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NotizieCooperare o competere nello spazio?

Cooperare o competere nello spazio?

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Il rinnovato interesse per lo spazio testimoniato in questi giorni dall’amministrazione Trump e i notevoli passi avanti compiuti dalla Cina in questo settore rendono indispensabile una profonda riflessione teorica su questo nuovo teatro operativo e, in particolare, interrogarsi se sia più facile cooperare o competere nello spazio.

Un utile strumento per rispondere a questo quesito può essere il modello sviluppato da Robert Jervis, professore di International Affairs alla Columbia University, nella sua famosa opera “Cooperation Under the Security Dilemma”. Secondo l’autore, nell’ambito delle relazioni internazionali esistono quattro possibili scenari o “mondi” che dipendono da due variabili: la prima è se è in vantaggio l’offesa sulla difesa o viceversa; la seconda è se una postura offensiva può essere distinta da una difensiva. Il risultato è così rappresentato:

Per quanto riguarda la prima variabile, due sono i fattori principali che determinano se sia l’offesa o la difesa ad essere in vantaggio: la tecnologia e la geografia. La prima dipende principalmente dal grado di vulnerabilità delle armi, che, quanto più sono difficili da proteggere in caso di attacco preventivo nemico, tanto prima verranno utilizzate dallo Stato che si sente minacciato. Le tecnologie spaziali sono facilmente attaccabili sia dalla Terra che dallo spazio, tramite numerosissime tecnologie “counterspace” da cui è difficile, se non in certi casi attualmente impossibile, difendersi efficacemente. Questo fa sì che sia l’offesa ad avere un vantaggio importante sulla difesa, così che in caso di conflitto gli asset spaziali siano i primi ad essere colpiti, soprattutto dalla Cina, che cerca un vantaggio asimmetrico nei confronti del suo più potente competitor.

Anche la geografia gioca a favore dell’offesa. Jervis nel suo saggio pensa alla geografia terrestre e descrive alcuni elementi che possono favorire la difesa, come la presenza di Stati cuscinetto o barriere naturali, tra cui montagne, oceani e grandi fiumi. Nello spazio, tuttavia, non esiste alcun tipo di fortificazione naturale o artificiale dietro cui ripararsi, né tantomeno Stati cuscinetto o zone demilitarizzate utili a rallentare l’attacco nemico mentre le orbite, in cui si muovono i corpi nello spazio, sono guidate dalle leggi della fisica che si possono calcolare e modificare, ma non stravolgere.

La seconda variabile da tenere in considerazione per stabilire con esattezza in quale dei quattro mondi ci troviamo è la possibilità, o meno, di distinguere una postura offensiva da una difensiva. Il dilemma della sicurezza è, infatti, fortemente presente se le armi e le dottrine che forniscono protezione ad uno Stato consentono anche le capacità per attaccare. Se ciò non avviene, il postulato base che costituisce il dilemma della sicurezza viene meno, in quanto un Paese può aumentare la propria sicurezza senza diminuire quella degli altri. Se la difesa è in vantaggio sull’offesa il dilemma viene comunque mitigato, ma se poi si aggiunge la possibilità di distinguere le due posture allora la trappola della sicurezza viene quasi completamente disinnescata.

Nel caso dello spazio, però, la possibilità di distinguere tra strumenti difensivi e offensivi si fa ancora più fievole. Per la natura dual-use delle tecnologie spaziali, difatti, è spesso impossibile distinguere persino tra uso civile e militare di un determinato asset. Si pensi, ad esempio, al sistema di navigazione satellitare, oggi comunemente utilizzato da un qualunque possessore di smartphone o ai satelliti per le previsioni meteo, impiegati nella programmazione delle operazioni militari, ma anche dai civili tutti i giorni. Persino i razzi usati per i test delle armi anti-satellite, che dovrebbero essere strumenti unicamente offensivi, possono essere adoperati per lanciare satelliti nello spazio e condurre esperimenti scientifici. Diventa, pertanto, assai arduo accusare uno Stato di mantenere una postura bellicosa e adottare quindi provvedimenti a riguardo, incluse minacce o sanzioni.

Combinando dunque le due variabili di offesa in vantaggio sulla difesa e l’impossibilità di distinguere una postura offensiva da una difensiva nello spazio, individuiamo questa dimensione nel primo dei mondi descritti da Jervis, vale a dire quello doppiamente pericoloso.

Il primo mondo, inoltre, è il più sfavorevole per le potenze dominanti e desiderose di mantenere lo status quo, in questo caso gli Stati Uniti, in quanto non c’è alcun modo per aumentare la propria sicurezza senza minacciare gli altri e ottenerla esclusivamente tramite la difesa è incredibilmente difficile data la vulnerabilità di queste armi. Inoltre, poiché le due posture sono indistinguibili, le potenze in difesa dello status quo acquisiranno lo stesso tipo di arsenale ricercato dai possibili aggressori. La situazione è perciò altamente instabile, la corsa al riarmo probabile, gli incentivi a colpire per primi possono trasformare le crisi in guerre, le vittorie decisive e le conquiste saranno comuni e la cooperazione incredibilmente difficile da raggiungere.

Da quanto argomentato finora, si evince come lo spazio rientri perfettamente in questo quadro. Ciò non implica automaticamente che tra gli Stati Uniti e la Cina dovrà scoppiare necessariamente una guerra per o attraverso lo spazio, poiché non è il solo teatro operativo oggi esistente, anzi, il suo sviluppo è ancora in fase embrionale. Per stabilire con esattezza in quale dei quattro mondi ci si trova bisogna tenere conto di tutte le variabili presenti, militari e non. La sola deduzione logica che ne consegue è che nello spazio, in generale, sia molto più facile competere che cooperare e che, in caso di guerra, lo spazio sarebbe uno dei primi teatri ad essere coinvolto nelle operazioni dei due Paesi in questione. Bisogna ricordare, infine, che una guerra totale nello spazio è comunque poco probabile, in quanto l’enorme mole di detriti che ne scaturirebbe provocherebbe una mutua distruzione spaziale garantita. Di conseguenza, quanto più Pechino diverrà dipendente dalle tecnologie spaziali, tanto più la possibilità che questo catastrofico evento avvenga diventerà remota.

Per concludere, è giusto osservare che la competizione in questo campo non ha solo aspetti negativi, ma è anche in grado di portare a risultati straordinari e avanzare la conoscenza umana come poco altro. Il programma Apollo e il conseguente sbarco sulla Luna non sarebbero mai stati possibili senza il desiderio americano di primeggiare nel campo dell’esplorazione spaziale nei confronti sovietici. La cooperazione ha condotto a risultati di certo non trascurabili, come la creazione della Stazione Spaziale Internazionale, ma la nuova corsa allo spazio consentirà probabilmente all’uomo di raggiungere Marte, qualcosa di incommensurabilmente più elevato di qualunque progetto congiunto mai pensato fino ad ora.

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