamento dei rapporti con Stati Uniti e Unione Europea costituiscono strumenti reali di pressione?

L’hard power non è un fattore spendibile solo attraverso il ricorso alla forza, ma anche attraverso la minaccia del suo uso. La Nato, per dare maggior peso alla sua azione, dovrebbe tracciare chiaramente la linea rossa che la Russia non deve oltrepassare, creando un “ambiente” internazionale al cui interno agiscano maggiori pressioni nei confronti di Mosca. Nel ricorso all’hard power ricade anche la possibilità di un braccio di ferro che ricomprenda una serie di ritorsioni nei confronti di alleati strategici della Russia (un attacco in Siria per esempio). Al contrario sembra pericoloso il ricorso a pressioni economiche. Quelle attuali – molto circoscritte – rischiano di danneggiare ulteriormente l’immagine degli Stati occidentali, svelando l’inefficacia di un tale provvedimento. Ma ancora più rischiosa potrebbe essere l’opzione di sanzioni estensive, che in presenza di defezioni nella loro applicazione potrebbero portare a vere e proprie fratture all’interno dell’alleanza occidentale e a una sua delegittimazione davanti all’opinione pubblica mondiale.

L’Onu sembra non avere strumenti di intervento: siamo a un punto di svolta nel sistema internazionale?

È dalla fine della Guerra fredda che l’Onu si trova sull’orlo di un precipizio politico, quello dell’assenza di effettività. La guerra in Iraq del 2003 ne ha reso evidente l’irrilevanza come organizzazione in grado di garantire un ordine internazionale più sicuro, obiettivo per cui era stata fondata all’indomani del secondo conflitto mondiale. In assenza di un suo profondo ripensamento è difficile immaginare una sua ritrovata centralità nella politica internazionale, se non come fonte di legittimazione – talvolta ex ante, ma anche ex post – delle scelte compiute dalle grandi potenze al di fuori del suo consesso. Maggiore raggio di azione sembra avere la Nato, che in un sistema più disordinato e, quindi, più instabile rispetto a quello del ’45-’91 continua a garantire un ricorso alla forza in tempi relativamente rapidi nei casi di maggiore emergenza (come dimostrato dal precipitare della crisi in Libia nel 2011).

Qual è la chiave di lettura delle evoluzioni dello scacchiere geopolitico in cui è inserita l’Ucraina?

Dopo la fine della Guerra fredda un tacito accordo intercorso tra Washington e Mosca voleva che i territori delle ex Repubbliche socialiste sovietiche – l’eccezione dei Paesi Baltici – avrebbero dovuto costituire una nuova area “finlandizzata”. Nella prospettiva del Cremlino, nonostante la loro neutralità ufficiale, i nuovi Paesi sarebbero stati ricompresi nell’orbita d’influenza russa. Non a caso in Russia sono stati presentati con la ricorrente definizione di “estero vicino”, mentre nella prospettiva occidentale sarebbe stata più corretta l’idea di “estero condiviso”, ossia una regione su cui sia Stati Uniti e partner europei che Russia avrebbero esercitato la propria influenza. Solo il tempo potrà dire, tuttavia, chi è il vincitore del braccio di ferro in Ucraina. Nonostante sembra diffusa nell’opinione pubblica mondiale la percezione di una sostanziale vittoria politico-diplomatica di Putin, la separazione della Crimea dall’Ucraina potrebbe indicare più un indebolimento della Russia, che l’aumento del suo coefficiente di potenza. È avvenuta, infatti, dopo la sostanziale defenestrazione di un governo filo-russo (nonostante Yanukovich avesse accompagnato il momentaneo avvicinamento di Kiev alla Ue) in una terra che, più di altre, era considerata dal Cremlino alla stregua di un suo “cortile di casa” e il cui possibile ingresso nella zona d’influenza occidentale potrebbe tradursi – presto o tardi – nello spostamento dei confini della Ue e della Nato a circa 400 km da Mosca. Se consideriamo che la linea di confine durante la Guerra fredda correva lungo i confini della Repubblica Federale Tedesca e dell’Italia, il mutamento dell’equilibrio di potere sembra evidente. Tuttavia non bisogna dimenticare che la percezione della realtà talvolta è in grado di sopravanzare la realtà e che, di conseguenza, l’Occidente deve stare attento alla capacità di Putin di capitalizzare questo suo successo nel campo delsoft power.
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