Il tema del futuro di Alitalia è tornato – con tutta la sua valenza geopolitica – di stretta attualità. Torniamo a parlarne con Paolo Rubino, consulente strategico nel campo dell’Aviation, già a capo di Airone nel suo triennio di avviamento e capo del Marketing, della flotta e delle strategie di Alitalia per oltre un decennio in Italia, in Europa, in Nord America.
Il clima della relazione tra il Governo italiano e la commissione UE sul caso Alitalia sembra oramai rovente. Il sospetto che a Bruxelles si segua una linea di favore per mantenere lo status quo nel trasporto aereo continentale è diffuso tra i commentatori, i sindacati, i politici e una parte, sia pur minoritaria, dell’opinione pubblica nazionale. C’è ancora una via d’uscita a questa impasse?
Per Alitalia, a questo punto, sarebbe davvero un’ostinazione grave cercare il braccio di ferro con Bruxelles, con i sindacati e con qualunque altro stakeholder. Utilizzare 3 miliardi per un salvataggio impossibile, in considerazione dei vincoli posti da chiunque, uno spreco enorme di denaro.
Eppure, è opinione di molti che la vecchia Compagnia di bandiera sia tuttora un asset di valore per l’economia nazionale da molteplici punti di vista. C’è ancora qualcosa di buono nell’attuale Alitalia in procedura?
Occorre fare chiarezza su questo punto: il trasporto aereo per l’Italia è certamente un asset potenziale rilevante. Alitalia, spogliata e avvilita da oltre un ventennio, ha ancora buone cose in sé, ma scarsissima capacità di metterle a profitto sia per la soggettiva condizione in cui si trova attualmente, sia per il contesto fortemente ostile. Il brand, il data base dei clienti, iI certificato di operatore aereo (COA), gli slot sono tra le principali “cose buone” che restano alla compagnia. La questione, dal punto di vista nazionale, è semplicemente se si vuole mettere al libero incanto tutto ciò lasciando che altri operatori europei se ne impossessino coronando la lunga marcia iniziata nel 2001 o, invece, queste cose buone, frutto della fatica e del denaro italiano, siano la base sulla quale far rinascere una seria impresa di trasporto aereo.
Ma ci sarebbe ancora lo spazio per un trasportatore nazionale in un’industria giudicata ormai matura?
Paradossalmente la Pandemia ha riaperto gli spazi. Queste conseguenze strutturali cambieranno in modo sostanziale il paradigma del business model del trasporto aereo. Alitalia aveva, nel 2019, un ritardo a mio avviso irrecuperabile nel segmento dell’industria dei cosiddetti hub&spoke carrier, modello avviato a metà degli anni ’80 e nel quale la forza degli incumbent mai avrebbe consentito al ritardatario di inserirsi. Ugualmente, un ritardo irrecuperabile nel segmento dei low cost carrier, modello di poco più giovane rispetto all’altro. Entrambi i modelli saranno soggetti a radicali rivisitazioni nei prossimi anni. Ecco che per Alitalia si apre una strada. Non capirlo e non agire sarebbe errore grave per l’economia e la civiltà nazionale.
Si delinea già un nuovo paradigma?
Presto per dirlo. Poi, ingenuo dichiararlo ove mai qualcuno ne stesse maturando la concezione. Sarebbe un’inutile e dannosa soddisfazione di narcisismo intellettuale. I piani industriali si concepiscono nella massima riservatezza; ove ce ne si convinca si mettono in pratica; soltanto in caso di successo si rendono pubblici. Queste sono le regole del gioco nella competizione economica. Analisti, osservatori e professori possono dibattere sull’interpretazione delle azioni delle aziende. Queste hanno il dovere di pensare, agire e, solo dopo, annunciare. Ciò che è sotto gli occhi di tutti è che il tema ambientale e le nuove tecnologie aeronautiche saranno il leit motiv dell’industria del trasporto per i prossimi vent’anni. L’intermodalità potrebbe essere la linea strategica più interessante per servire quel leit motiv. L’Italia è potenzialmente idonea per agire in questo contesto.
Ma quale potrebbe essere l’ipotesi di lavoro? La Società ITA può essere il protagonista di questo progetto?
Anche in uno scenario in grande evoluzione ci sono elementi imprescindibili per l’industria del trasporto aereo. Essi sono la natura sistemica di quest’industria. In altri termini, l’azienda di trasporto deve essere organica al sistema economico di appartenenza, utopico immaginare che una proprietà non nazionale possa garantire l’organicità. Ita è già logorata per eccesso di comunicazione, per inadeguata architettura societaria, per originaria sottocapitalizzazione, per modeste competenze. È – non certo per sua colpa – una scatola creata prima di definirne la missione e il contenuto. Se non altro, volendo ripartire da qui andrebbe seriamente ristrutturata. Non sembra un buon viatico per un’azienda che nemmeno ha cominciato a operare.
Eppure, ha una proprietà nazionale. Non è questo il punto?
Un soggetto privato nazionale con cultura manageriale idonea sarebbe necessario. Un capitale proprio non inferiore a un miliardo di euro su cui fare leva in un’industria che, anche nel nuovo scenario, resterà capital intensive è il requisito finanziario minimo.
Quale sarebbe l’impiego di un tale capitale?
Innanzitutto, rilevare tutto ciò di buono che ancora resta nell’Alitalia in procedura. In primo luogo, il brand e il data base dei clienti. Stando alle cifre che girano, l’acquisizione di questi soli asset commerciali impiegherebbe non meno di 300 milioni di euro.
E che ci farebbe la Procedura con quest’incassi?
Beh, innanzitutto dovrebbe facilitare l’uscita dei lavoratori che ne hanno i requisiti e lo desiderano da un rapporto di lavoro con l’Azienda in procedura che non genera oggi alcun valore aggiunto.
Ma il nuovo soggetto dovrebbe ripartire da zero per ottenere il COA. Sembra uno spreco di tempo.
Se la nuova azienda recluta dal mercato le giuste competenze può ottenere dall’ENAC un nuovo COA e – dato il capitale in dotazione – una nuova licenza d’esercizio con velocità inattesa.
Cosa attenderebbe poi la Procedura?
Ovviamente la messa in liquidazione della Società decotta.
Si diceva all’inizio che gli slot sono una delle buone cose di Alitalia. Data la normativa che ne regola la concessione in Europa, la nuova Società non potrebbe acquisirli dalla Procedura. Quindi, sarebbero persi?
ENAC riassegnerà gli slot secondo la normativa UE vigente e certo la Newco/Alitalia ne perderebbe una gran parte. L’attenzione di tutti è concentrata su quelli di Linate, ma il Business Plan di una compagnia proiettata verso il prossimo decennio non può fondarsi sul vecchio asset di Linate.
Ciò vuol dire che quegli slot andrebbero alla concorrenza europea. Non sarebbe il loro trionfo alla fine consentendo di impossessarsi definitivamente del ricco mercato del Nord Italia?
Il Nord Italia va servito da un’asse aeroportuale che include Torino, Malpensa, Brescia/Verona, Venezia. Milano città ha una delle migliori alta velocità ferroviaria d’Europa e, in caso, va disegnato un sistema di voli puro business dal terminal dell’aviazione generale di Linate. Va potenziato il collegamento ferroviario dal centro città a Malpensa. Non va nemmeno esclusa la possibilità di chiudere definitivamente e del tutto Linate all’aviazione commerciale, opzione perfettamente inquadrabile nel contesto di salvaguardia ambientale e con abbondanti precedenti in Europa.
E i pregiati slot della vecchia Alitalia negli aeroporti esteri? Come sarebbero recuperabili?
Sul fronte degli slots negli aeroporti internazionali, in primis Londra, Parigi, New York, Tokyo bisognerebbe affrontare un percorso in salita, ma con le adeguate competenze possibile.
Con quali competenze la nuova Alitalia potrebbe gestire il progetto?
Sul fronte del lavoro la Newco deve reclutare dal mercato, con nuovo contratto, tutto il personale valido in uscita dalla vecchia Alitalia e lanciare un potente programma di reclutamento per giovani ingegneri, informatici, matematici, laureati in economia, queste sono le competenze necessarie e ampiamente disponibili in Italia. Lavoro qualificato per i nostri giovani guidato da un management apicale di elevata esperienza e credibilità nel settore disposto a svolgere un ruolo ponte per un triennio e a formare il nuovo gruppo dirigente per la fase successiva.
Il perimetro di attività della Newco dovrà includerà manutenzione e handling?
Nessun dubbio al riguardo. Sono segmenti di attività ad alto valore aggiunto il primo; ad alta intensità di lavoro il secondo. Cedere quelle marginalità ad altri operatori concorrenti sarebbe un passo falso ingenuo e imperdonabile.
E l’annoso problema della flotta Alitalia, obsoleta e sottodimensionata?
Posto che l’altra condizione immutata nell’industria del trasporto aereo è quella della soglia minima di proprietà della flotta a garanzia della tenuta patrimoniale e reddituale di una compagnia, questo tema va affrontato in logica sistemica. La proprietà degli aeromobili è il segmento con la più alta redditività di tutta la catena industriale. A bassa intensità di lavoro e ad alta intensità di capitale esso è stato alla base della portentosa crescita di un piccolo Paese come l’Irlanda nei passati trent’anni. È imprescindibile che questa ricchezza, prodotta dalla fatica del trasporto aereo di passeggeri e merci dell’operatore nazionale, resti nei confini del sistema economico nazionale. Se ne gioverebbero tutti i soggetti nazionali che hanno la necessità di impiegare i propri capitali e i fondi di terzi in gestione in attività solide e redditizie. La fatica della nuova Alitalia non sarebbe dunque dirottata altrove.
Paolo Rubino è consulente strategico nel campo dell’Aviation, già a capo di Airone nel suo triennio di avviamento e capo del Marketing, della flotta e delle strategie di Alitalia per oltre un decennio in Italia, in Europa, in Nord America.