Il 31 ottobre avrà luogo il primo turno delle elezioni presidenziali. I principali contendenti alla carica sono due (anziani) volti più che noti della politica ivoriana. La campagna elettorale è stata già segnata da proteste e violenze, scatenate soprattutto dalla ricandidatura del presidente in carica. Dieci anni dopo la violenta crisi post-elettorale del 2010-2011, la Comunità internazionale guarda con preoccupazione al prossimo appuntamento alle urne.
Alassane Ouattara, attuale presidente della Costa d’Avorio e leader del Rassemblement des houphouëtistes pour la démocratie et la paix (RHDP), e Henri Konan Bédié, candidato del Parti démocratique de Côte d’Ivoire (PDCI) hanno alle spalle una lunga storia comune caratterizzata da alterne tensioni e riappacificazioni, che si interseca agli eventi che hanno segnato gli ultimi trent’anni del Paese.
Erede politico di Houphouët-Boigny e promotore del concetto xenofobo di “ivorité”, alla morte del suo mentore nel 1993 Bédié assunse la presidenza, per essere poi estromesso dal potere nel 1999 dal primo golpe militare nella storia del Paese. Se in occasione delle elezioni del 1995 si adoperò affinché Ouattara fosse escluso dalla competizione per via delle sue origini burkinabé, in quelle del 2010 e del 2015 lo sostenne, rompendo nuovamente con lui e la coalizione di governo nel 2018. Ritrovata la rivalità del passato, Bedié ha fortemente criticato Ouattara per la sua decisione di ricandidarsi alle elezioni del 2020, chiamando l’opposizione alla “disobbedienza civile”.
La questione della nuova candidatura di Ouattara ha infatti infiammato il dibattito pubblico, trattandosi del terzo mandato consecutivo che il settuagenario presidente si troverebbe a ricoprire in caso di vittoria. Lo scorso marzo Ouattara aveva espresso la sua volontà di passare il testimone politico ad una generazione più giovane e di non riproporsi nella corsa alla massima carica statale, decisione al tempo elogiata anche da Emmanuel Macron. Poi, la morte improvvisa del candidato designato dal partito di maggioranza, Amadou Gon Coulibaly, ha e convinto l’ex dirigente del FMI a ritrattare la sua decisione.
L’opposizione considera la candidatura di Ouattara illegale, alla luce del limite di due mandati introdotto nel testo costituzionale nel 2016. La maggioranza difende la candidatura del presidente ritenendo che tale norma non retroagisca, e che trovi applicazione solamente per i mandati successivi all’entrata in vigore. Sulla questione è quindi intervenuto il 14 settembre scorso il Consiglio Costituzionale, avallando la posizione dei sostenitori di Ouattara e dichiarato l’eleggibilità di quest’ultimo. La decisione del Consiglio ha riacceso le proteste che già ad agosto, dopo l’annuncio della candidatura, avevano scosso il Paese, provocando peraltro una quindicina di vittime.
Oltre a Ouattara, solo altri tre candidati su quarantaquattro hanno superato il vaglio del Consiglio Costituzionale: il già menzionato Bédié, Pascal Affi N’Guessan del FPI e Kouadio Konan Bertin. Nessuno stupore ha provocato il fatto che tra gli esclusi vi siano Guillaume Soro e l’ex presidente Laurent Gbagbo, entrambi gravati dalle condanne emesse dalla giustizia ivoriana. L’ultimo in particolare risiede in Belgio in condizione di libertà vigilata, in pendenza del giudizio di appello dinanzi alla Corte Penale Internazionale che, in primo grado, nel gennaio 2019 lo ha assolto da tutte le accuse di crimini contro l’umanità per i fatti compiuti durante il conflitto civile del 2010-2011. A seguito delle elezioni del 2010 la Costa d’Avorio scivolò infatti in una cruenta crisi che provocò oltre 3000 morti, le cui ferite restano ancora vive nella memoria comune della popolazione ivoriana nonostante il lungo processo di riconciliazione nazionale svolto sotto l’egida delle Nazioni Unite. All’epoca proprio Gbagbo rifiutò di riconoscere la sconfitta elettorale e di cedere il potere al vincitore Ouattara, scatenando la violenza settaria tra le fazioni dei due contendenti.
Il diffuso timore è che le tensioni di oggi possano riaprire la strada al caos di ieri, e la comunità internazionale si è mossa per tentare di scongiurare l’inquietante intensificarsi dei contrasti. Tra il 4 e il 6 ottobre si è infatti svolta una missione congiunta di diplomazia preventiva della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, dinanzi alla quale Ouattara ha tuttavia strenuamente difeso sia la necessità di non rimandare l’appuntamento del 31 ottobre che la volontà di rispettare la decisione della Corte suprema a lui favorevole. Nel frattempo, i partiti di opposizione hanno esortato i propri militanti al boicottaggio del processo elettorale, incitandoli ad intervenire attivamente affinché il suo regolare svolgimento venga ostacolato.
Non mancano dunque i segnali di una nuova possibile fase di destabilizzazione conseguente al voto elettorale. Per il momento, ciò che si può chiaramente rilevare è che i due principali schieramenti avversari possiedono comunque un comune denominatore, che nel lungo periodo rischia di minare la legittimità del vincitore, chiunque esso sia. L’età dei candidati designati (settantotto anni per Ouattara e ben ottantasei per Bédié) ben riflette infatti l’incapacità dei maggiori partiti di portare a compimento quel ricambio generazionale dell’élite politica più volte promesso, in un Paese in cui quasi il 60% della popolazione ha meno di venticinque anni.
Martina Matarrelli
Geopolitica.info