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TematicheCina e Indo-PacificoCovid-19, un ulteriore motivo di frizione nell’alleanza nippo-americana

Covid-19, un ulteriore motivo di frizione nell’alleanza nippo-americana

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Nonostante il cambio di governo dello scorso anno sia a Washington che a Tokyo, la vicinanza tra i due partner sembra essere sempre più forte. A evidenza di ciò, gli alleati hanno, ad esempio, adottato una postura sempre più allineata nei confronti della questione Cina. Se questa vicinanza si manifesta regolarmente con il rinnovato impegno di Giappone e Stati Uniti a garantire un Indo-Pacifico libero e aperto (ne è un esempio il recente comunicato congiunto emesso in seguito al vertice 2+2 del 6 gennaio), l’alleanza non è tuttavia immune a frizioni interne, spesso legate al pesante impatto causato dalla presenza militare americana su suolo nipponico. L’ultima controversia in questo ambito riguarda proprio alcune discrepanze nelle misure adottate per il contenimento del Covid-19.

Omicron, Okinawa e le basi americane

Sin dalla metà dello scorso dicembre, si è verificata un’impennata nel numero dei contagi nella prefettura di Okinawa. Secondo i dati raccolti dall’NHK, il 15 gennaio un numero record di 1829 persone è risultato positivo. Quest’impennata nei contagi sembra essere riconducibile a una serie di focolai identificati nelle basi statunitensi ospitate dalla prefettura. Il governatore di Okinawa Denny Tamaki ha immediatamente fatto sentire le proprie obiezioni, denunciando le inadeguate misure di contenimento e quarantena a cui il personale militare americano è sottoposto. Anche il Ryukyu Shimpo, uno dei principali quotidiani locali, storicamente critico nei confronti della presenza militare americana, ha colto l’occasione per esprimere il proprio disappunto, sottolineando come, in proporzione, i casi di contagio nelle basi di Okinawa eccedano quelli registrati nelle basi in Europa e Stati Uniti. Persino il quotidiano nazionale Asahi Shimbun menziona le preoccupazioni dei cittadini della prefettura che, durante le festività, sembra abbiano dovuto tollerare gruppi di militari in festa senza mascherina. Le accese critiche non sorprendono, tuttavia, viste le storiche relazioni burrascose tra le basi americane e le comunità di Okinawa.

Al centro delle critiche sono le cosiddette misure lassiste americane rispetto a quelle più draconiane imposte da Tokyo. Tra le misure predilette dal Giappone, vi è stata la chiusura dei confini a tutti i non residenti. In seguito a una breve fase di riapertura a coloro in possesso di visto studentesco e per business, a fine novembre il neoeletto governo di Kishida ha nuovamente sbarrato i confini per contrastare la diffusione della variante Omicron. Nonostante la rigidità delle misure giapponesi, queste non si applicano nel caso di trasferimenti di personale militare americano che, sulla base delle disposizioni previste dallo Status of Forces Agreement (l’accordo che stipula i termini legali per lo stazionamento di truppe americane su suolo nipponico), sono sottoposti a regole di test e quarantena differenti. Se inizialmente, i trasferimenti del personale statunitense in Giappone avvenivano previa dimostrazione di un test PCR negativo, lo scorso settembre tale procedura è stata repentinamente rimossa, permettendo lo spostamento di personale con almeno due dosi di vaccino senza effettuare alcun test. Sebbene tali misure siano in conformità con quanto stabilito dalla CDC, le nuove e più moderate disposizioni non sono, però, state prontamente comunicate al governo dell’alleato. 

In seguito al picco di casi nella prefettura, Tokyo e Washington hanno prontamente concordato delle misure più rigide volte a contenere il numero dei contagi, tra cui la restrizione dei movimenti del personale al di fuori del perimetro delle basi. Le circostanze di tale incidente riflettono, tuttavia, una serie di problematiche a cui l’alleanza continua a far fronte. Innanzitutto, tale situazione rivela una chiara mancanza di coordinamento tra Washington e Tokyo. L’incapacità dei due alleati di comunicare efficacemente durante una crisi sanitaria mondiale non può che suscitare, almeno in parte, una serie di domande e dubbi riguardo all’effettiva abilità di coordinare le proprie risposte e risorse in caso di ulteriori scenari di crisi. 

La questione ha, inoltre, dato nuova voce alle tradizionali forze locali che si oppongono alla pesante presenza militare statunitense nella prefettura, irrobustendo le già numerose divergenze tra il governo centrale e quello locale. Ciò è di particolare rilievo in quanto a breve (il 23 gennaio) si terranno le elezioni comunali a Nago, la cittadina nel cui distretto di Henoko è pianificato il tanto discusso trasferimento della base di Futenma. Il rischio è che l’insoddisfazione legata al binomio Covid-basi possa favorire Kishimoto Yohei, il candidato appoggiato proprio dal governatore Tamaki, la cui campagna elettorale è contraria al trasferimento di Futenma. Se, agli occhi dell’opinione pubblica, il problema Covid dovesse combinarsi con la retorica antibasi, un simile scenario porta con sé il rischio di un ulteriore rallentamento dei lavori per concludere il già ritardato trasferimento di Futenma, che rimane una delle priorità nella gestione interna dell’alleanza.

Rispondere in modo adeguato all’insoddisfazione delle comunità locali è una questione fondamentale che Tokyo non può permettersi di ignorare, in quanto ciò ha importanti implicazioni anche per la sicurezza del paese. Questo, in virtù della centralità che la prefettura di Okinawa ricopre all’interno della dottrina di difesa nazionale delle forze di autodifesa giapponese, che negli ultimi anni si è progressivamente concentrata sulla regione sud-occidentale del paese. Non possiamo dimenticare inoltre che, vista la vicinanza tra Okinawa e Taiwan, le basi militari nella prefettura si troverebbero proprio in prima linea in caso di una contingenza nello stretto. Se l’irrobustimento delle capacità ed interoperabilità dell’alleanza rimane una priorità nell’approccio strategico del Giappone, altrettanto importante è, però, la corretta gestione delle relazioni con le comunità ospitanti, poiché la preparazione e continuità delle operazioni dell’alleanza dipende anche dal sostegno di queste. A tal riguardo, è quindi fondamentale che Tokyo e Washington si impegnino il più possibile a minimizzare incidenti facilmente evitabili che rischiano di danneggiare ancor di più le già precarie relazioni con le comunità delle isole.


Alice Dell’Era
Geopolitica.info

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