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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoSviluppi e prospettive del controllo degli armamenti tra USA...

Sviluppi e prospettive del controllo degli armamenti tra USA e Russia negli anni delle presidenze Trump e Biden

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Fin dai primi anni Duemila stiamo assistendo al progressivo cedimento dell’architettura di controllo degli armamenti che costringe gli arsenali convenzionali e nucleari di Washington e Mosca. Già nel 2002 gli Stati Uniti si ritirarono dal Trattato anti-missili balistici (Anti-Ballistic Missile Treaty, ABM) e la Russia uscì dal Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (Treaty on Conventional Armed Forces in Europe, CFE) nel 2007. Anche il Documento di Vienna ed il Trattato di non proliferazione nucleare (Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons, NPT) hanno visto erodersi la propria legittimità ed efficacia, a fronte di un panorama militare e politico in continuo mutamento.

Questo processo si è aggravato durante la Presidenza di D. Trump, il quale ha reciso due ulteriori accordi chiave per l’equilibrio militare tra Stati Uniti e Russia: il Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, INF) ed il Trattato sui cieli aperti (Open Skies Treaty). Pure la sopravvivenza del nuovo Trattato sulla riduzione degli armamenti strategici (Strategic Arms Reduction Treaty, START) è stata posta a repentaglio. Nonostante l’amministrazione Biden abbia poi scelto di estendere la validità di start fino al 2026, la discussione con Mosca circa il futuro del controllo degli armamenti si preannuncia difficoltosa.

Per ragioni di spazio, in questo capitolo affronterò soltanto il controllo degli armamenti nucleari, soffermandomi sulle vicende che hanno coinvolto i Trattati INF e nuovo START durante le presidenze Trump e Biden.1 Porrò particolare attenzione sulle posizioni e gli attriti delle due parti in relazione ai suddetti, sottolineando le determinanti sia contestuali, sia strutturali che hanno influenzato (influenzeranno) il controllo degli armamenti tra Stati Uniti e Russia. 

2016-2020, l’ulteriore impoverimento del sistema di controllo degli armamenti nucleari

Le scelte in materia di controllo degli armamenti adottate dall’amministrazione Trump hanno dato sfogo ad una serie di attriti accumulatesi nel lungo periodo tra Stati Uniti e Russia. Il livello di fiducia tra i due stati era andato riducendosi da tempo, seguendo una serie storica al ribasso che già iniziò con la débâcle sul riconoscimento del Kosovo nel primo dopo-Guerra Fredda. Anche la presunta affinità tra i presidenti Trump e Putin ha mancato di risollevare le relazioni bilaterali, le quali hanno continuato a basarsi sullo scambio di accuse circa la volontà dell’altro di destabilizzare il sistema internazionale. Assente la fiducia, si è ristretto il campo utile alla discussione, pure riguardo al controllo degli armamenti. Parallelamente, si è assistito ad un crescendo di provocazioni. Si pensi, ad esempio, ai numerosi ‘incontri’ tra forze armate alleate e russe nei cieli e nelle acque di Mar Baltico e Mar Nero; oppure all’incremento di frequenza e taglia delle esercitazioni militari di ambo le parti, spesso con intenti intimidatori. Ne è conseguito un ulteriore aumento della tensione tra Stati Uniti e Russia, nonché del rischio di incidenti che potrebbero portare ad un’escalation militare incontrollata. Tale rischio è rinforzato dalla sordità di Washington e Mosca alla percezione di minaccia dell’altro. Sia la preoccupazione statunitense per le capacità nucleari (sub-)strategiche della Russia, sia le ansie di quest’ultima circa i sistemi di difesa missilistica statunitensi dispiegati in Europa hanno trovato poche, dubbie rassicurazioni. A ciò si aggiunge la scarsa chiarezza di ambo le parti circa le dottrine d’impiego ed i programmi di modernizzazione delle proprie armi nucleari. Queste dinamiche hanno innescato una spirale di ostilità e riarmo che rende il controllo degli armamenti una questione prioritaria ma quanto mai complessa, data la percepita necessità delle parti di mantenere un margine di vantaggio militare a fronte delle sospette intenzioni altrui. L’incomunicabilità tra Washington e Mosca circa i temi da portare al tavolo dei negoziati risale a ben prima della Presidenza Trump — con l’eccezione solo parziale del cd. reset di B. Obama.2

È in questo contesto di lungo periodo che è maturata la decisione dell’amministrazione Trump di recedere dal Trattato INF e, potenzialmente, dal nuovo START. Gli Stati Uniti si sono ritirati da INF nell’agosto 2019, adducendo a giustifica presunte ripetute violazioni del trattato da parte di Mosca, la quale avrebbe testato e dispiegato a Kaliningrad vettori di terra proibiti dagli accordi.3 La Russia ha sempre negato, sostenendo invece che sia Washington ad aver violato l’accordo, in tre modi: sfruttando i test delle proprie difese missilistiche per sviluppare vettori di gittata intermedia banditi da INF; dispiegando velivoli senza pilota (Unmanned Aerial Vehicles, UAVS) con portata ed armamenti equivalenti a quello vietati dal trattato; armando il sistema di difesa missilistica Aegis dispiegato in Polonia e Romania con sistemi di lancio capaci di ospitare missili di medio raggio. La questione fu portata dinnanzi alla Special Verification Commission (SVC) di INF già nel 2016, sul finire del mandato di B. Obama, ma da ambo le parti mancò la volontà politica di aprirsi a maggiore trasparenza e verifiche. La SVC non fu riattivata dalla Presidenza Trump, che si pose invece l’obiettivo di riportare (costringere) la Russia entro i limiti del Trattato inf. Quest’intento si è presto arenato su un duplice scoglio: da un lato, la coerenza della posizione russa — ossia, il perseverare sulla linea di accusa a Washington e di reticenza ad ispezioni maggiormente invasive; dall’altro, le spinte repubblicane a sviluppare un vettore missilistico di medio raggio statunitense, piuttosto che garantire INF. La decisione degli Stati Uniti di abbandonare il trattato ha dato seguito naturale a queste dinamiche. 

In contrasto con quanto accaduto con inf (e Open Skies), l’amministrazione Trump non ha lamentato violazioni russe del Trattato nuovo START. Ciò nondimeno, il trattato è stato criticato in quanto troppo permissivo — ossia, lascerebbe ampi margini di manovra alla Russia per l’acquisizione di nuovi armamenti. Inter alia, gli Stati Uniti guardano con preoccupazione allo sviluppo di capacità russe come i missili Avangard. Considerando la già imminente scadenza del trattato (febbraio 2021) e la disponibilità russa a discuterne la riforma, i dubbi statunitensi avrebbe dovuto spingere le parti ad un dialogo precoce. Così non fu. Washington decise di iniziare una conversazione con Mosca solo nella primavera 2019, proponendo l’estensione del nuovo start per un anno soltanto e previa accettazione di alcuni parametri da includere nel nuovo trattato. Alcune delle proposte ventilate da Washington erano: il congelamento temporaneo di tutti gli armamenti, la limitazione di tutte le tipologie di armi e testate nucleari (non solo quelle cd. strategiche), una maggiore invasività delle misure di verifica, ed il coinvolgimento della Cina nei nuovi negoziati. Il Cremlino dimostrò particolare scetticismo verso l’accettazione a scatola chiusa di questi (ambiziosi) principi e rilanciò proponendo di estendere il trattato per un anno, e solo in seguito discutere di parametri. Nonostante i regolari incontri tra i negoziatori di Stati Uniti e Russia durante il 2020, le parti non sono riuscite a trovare un accordo prima della fine del mandato di D. Trump, facendo temere per le sorti del nuovo start e l’architettura tutta del controllo bilaterale degli armamenti. 

2021, opportunità e limiti di una nuova stabilità tra Stati Uniti e Russia

L’estensione incondizionata per cinque anni del Trattato nuovo start è stata tra le prime decisioni di politica estera dell’amministrazione Biden. Tale scelta, pur ben accolta dalla Russia, non segnala però la dissipazione dei sopraccitati problemi di lungo periodo — la cui permanenza è stata osservata dai presidenti di entrambi i paesi al margine del summit di Ginevra. La conferma da parte dell’attuale amministrazione statunitense della scelta di Trump di recedere dal Trattato sui cieli aperti dà ulteriore riprova dell’improbabilità di un rapido cambio di registro.

Lungi dall’essere strettamente dipendenti dalle personalità dei presidenti statunitensi o dalla loro affiliazione politica, le difficoltà tra Stati Uniti e Russia nell’ambito del controllo degli armamenti (e non solo) riflettono profonde rotture di natura ideologica, percettiva e strategica. Washington e Mosca combattono due spettri diversi: gli uni quello del declino, l’altra quello dell’irrilevanza. Il riorientamento delle risorse statunitensi verso il Pacifico ed il fronte domestico mal si coniuga con la crescente assertività russa, indirizzata verso l’obiettivo di apparire fondamentale sempre e ovunque. Pur non assumendo il carattere di un disaccordo assoluto circa le regole del vivere internazionale, ciò porta Stati Uniti e Russia a non condividere la stessa gerarchia di preferenze e priorità, con conseguenze a cascata su tutte le aree relazionali. Stando così le cose, l’amministrazione Biden oggi non è meglio posizionata rispetto alla precedente nel negoziare con Mosca una nuova architettura di controllo degli armamenti.

La complessità di questo contesto si rifletterà innanzitutto nelle discussioni circa il successore del Trattato nuovo START. Tra le questioni sulle quali Washington e Mosca dovranno trovare un accordo, due sono particolarmente importanti. Primo, quali vettori missilistici, tipologie di testata e domini dovranno essere inclusi nel nuovo trattato? La Russia spingerà per includere nel nuovo trattato limitazioni alle difese missilistiche dispiegabili dalle parti, così da tamponare il percepito vantaggio statunitense in quell’ambito. Gli Stati Uniti, per contro, spingeranno per limitare il potenziale utilizzo delle capacità cibernetiche russe contro infrastrutture nucleari o nuclear-related, e così pure la riduzione del numero di testate equipaggiate da Mosca su un singolo missile. Dati gli sforzi di modernizzazione militare compiuti da entrambi, Stati Uniti e Russia dovranno anche tenere in considerazione una serie di nuovi sistemi d’arma, tra cui: armi anti-satellite capaci di inibire l’early warning della controparte; armi ad altra precisione o velocità come i russi Avangard e Poseidon, oppure lo statunitense Boeing X-37; l’equipaggiamento di missili balistici e boost-glide di lungo raggio su bombardieri non inclusi nella precedente versione del trattato (ad es., il russo Tu-22M e gli statunitensi B-1B, B-52H); etc. Fermo restando queste nuove esigenze, è auspicabile che Washington e Mosca non espandano eccessivamente l’ambito delle proprie decisioni. L’innegabile interconnessione che oggi esiste tra le sfere militari deve essere considerata alla luce della natura — nucleare e strategica — del trattato da negoziare. Dunque, i limiti a specifiche capacità convenzionali, spaziali e cibernetiche dovranno essere discussi solo nella misura in cui esse impattano sulla sicurezza nucleare e strategica dei due paesi. Inoltre, viste le divergenze di fondo tra Stati Uniti e Russia, è credibile pensare che maggiore sarà il numero dei temi da discutere, maggiore sarà il rischio di stallo (collasso) dei negoziati, o che si raggiungano decisioni superficiali. In questo senso, l’ipotesi di riconvogliare temi precedentemente trattati da INF nel successore del nuovo start pare poco ragionevole. 

La seconda questione riguarda se e come coinvolgere altri stati nucleari nel nuovo trattato. L’idea di un accordo a cinque con Cina, Francia, e Regno Unito fu bollata come scarsamente credibile già dal 2008, quando fu proposta da Londra, e risulta particolarmente ingenuo pensare di poterla attuare nell’attuale contesto internazionale. Più ragionevole, ma non meno ambizioso, è l’argomento di chi vuole includere almeno Pechino. Porre un limite agli armamenti della Cina è un obiettivo urgente non solo per il suo crescente peso militare, ma anche e soprattutto per via dell’incertezza che circonda la natura ed il possibile utilizzo degli arsenali nucleari di Pechino. Coinvolgere la Cina non sarà tuttavia facile. Non solo essa manca di una tradizione negoziale specifica nell’ambito del controllo degli armamenti; ma anche, più in generale, Pechino è scarsamente prona a siglare accordi se non da una posizione di forza. A meno che Stati Uniti e Russia decidano di tagliare drasticamente i propri arsenali nucleari, così da ridurre il divario militare con la Cina e porla in una posizione più confortevole al negoziato, Pechino non potrà essere convinta a bloccare il proprio programma di riarmo — parte integrante del piano di sviluppo del paese. Tuttavia, è improbabile che Washington e Mosca siano disposti a compiere tale passo.

Conclusioni

Il regime di controllo degli armamenti che costringe(va) il potenziale militare di Stati Uniti e Russia è in stato critico, poiché privato di numerosi accordi portanti. Questa condizione è scaturita da perduranti problemi di fiducia, provocazioni e incomprensioni, a loro volta dovuti alle spaccature ideologiche, percettive, e strategiche tra i due stati. In questo quadro, la scelta dell’amministrazione Trump di recedere dal Trattato INF e, potenzialmente, dal nuovo start non è del tutto eccentrica rispetto alle scelte dei predecessori.5 Le scelte della Presidenza Biden saranno influenzate da un simile spettro di problematiche ed un’invariata postura russa.

In ambito nucleare, l’estensione quinquennale (fino al 2026) del Trattato nuovo START fornisce un utile margine di manovra per negoziare i termini di un nuovo trattato, ma non garantisce né il successo delle trattative, né la qualità di eventuali risultati. I temi e gli invitati al tavolo negoziale devono ancora essere chiariti. Inoltre, si noti che nel 2024 scadranno i mandati sia di J. Biden, sia di V. Putin — e che il primo potrebbe dover fare i conti con un Senato non democratico, in sede di ratifica del nuovo trattato. Non soltanto il contesto internazionale, ma anche quello istituzionale interno a Stati Uniti e Russia pone quindi ostacoli sulla via della stabilità strategico-nucleare.

L’attenzione verso i negoziati circa il successore del nuovo start non deve far dimenticare altre questioni rilevanti al controllo degli armamenti tra Stati Uniti e Russia, tra cui: l’assenza di un trattato che copra le armi nucleari sub-strategiche, come già in parte faceva INF; la ridotta efficacia del Trattato sui cieli aperti, dopo la fuoriuscita di Washington; nonché il precario stato del Documento di Vienna e del NPT, i quali necessitano (rispettivamente) di un aggiornamento e rinnovata legittimità.

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