Il Covid-19 rappresenta un momento di svolta epocale anche per il settore turistico, dove i danni sono innumerevoli. Il cambiamento portato dalla crisi pandemica coinvolge sia il nostro modo di essere e sentirci turisti, indirizzandoci verso un nuovo tipo di domanda, ma rappresenta soprattutto un’importante opportunità che potrebbe portarci alla tanto agognata competitività turistica. Sapremo coglierla?
Uno dei settori più danneggiati dall’emergenza Covid-19 è senza dubbio quello turistico e con esso un suo aspetto fondamentale: il turismo siamo noi, siamo nati viaggiatori e il cambiamento che investirà questo settore avrà fortissime ripercussioni anche sulla nostra individualità, sul nostro stesso sentirci turisti.
Il settore turistico costituisce il 13% del PIL italiano e genera 4,2 milioni di occupati nel settore; solo ad ottobre 2019 la spesa dei viaggiatori internazionali ha raggiunto i 40 miliardi, con una crescita del 6%. Considerato che il 2018 si era chiuso con la cifra di 41 miliardi, a gennaio – appena prima della crisi – si auspicava un superamento notevole dell’anno precedente. Si vedeva nel 2020 l’anno propizio per il nuovo obiettivo che ci si era posti, quello di “diversificare” l’offerta puntando su altre tipologie di turismo, in particolare sul turismo culturale. Proprio quest’anno, infatti, ricorrono i 500 anni dalla morte di Raffaello e i 100 dalla nascita di Fellini ed erano quindi previsti festeggiamenti e numerose iniziative a livello nazionale. Tutte sospese poi, a causa del lockdown.
Quindi cosa aspettarci?
Secondo i dati ENIT pubblicati il 27 aprile, l’Italia ha registrato un calo degli arrivi aeroportuali del -38,2% nei mesi di gennaio-marzo 2020 rispetto allo stesso trimestre del 2019, con perdite del -56,7% per il periodo dal 1° gennaio al 12 aprile e un calo del -84,6% delle prenotazioni per il periodo che va dal 13 aprile al 24 maggio. Il recupero degli arrivi che ci permetterà di tornare ai livelli del 2019 è previsto solo nel 2023.
Assistiamo quindi ad una seria crisi della domanda, le cui cause sono varie e tutte dipendenti dal lockdown. Per citarne alcune: la riduzione del monte ferie, poiché queste sono state utilizzate dalle varie agenzie ed enti per la copertura del periodo di inattività con conseguente riduzione della capacità di spesa dei dipendenti, che potrebbe portare i viaggiatori a rivolgersi verso un turismo più economico, o al non considerare il viaggio nel breve periodo; il rischio long-haul travel, i viaggi su lunga tratta, poiché potrebbe essere difficile rientrare in Italia qualora dovesse ripresentarsi l’emergenza epidemica. A causa delle nuove misure di sicurezza, le compagnie aeree ammetteranno un minor numero di passeggeri su ogni volo, con conseguente riduzione della booking window. Alcune compagnie, inoltre, già nel primo periodo di emergenza Covid-19, hanno restituito le loro tratte certe che, una volta ristabilitasi la normalità, non riusciranno comunque a ripartire. Altre, invece, come Easy Jet, hanno deciso di consentire la prenotazione con cancellazione gratuita, considerando un possibile rimborso come un danno minore rispetto ad un’entrata mancata. È possibile anche che, data la situazione assai difficile, alcune strutture alberghiere decidano di non riaprire per il 2020.
La crisi della domanda investirà anche i prodotti turistici di Mare, Città d’Arte e Business Travel. L’agenzia THRENDS, basandosi su un ipotetico termine del lockdown al 15 maggio, stima un calo del -55%, con una relativa perdita di presenze di 153 milioni per tutto il 2020. Per quanto riguarda poi nello specifico Mare e Città d’arte, i due più rilevanti prodotti turistici dell’offerta italiana, l’agenzia ipotizza per il Mare oltre il 50% di presenze in meno sia per il mercato italiano che per il mercato estero, mentre per le Città d’arte si è già registrato un impatto notevole nei mesi di marzo-aprile e maggio, che da soli costituivano un quarto delle presenze turistiche annuali. Si prevede per la fine dell’anno una riduzione delle presenze fino a quasi il 60%. Il Business Travel, poi, registrerà una riduzione del 50% per il mercato italiano e fino al 60% per il mercato estero.
Avremo poi la crisi della destinazione turistica, specialmente estera, in favore di un turismo più domestico. Il Covid-19 ha sollevato un po’ il velo di Maya del mondo, per dirla alla Schopenhauer. Paesi che prima del Coronavirus si erano costruiti una certa immagine di potenze inaffondabili, intoccabili, non danneggiabili, quali Stati Uniti e Cina ad esempio, vedono adesso la loro reputazione indebolirsi a causa della gestione dell’emergenza e dei sospetti sulla veridicità delle informazioni da loro fornite al resto del mondo. Quante persone vorranno ancora viaggiare all’estero con la stessa leggerezza di prima, sapendo che c’è una minaccia pandemica? E quante vorranno ancora farlo in paesi dei quali dubitano?
Poi, naturalmente, la crisi degli spazi pubblici. Il turismo di per sé si sviluppa proprio in questi, basti pensare che il fulcro della nostra offerta turistica nel mondo sono le città, nello specifico Venezia, Roma e Firenze, con i loro monumenti ma anche soprattutto con le loro piazze. Pensiamo al turismo come l’abbiamo sempre conosciuto, in una città come Roma, ma in un contesto ancora influenzato dal virus. Come si può pensare di visitare una Piazza di Spagna o una San Pietro tenendo le distanze di sicurezza? O i Musei Vaticani dove, se ci limitassimo semplicemente ad applicare tali distanze alle code già interminabili, queste diventerebbero decisamente più lunghe; senza contare poi i visitatori all’interno, dove notoriamente si creano quelli che oggi, in un’ottica pandemica, chiameremmo assembramenti. E ancora, si avrà comunque voglia di andare in spiaggia, o al ristorante, sapendo di essere circondati da plexiglass? Occorrerà trovare delle soluzioni per rendere ugualmente allettante l’offerta turistica, il più possibile simile a quella cui eravamo abituati, ma tenendo conto delle misure di sicurezza. Per questo motivo sicuramente cambierà l’urbanistica, e con essa il nostro modo di pensare la città e gli spazi aperti.
Sicuramente torneremo a viaggiare, poiché il viaggio è insito nella nostra cultura, e ben prima nella nostra natura, ma lo faremo profondamente mutati. Il Covid-19 è per noi un trauma ed è dunque possibile che, in reazione ad esso, andremo a ricercare qualcosa di familiare e confortevole, che ci faccia sentire al sicuro e protetti. Non solo il nostro Paese, la nostra casa, ma soprattutto le esperienze che fanno parte delle nostre radici: gli spazi piccoli, le tradizioni e la genuinità. Un turismo più esperienziale.
Se tuttavia la crisi della domanda gioca un ruolo fondamentale, ugualmente importante è l’offerta. Il Coronavirus, infatti, ha portato, e porterà, un grande cambiamento nel nostro modo di sentirci turisti ma è chiaro che esso investirà anche l’aspetto più pratico ed economico: la scelta della destinazione, gli interessi, i gusti, le preferenze per i soggiorni e di conseguenza anche la scelta della struttura ricettiva, soprattutto in base al prezzo.
Poiché i futuri viaggiatori di quest’anno non avranno la stessa liquidità rispetto agli anni precedenti a causa delle misure per i lavoratori adottate dalle imprese durante la pandemia, il loro interesse si rivolgerà verso strutture più economiche, quali piccoli agriturismi, bed and breakfast o addirittura verso quelle nuove soluzioni ricettive che si sono affermate negli ultimi anni, come Airbnb.
A questo, aggiungiamo anche la quasi del tutto certa assenza di turismo inbound per questa stagione (e probabilmente per le due stagioni a seguire). L’inbound si rivolgeva per lo più alle grandi catene alberghiere, che ora, invece, vedono dimezzarsi (se non annullarsi del tutto) il numero dei loro clienti. Potremmo forse sperare in un turismo più europeo, ma sarebbe un azzardo puntare esclusivamente su quello, poiché non sappiamo quando ci saranno le condizioni per viaggiare in sicurezza in Europa, né se queste saranno nel breve periodo.
Quello che è certo è che bisognerà necessariamente avere il coraggio di rivedere la nostra offerta turistica, partendo innanzitutto dalla politica dei prezzi. Sebbene siano previste delle sovvenzioni statali per le strutture ricettive e dei Bonus Vacanze per le famiglie, esse non basteranno se le strutture ricettive stesse pretenderanno di mantenere il tenore di offerta cui erano abituati. Sarà necessario quindi rimodularla. Non aumentando i prezzi, sebbene viviamo da sempre l’illusione che il guadagno immediato porta benessere. Occorrerà, invece, con pazienza, investire. Capitalizzare quei pochi turisti che ci saranno, magari con la creazione di nuove reti, partnership e pacchetti. Fidelizzarli, in altre parole, per assicurarsi un guadagno sul lungo periodo che ci consentirà in futuro non solo di rialzarci, ma anche di non dover vivere più una così grave crisi del settore.
Non solo. L’Italia ha perso il suo primato turistico da ormai 50 anni. Secondo il Travel & Tourism Competitiveness Report 2019, attualmente occupiamo l’ottavo posto, preceduti da Australia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Sul podio, invece, Germania, Francia e Spagna al primo posto. Non siamo più competitivi, i turisti da tutto il mondo scelgono la “destinazione Italia” esclusivamente perché è una delle tante mete della ben più attrattiva Europa.
Dunque, questa crisi può decretare la distruzione del settore turistico oppure può essere una grande opportunità per riflettere e rimettere discussione il nostro modo di offrire turismo, un modo che, evidentemente, finora non è stato abbastanza efficace. È quindi il momento di iniziare a valorizzare, capitalizzare ciò che abbiamo, i nostri innumerevoli attrattori. Che non sono solamente le grandi città d’arte, ma i borghi, i parchi, il nostro cibo, le tradizioni e la nostra cultura. Se faremo ciò saremo anche in grado di risalire la china, abbandonando l’idea obsoleta dell’Italia che “si vende da sola”, diventando finalmente degli investitori, dei lungimiranti imprenditori. In altre parole, competitivi.