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Covid-19#Covid-19: Come gli Stati Uniti stanno gestendo l'emergenza

#Covid-19: Come gli Stati Uniti stanno gestendo l’emergenza

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Nelle ultime settimane si è assistito ad un rapido espandersi dell’epidemia di Covid-19 con un aumento del numero di casi e Paesi coinvolti, tanto che l’11 marzo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di pandemia. Gli effetti di una tale emergenza sanitaria di scala globale si ripercuotono dunque non solo all’interno dei singoli Stati ma nelle relazioni interstatali e sull’economia mondiale, portando all’adozione di misure di varia natura come la chiusura delle frontiere e le limitazioni degli scambi, fino ad avere un calo delle borse in Europa, Asia e Stati Uniti.

Attualmente, secondo i dati forniti dalla John Hopkins University, il numero di Paesi e regioni toccati dalla pandemia è di 178 e il numero dei contagi da coronavirus a livello globale è salito a 788.522, di cui 164.610 negli Stati Uniti, 101.739 in Italia, 87.956 in Spagna e 82.240 in Cina. Gli Stati Uniti diventano così il primo Paese al mondo per numero di casi, costringendo l’amministrazione Trump a cambiare direzione e a varare misure senza precedenti per limitare il più possibile i danni economici e sociali.

In poco più di due mesi, dall’annuncio del primo contagio da coronavirus negli Stati Uniti, si è registrata un’impennata dei casi tanto da superare la Cina, da cui ha avuto origine la pandemia. Nell’arco di 24 ore si è verificato un aumento dei contagi del 19% e del 29% quello dei decessi. In particolare, analizzando gli Stati più contagiati, su 160.718 casi registrati se ne contano 67.174 nello Stato di New York, 16.636 nel New Jersey, 7.421 in California, 6.508 in Michigan e 5.752 in Massachusetts. Secondo il New York Times tale crescita, quasi esponenziale, è dovuta ad un aumento del numero di test effettuati in questi ultimi giorni. L’emergenza è venuta ad imporsi nell’agenda politica americana, visto l’aggravarsi della situazione e l’impossibilità di ignorarla. 

Fonte: New York Times. I primi 10 Stati per numero di casi. Dati aggiornati al 31/03/2020 ore 04:22
Fonte: New York Times. Dati aggiornati al 31/03/2020 ore 4:22

Dall’inizio della diffusione del virus, Trump sembra avere assunto un atteggiamento che in diverse occasioni si è rivelato contraddittorio. Solo qualche settimana fa, infatti, il Presidente americano ne minimizzava gli effetti sostenendo che nel 2019 sono state 37.000 le persone morte per l’influenza comune, a fronte delle 22 morte da coronavirus, ritenendo dunque non necessario bloccare il Paese e l’economia. Aveva poi definito l’emergenza sanitaria come una “bufala democratica”, portando però avanti la sua linea politica pro-elezioni dichiarando che i confini aperti “sono un pericolo diretto per la salute e il benessere di tutti gli americani”. L’attacco diretto nei confronti degli alleati NATO e dell’Europa, impegnati nel contenimento della pandemia, è sembrato agli occhi dei più un’espediente per distogliere l’attenzione dalla rapida espansione dell’epidemia. 

Negli ultimi giorni però la possibilità concreta che gli Stati Uniti diventino il nuovo epicentro della pandemia ha convinto Washington a riconoscere che l’emergenza è reale e che è necessario agire. In questo modo è quindi possibile spiegare l’inaspettato cambio di direzione. Trump, che aveva definito il Covid-19 come il “virus cinese” e che accusava Pechino dell’attuale pandemia, ha richiesto addirittura un colloquio telefonico con il segretario del Partito comunista cinese, Xi Jinping. A seguito della conversazione il Presidente americano ha dichiarato di aver “discusso in dettaglio del Coronavirus” aggiungendo che “la Cina ha molta esperienza e ha sviluppato una forte conoscenza del virus. Stiamo lavorando a stretto contatto insieme. Molto rispetto!”. Secondo alcuni media, lo stesso leader cinese avrebbe detto che i due Paesi “devono unirsi contro l’epidemia”, affermando che “la Cina è disposta a proseguire nella condivisione di informazioni ed esperienza con gli Stati Uniti senza riserve” sul Covid-19. 

Date anche le ripercussioni economiche della pandemia, nella giornata del 25 marzo, dopo un iter complesso, è stato approvato dal Senato, con 96 voti favorevoli e nessun contrario, un piano record da 2 mila miliardi di dollari di aiuti economici. Definito come il “più grande piano di salvataggio nella storia del Paese”, questo contribuirà ad aiutare famiglie e aziende, sotto forma di assegni di sostegno al reddito, prestiti e salvataggi per imprese grandi e piccole. L’approvazione è arrivata dopo aver superato le continue resistenze repubblicane. Più nello specifico, il disegno di legge include varie misure tra le quali assegni diretti per i cittadini fino a 1200 dollari a seconda del reddito, circa 150 miliardi di dollari da destinare agli ospedali di tutto il Paese, 367 miliardi di dollari per le piccole imprese. Altri 500 miliardi di dollari andranno al Dipartimento del Tesoro da utilizzare per garantire un programma di prestiti della Federal Reserve per le PMI e per tutelare le società danneggiate dal blocco. La Federal Reserve sarà in grado, grazie all’adozione di queste misure, di mobilitare fino a 4000 miliardi di dollari. Il Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act, nome ufficiale del piano, è stato successivamente approvato dalla Camera dei Rappresentanti con un voto a voce per velocizzare l’iter di approvazione delle misure. Il provvedimento è poi stato firmato dal Presidente Trump che ha dichiarato: “Ho firmato il più grande pacchetto di aiuti economici nella storia americana. Ciò offrirà un urgente sollievo alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese della nostra nazione, e questo è tutto”. Trump ha firmato il disegno di legge il giorno dopo che i dati hanno mostrato che le richieste di disoccupazione sono salite a 3,3 milioni, chiaro segnale delle preoccupazioni legate al coronavirus per l’andamento del mercato del lavoro americano. Si tratta, ovviamente, del più grande numero di richieste di disoccupazione della storia americana. Il record precedente, reso noto dal Dipartimento del Lavoro, risale all’ottobre del 1982 quando ci furono circa 690 mila richieste. Un altro problema poi riguarda l’assistenza sanitaria. Poiché una buona parte di americani (circa il 49%) ottiene l’assicurazione proprio grazie alla copertura garantita dal proprio datore di lavoro, per molti neo disoccupati il problema ora diventa doppio: la mancanza di uno stupendo si aggiunge alla mancanza di un’assicurazione sanitaria, che in momenti come questi, e non solo, è fondamentale. 

Ulteriore conferma del cambio di atteggiamento è stata la proroga di un mese delle misure adottate dall’amministrazione per contenere la diffusione del virus. Solamente tre giorni fa infatti il Presidente americano aveva dichiarato di voler riaprire il Paese entro il 12 aprile, abbandonando anche la possibilità di mettere in quarantena gli Stati di New York, New Jersey e Connecticut. Gli Stati federali sembravano però avere una percezione differente della situazione e non condividere totalmente l’ottimismo di Trump. Già dagli inizi di febbraio, infatti, alcuni Stati e contee hanno dichiarato lo stato di emergenza. Tra i primi a prendere l’iniziativa, ordinando ai propri abitanti di restare a casa, vi è la California, seguita poi come esempio da altri Stati, per ultimo il Michigan (29 marzo). Ad oggi sono 22 su 50 gli Stati che hanno imposto ai propri cittadini una chiusura totale. Secondo il New York Times, si tratta di circa 212 milioni di persone. 

Infine, non si può fare a meno di osservare la percezione di queste misure tra l’opinione pubblica. Secondo un nuovo sondaggio di Gallup, Trump è arrivato ad un livello di popolarità tra i cittadini mai raggiunto durante il corso del suo mandato. Grazie anche all’emergenza Covid-19, il tasso di approvazione del tycoon è aumentato di 5 punti, attualmente al 49%, mentre il tasso di disapprovazione è sceso al 45%. L’aumento è dovuto anche alla crescita tra gli elettori indipendenti (43%, +8) e democratici (13%, +6). È anche interessante sottolineare che dagli inizi di marzo ad oggi il livello di totale approvazione dell’operato del Presidente è cresciuto dal 38% al 49%; mentre è passata dal 47 al 44 la percentuale di coloro che dichiarano di non approvare le misure. Inoltre, secondo uno studio pubblicato da Ipsos il 24 marzo, nell’ultima settimana, gli americani hanno notevolmente aumentato le loro pratiche di allontanamento sociale. Il numero di americani che si dichiara in autoisolamento è quasi quadruplicato, fino al 39% questa settimana (dal 20 al 23 marzo) contro il 10% della scorsa settimana (13-16 marzo). Molti altri riferiscono anche di aver ridotto i contatti sociali, come l’andare a mangiare fuori (dal 56% della scorsa settimana al 25%) o le visite agli amici (dal 48% al 32%). 

Anche se il Paese rimane diviso, il trend è positivo per il Presidente. La gestione di questa emergenza globale sarà decisiva per le sorti politiche di Trump. Qualsiasi passo falso potrebbe spalancare le porte della Casa Bianca all’ex vicepresidente dell’amministrazione Obama, Joe Biden. D’altra parte, la minimizzazione di perdite economiche e un’oculata gestione sanitaria potrebbero fargli guadagnare consensi decisivi per la conferma alla guida degli Stati Uniti.

Alessandro Savini e Olga Vannimartini,
Junior Fellows Geopolitica.info

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