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Cremlino 2020: la perdita del consenso e la gestione della centralità di Mosca

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Con l’inizio del 2020, Mosca è tornata sotto i riflettori dell’arena internazionale. Dal punto di vista domestico non sono passate inosservate sia le modifiche costituzionali, che permettono a Putin di mantenere la presidenza fino al 2036, sia le inedite rivolte a Khabarovsk. Hanno avuto maggiore rilievo, dal punto di vista internazionale, le vicissitudini che hanno riguardato Alexei Navalny e le relazioni con Lukashenko. Le maggiori fragilità della Russia però sembrano scaturire dalla gestione del governo, che segue pedissequamente il temporaneo declino di popolarità del Presidente Putin e influenza la gestione delle relazioni internazionali.

La perdita del consenso

Il ventennale consenso di cui si è potuto avvalere Putin ha subito un forte ridimensionamento, in chiave domestica. Lo si era capito in maniera evidente nel mese di aprile, quando il consenso del Presidente ha toccato i minimi storici del 1999, toccando il 59%. Una situazione temporanea, complice l’ondata pandemica di Coronavirus, che ha messo in discussione l’effettiva centralità di Mosca e l’operato di Vladimir Putin. Ora Putin è in risalita, riportandosi al 66% dei consensi. In ogni caso, i dati statistici non sono gli unici indicatori che segnalano un indebolimento endogeno della struttura governativa. A partire dall’inizio del 2020, eventi come le dimissioni di Medvedev, il caso Abyzov, le rivolte a Khabarov e il recente arresto di Tikhonov, mostrano le fragilità del Cremlino. Incertezze che si sono riflesse nel campo internazionale, sia nel caso Navalny sia nella gestione delle relazioni con la Bielorussia. Oltre a queste, vi è da considerare l’importanza e le conseguenze della rottura con la chiesa ortodossa di Kiev e il deterioramento delle relazioni che ne conseguono.

Le dimissioni di Medvedev

Il primo segnale di discontinuità e fragilità politica è arrivato con le dimissioni di Dmitri Medvedev. Indubbiamente, le dimissioni dell’ex primo ministro hanno avuto luogo per permettere un totale cambio a livello ministeriale, facilitando la preparazione del referendum nazionale riguardante le modifiche costituzionali che avrebbe permesso a Putin di rimanere al potere anche dopo il 2024. Medvedev però aveva già palesato anzitempo il desiderio di fare un passo indietro e lasciare la carica. Sulla figura dell’ex primo ministro pesano infatti le accuse di corruzione, a seguito di un’inchiesta portata avanti dall’oppositore politico Alexei Navalny. Secondo le stime formulate dall’associazione anticorruzione FBK, l’ammontare dei fondi ottenuti illegalmente da Medvedev si aggira intorno a 1.2 miliardi di dollari.

Una vicenda che depistò la figura politica di Dmitri. Questo non a seguito delle accuse di corruzione, che non hanno generato un grande scalpore nei russi, un pubblico tendenzialmente abituato a questi casi politici. La maggiore ragione di malumore fu infatti dovuta al contesto storico: i cittadini stavano soffrendo un sostanziale declino della propria qualità di vita, a seguito delle sanzioni imposte dall’Occidente per l’annessione russa della Crimea nel 2014. Di conseguenza, portare Medvedev alle dimissioni rappresentava anche una chance di rebranding politico per il Cremlino e Russia Unita. La Russia, infatti, in quanto osservato speciale nella lotta contro la corruzione, ha dato l’impressione di intervenire proattivamente sul problema, allontanando temporaneamente Medvedev dagli uffici di potere.

L ’arresto di Mikhail Abyzov

Mikhail Abyzov ha ricoperto l’incarico di Ministro della Federazione russa per gli affari del governo durante il mandato di Medvedev dal 2012 al 2018. Il suo background è di stampo fortemente imprenditoriale, che lo ha visto culminare con la carica di presidente dell’E4, uno dei gruppi ingegneristici più importanti e influenti del Paese. L’arresto di Abyzov nel marzo 2019 ha sorpreso gli osservatori della politica russa, vedendo l’atto come un ulteriore segnale d’allarme da parte delle agenzie di sicurezza e di intelligence russe, schierate contro personalità politiche liberali, molte delle quali sono legate a Medvedev. La figura dell’ex primo ministro era stata ridimensionata dal Cremlino, dopo che, durante il suo mandato, ha tentato di tracciare un percorso liberale. Si nota quindi come il meccanismo di controllo e centralizzazione del Cremlino fosse perfettamente efficiente in questo periodo storico. La commissione d’inchiesta russa ha affermato che Abyzov sarebbe stato coinvolto in un‘associazione a delinquere che ha sottratto 4 miliardi di rubli alla Siberian Energy Company e alla Regional Electric Grid di Novosibirsk. Gli investigatori hanno affermato che Abyzov e cinque complici hanno rubato il denaro e traferito i fondai all’estero.

Il caso Tikhonov

Similarmente all’arresto di Abyzov, le recenti accuse volte al viceministro dell’energia Anatoly Tikhonov hanno destato stupore. Il viceministro è infatti vicino al Cremlino, avendo provato di avere buoni rapporti con Putin, ma soprattutto con Medvedev. L’uscita anticipata di Medvedev dai propri incarichi politici sembra avere avuto ripercussioni anche per coloro che erano all’interno del suo inner circle. Difficilmente in passato si è visto un membro del governo, vicino al partito Russia Unita, essere accusato durante il proprio mandato.

Tikhonov è stato arrestato con l’accusa di appropriazione indebita, per un valore di almeno 603 milioni di rubli. La violazione sarebbe stata commessa tra il 2014 e il 2015, durante il suo periodo a capo dell’Agenzia russa per l’energia, un’unità del ministero. Tikhonov è uno degli otto deputati del ministro dell’Energia Alexander Novak. Ha diretto l’Agenzia dal 2014 al 2019 prima di essere promosso a viceministro dell’energia. Mercoledì scorso la Commissione investigativa russa ha dichiarato che la presunta appropriazione indebita di fondi statali era legata allo sviluppo di un sistema digitale alla REA. Al momento, il tribunale di Mosca ha stabilito che sarà detenuto per due mesi in attesa del processo, ritenendolo a rischio di fuga.

Le rivolte di Khabarovsk

Differente, per appartenenza politica, è il caso Furgal. Nel mese di luglio, Sergei Furgal è stato sollevato dall’incarico di governatore di Khabarovsk. Il Comitato Investigativo, la principale agenzia di investigazione della nazione, ha riferito che Furgal è stato accusato, insieme ad altri quattro complici, di aver partecipato agli omicidi di diversi uomini d’affari della regione tra il 2004 e il 2005. La decisione del Cremlino di rimuovere il governatore dal proprio incarico ha scatenato le rivolte della popolazione locale, sebbene i manifestanti avessero moventi diversi. Di fatto, solo una parte della popolazione scesa in piazza crede nell’innocenza di Furgal, la maggioranza dei protestanti, invece, lotta perché l’ex governatore sia processato a Khabarovsk e non a Mosca.

Ciò, probabilmente, perché la popolazione ritiene il giudizio di Mosca pericoloso e di parte. Furgal è un membro del Partito Liberal-democratico, all’opposizione in Russia e schierato contro Russia Unita, partito di maggioranza legato a Putin. Al suo posto, Mikhail Degtyaryov, esponente del medesimo partito, è stato nominato come Governatore della regione. Trattasi di una persona competente ma non legata al territorio e che quindi non conosce le necessità dell’area. Nell’ottica del Cremlino, questa sostituzione doveva facilitare la futura elezione di un rappresentante di Russia Unita.

Arrivati al sessantaquattresimo ciclo di proteste, l’esempio di Khabarovsk si impone come un raro esempio di protesta durante il ventennio Putin. Durante questo lungo periodo di mobilitazione, si è visto come il focus principale delle proteste sia la gestione del governo del Cremlino, andando ben oltre, ormai, la vicenda Furgal. Lungo questi mesi, il movimento di protesta non è scemato, anzi ha acquisito sempre più vigore sino ad accendersi in occasione della vigilia delle elezioni regionali. In questa occasione è stata registrata la maggiore affluenza nelle strade della cittadina. Nel settembre 2018, la regione di Khabarovsk ha votato a favore dell’ex commerciante di Furgal, consegnando una cocente sconfitta al candidato sostenuto dal partito Russia Unita. Nelle ragioni di questo voto, viene espressa la scelta democratica di una popolazione locale che si sente trascurata da Mosca. Questo moto di rivolta e protesta indica quindi come l’idea di centralità di Vladimir Putin, avente come sede Mosca, sia più effimera di quanto in realtà abbiano potuto dimostrare i risultati delle recenti elezioni regionali.

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