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Corno d’Africa: la pirateria che condiziona la politica ed i commerci della regione

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Il fenomeno della pirateria è tornato a registrare un costante aumento a partire dalla fine della Guerra fredda. Nel primi tre mesi del 2009 si è avuto un incremento del 20% di attacchi pirateschi rispetto agli ultimi tre mesi del 2008. Dal 2007 al 2008 l’incremento di queste attività illegali nel mondo è stato pari all’11%, per un totale di 293 incidenti in tutto il mondo. 32 membri di equipaggi sono stati feriti, 11 uccisi e altri 21 risultano dispersi – presumibilmente morti. Le armi sono state utilizzate in ben 139 attacchi nel 2008. Nei primi tre mesi del 2009, secondo l’International Maritime Bureau, le azioni illecite di cui sono imputabili i pirati somali hanno raggiunto la cifra record di 102, quasi il doppio rispetto ai 53 registrati nello stesso periodo dell’anno precedente. Un totale di 178 membri di equipaggio sono stati presi in ostaggio, 9 sono stati feriti, 5 sequestrati, e 2 uccisi.

Il quadrante del Corno d’Africa è il punto cruciale dell’attività piratesca nel mondo: solo nel 2008 si sono avuti in questa zona 111 incidenti, con un incremento pari al 200% rispetto all’anno precedente. Nel solo mese di settembre se ne sono contati 19 e nel primo quarto del 2009 61 dei 102 attacchi totali sono avvenuti a largo delle coste somale e nel Golfo di Aden. Sul Golfo di Aden transitano ogni anno circa 20 mila navi, di cui 600 italiane e 2 mila legate ad interessi italiani.
I motivi alla base degli attacchi pirateschi sono buy generic cialis online molteplici e di diversa natura:

1) Problemi di natura politica: Lo status politico della Somalia, considerato – secondo la graduatoria del Fund for Peace che considera gli aspetti sociali, politici ed economici dei Paesi – il primo ed unico failed state nel mondo. Un governo capace di controllare l’intero territorio somalo è assente dal 1991, anno del decesso del dittatore Siad Barre. Da allora, il Paese è stato frammentato in zone poste sotto l’autorità di capo-clan e dei c.d. “signori della guerra”. Questi hanno sfruttato le risorse presenti nel Corno d’Africa senza provvedere ad assolvere quelle funzioni imprescindibili per lo sviluppo sociale e tradizionalmente avocate dallo Stato: garantire la stabilità e, di conseguenza, l’ordine. Nel 2006, sono salite agli onori delle cronache le Corti Islamiche, dapprima sotto forma di tribunali che utilizzano la sharia quale metodo di giudizio e di composizione delle controversie, poi in veste di milizie armate in grado di estendere la propria influenza su di una porzione più che maggioritaria del territorio nazionale. Paventando i legami delle Corti con il network terroristico di al-Qaeda (e sospettando un loro legame con la rivale Eritrea), le truppe etiopi hanno invaso il Paese, appoggiando il governo di transizione nominato dalle Nazioni Unite e stanziato a Baidoa. Al ritiro delle truppe di Addis Abeba, sono ripresi gli scontri tra le frange più radicali degli islamisti ed i gruppi, già inquadrati nelle Corti, che sono stati cooptati nel nuovo governo di transizione. Nei territori dove non è tornata ad affermarsi nessuna forma di autorità qualsiasi forma di aggregazione ed attività umana è messa seriamente a repentaglio. L’assenza di un monopolio legittimo della coercizione fisica ha generato effetti negativi soprattutto sul mare, il cui controllo è tradizionalmente più controverso. Le forze di polizia normalmente operanti nelle acque territoriali, sono ormai assenti in Somalia. Il personale inquadrato in questi corpi non è più attivo, per effetto del mancato pagamento degli stipendi da parte delle autorità a ciò preposte. A differenza del resto della Somalia, nel Puntland sono attivi circa 300 uomini, dotati di alcune imbarcazioni, con funzioni ascrivibili all’attività di controllo delle acque territoriali. È stata evidenziata l’iniziale connivenza di questi corpi con le bande di pirati, poi sostituita, sulla scorta delle pressioni esercitate dalle autorità locali, dall’attività di contrasto che è loro richiesta. 

2) Problemi di natura giuridica: secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay nel 1982, costituiscono pirateria gli atti di depredazione o di violenza compiuti in alto mare o in zone non soggette alla giurisdizione di alcuno Stato per fini privati dall’equipaggio di una nave ai danni di un’altra nave privata. Se gli atti di pirateria avvengono non in alto mare, ma in acque territoriali, sono da considerarsi “rapina a mano armata”. Oggi circa l’80% degli attacchi avviene in acque territoriali, e questo incide sulla risoluzione del problema, perché la giurisdizione non coinvolge la comunità internazionale, ma ricade sullo Stato cui appartengono le acque territoriali all’interno delle quali è avvenuto l’attacco. La forza di polizia somala non è in grado di contrastare il fenomeno, mentre la possibilità di intervento da parte di altri attori internazionali è vincolato ai limiti di natura giuridica nonché dal timore del sorgere di un precedente poi applicabile in contesti ben differenti. Per ovviare a tali criticità sono stati stipulati dall’Unione europea una serie di trattati che consentono alle imbarcazioni operanti nel quadro della Missione Atalanta di penetrare nelle acque territoriali di Somalia, Kenia e Gibuti. 

3) Problemi di natura sociale: L’estrema povertà della popolazione somala spinge gli abitanti delle regioni costiere ad intraprendere azioni di attacco contro le navi che transitano nella zona. Le operazioni piratesche rappresentano un mezzo di sostentamento pressoché immediato, con un basso coefficiente di rischio ed altamente redditizio. Il riscatto medio pagato dagli armatori o dalle assicurazioni per la liberazione di mezzi ed equipaggi ammonta ad una cifra compresa tra 1 milione ed 1,5 milioni di $. L’inedia in cui versa la popolazione costituisce il bando di arruolamento ideale per uomini (e donne) cui il ricorso alla violenza in mare appare come una possibilità di salvezza da una morte per stenti. Alcuni segnali indicano tuttavia un innalzamento del livello qualitativo delle scorribande (di quello quantitativo s’è già accennato): la capacità dei pirati di operare a grande distanza dalle coste del Puntland, ove sono ubicate le principali basi logistiche, ha raggiunto le 350 miglia al largo delle isole Maldive e le 800 miglia al largo del litorale africano; l’incremento della disponibilità di armi sofisticate e costose sul mercato clandestino, il cui acquisto solitamente presuppone contatti con intermediari specializzati ed ingenti liquidità; un sistema di riciclaggio dei proventi delle attività illecite capace di far leva sui meccanismi finanziari transnazionali e sul segreto vigente nei c.d. paradisi fiscali, oltre che su metodi informali di allocazione dei capitali verso luoghi sicuri (es. l’hawala). Queste dinamiche dimostrano che la pirateria nel Golfo di Aden ha assunto le caratteristiche di una vera e propria attività imprenditoriale: parte dei proventi viene indirizzata a beneficio delle popolazioni residenti in territorio somalo, alleviandone le sofferenze, mentre un’altra viene reinvestita nell’ammodernamento delle imbarcazioni, nell’acquisto di armi, nei circuiti finanziari. L’intreccio tra traffico di armi, pirateria e contrabbando è stato più volte evidenziato, anche in riferimento al rapporto intercorrente tra violazione dell’embargo sulla vendita di materiale bellico alla Somalia (in vigore dal 1992) e crescita del fenomeno piratesco. 

4) Problemi di natura geopolitica: Il Golfo di Aden costituisce uno tra gli choke points strategicamente più importanti per il globo. Il trasporto del petrolio dal Medio Oriente (3,3 milioni di barili ogni anno, pari al 12% del totale) passa attraverso il Golfo di Aden di fronte alle coste somale per raggiungere il Canale di Suez. Non solo, il traffico di merci prodotte dalle principali economie del continente asiatico (Giappone, Cina, India, Vietnam, Malesia e Indonesia) e dirette verso l’Europa e la costa orientale delle Americhe passa in buona parte proprio per questo punto di snodo. Al pari dell’utilizzo dell’inglese e di internet, la preservazione della stabilità nelle aree core dell’economia mondiale si attesta quale fattore imprescindibile per il consolidamento e lo sviluppo del processo di globalizzazione. La navigazione dei mari nel XXI secolo rappresenta ancora la via di comunicazione più veloce e più economica anche tra quadranti molto lontani, ma rischia di non essere più la più sicura. In questa prospettiva il 95% degli aiuti del World Food Program destinati a riportare un livello minimo di pace sociale in Somalia raggiungono per motivi logistici il paese via mare. Tra gli obiettivi della Missione Atalanta, nonché delle altre forze navali presenti nella regione, figura la messa in sicurezza degli aiuti umanitari, in particolare attraverso la predisposizione di un servizio di scorta alle navi. 
5) Problemi di natura ambientale: A causa dell’assenza di controlli, ha preso piede il fenomeno dello smaltimento, nel mare territoriale somalo, di notevoli quantità di rifiuti tossici la cui movimentazione è regolata da trattati internazionali quali la Convenzione di Basilea e quella di Bamako. Il traffico di rifiuti, segnatamente pericolosi, rappresenta attualmente una delle attività criminali più redditizie: lo smaltimento in sicurezza di una tonnellata di materiale inservibile costa mediamente 50$, mentre per la stessa quantità, versata fraudolentemente in mare in assenza di controlli, l’esborso non supera i 2$. In seguito allo tsunami del 2004, sono stati rinvenuti sul litorale del Puntland rifiuti tossici di natura eterogenea, in grado di provocare effetti negativi ed immediati sulla salute umana, nonché danni irreversibili all’ambiente. Altrettanto grave è il fenomeno della pesca illegale in acque somale. Il patrimonio ittico costituisce una delle principali risorse in un territorio altrimenti avaro di beni di primaria necessità per il sostentamento della vita umana. Una norma internazionale di jus cogens stabilisce la possibilità per ogni Stato di sfruttare le proprie risorse naturali, alle condizioni che esso stesso impone, in quanto soggetto sovrano in seno alla comunità internazionale. Le condizioni di assenza di un’autorità capace di garantire il rispetto delle leggi hanno favorito il fiorire della pesca di frodo da parte di imbarcazioni battenti bandiera di Stati stranieri. Gli abitanti delle zone costiere hanno dichiarato che le attività di pirateria sono cominciate come semplici operazioni di vigilanza armata delle acque territoriali, atte a scongiurare eventuali fenomeni di pesca illecita. 

La pirateria comporta non solo un danno emergente, a causa dei problemi arrecati alla fluidità del commercio internazionale (numerose flotte commerciali stanno optando per la circumnavigazione dell’Africa che comporta un aumento dei tempi di navigazione compreso tra i 5 e gli 8), per l’incremento dei premi assicurativi (decuplicati nell’ultimo anno) e il pagamento di riscatti, ma anche altresì un lucro cessante: la propensione agli investimenti esteri decresce in presenza di condizioni di instabilità nelle aree nevralgiche.
Le prime navi inviate a pattugliare questo quadrante appartengono alle flotte di Cina, India e Giappone, che presentano un interesse diretto nel tutelare la rotta che collega il Golfo di Aden all’Oceano Indiano e al Mar Mediterraneo. Gli Stati Uniti, al contrario, guidano la Combined Task Force 150, una forza multinazionale presente nel Golfo di Aden per la lotta al terrorismo organizzata in supporto dell’Operazione Enduring Freedom. L’Unione Europea è impegnata nel Golfo di Aden dal 13 dicembre 2008 con l’operazione Atalanta (EU-NAVCO/EU-NAVFOR), che impegna cinque Paesi europei (Spagna, Germania, Francia, Svezia e Grecia), che hanno contribuito a stanziare mezzi e uomini per scorta alle navi del World Food Programme in prevenzione di attacchi di pirateria. La missione è guidata dall’ammiraglio britannico Philip Jones.
L’Italia, in questo contesto, svolge un ruolo importante, sia dal punto di vista storico che operativo per il futuro. Storico, perché lo status politico somalo deriva anche dall’esperienza coloniale italiana, dalla sua gestione del paese nel periodo compreso tra la fine della seconda guerra mondiale e l’indipendenza di Mogadiscio e dalle operazioni svolte negli anni Novanta sul territorio. Operativo, perché potrà contribuire con l’attivazione di forze di pattugliamento della zona oltre che inviando uomini per un supporto allo stabilimento delle normali attività politico-amministrative e la ricostituzione dello Stato e il ripristino dell’ordine.

* Questo articolo è tratto da un’ampia analisi curata da Gabriele Natalizia, Alessandro Ricci e Francesco Tajani su incarico dell’Ufficio del Rappresentante Personale per l’Africa del Presidente del Consiglio dei Ministri in occasione del vertice G-8 del luglio 2009.

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