Il prossimo 28 giugno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovrà deliberare in merito ai nuovi Stati che siederanno, in qualità di membri non permanenti, nel Consiglio di Sicurezza per il biennio 2017-2018. L’Italia punta ad avere uno dei due seggi di rappresentanza che spettano ai Paesi dell’area WEOG. Ma la corsa per entrare nel massimo organo decisionale della comunità internazionale non è priva di ostacoli. Anche Svezia e Paesi Bassi aspirano infatti a tale incarico. Ciò nonostante, il considerevole contributo offerto dall’Italia nel campo della sicurezza e dello sviluppo internazionali, nel corso dei suoi sessant’anni di membership ONU, potrebbe rappresentare un significativo punto a suo favore
Il dibattito per una riforma del CdS ONU
Da alcuni anni, in seno alla diplomazia internazionale, è in corso un dibattito circa l’opportunità di affrontare una riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (che il 16 gennaio scorso ha salutato i 70 anni dall’entrata in funzione). Recentemente (maggio 2016), Mosca, per mezzo del suo vice rappresentante permanente al Palazzo di Vetro, Vladimir Safronkov, non ha escluso che tale discussione possa contemplare l’aumento del numero dei membri permanenti: attualmente le cinque Potenze vincitrici del Secondo conflitto mondiale (Stati Uniti, Federazione Russa, Repubblica Popolare Cinese, Regno Unito, Francia), le quali, diversamente dagli altri dieci Stati non permanenti eletti a rotazione, dispongono della prerogativa del diritto di veto. La Russia ha inoltre rivelato di essere disposta ad ammettere un’estensione del mandato dei membri non permanenti, che, ad oggi, è di due anni (non immediatamente rinnovabili). Lungo questo solco si inserisce anche l’Italia, la cui diplomazia è persuasa della circostanza secondo cui il nuovo scenario internazionale sia profondamente mutato rispetto a quello emerso nel secondo dopoguerra, sostenendo che le nuove minacce alla sicurezza e alla stabilità internazionali impongano “agli Stati un rinnovato impegno per ridefinire le coordinate fondamentali della <<governance>> mondiale” (Ministero Affari Esteri -MAE-, La riforma delle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza, online <esteri.it>). Più esattamente, Roma, riconoscendosi nel gruppo di Paesi, cosiddetto, “Uniting for Consensus”, ritiene preferibile accordare precedenza ad una discussione che dia centralità al momento della verifica elettorale, piuttosto che creare nuovi seggi permanenti. L’Italia sostiene che, da un lato, debba essere dato più ampio risalto alle realtà regionali sovranazionali, attribuendo in tal modo all’Unione europea un seggio e, dall’altro, che ogni ipotesi di riforma debba ispirarsi a princìpi di maggiore riequilibrio della composizione del CdS, con riferimento agli Stati dell’emisfero meridionale, in particolare del continente africano.
La candidatura di Roma
Nel corso del 2009 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha iniziato ad affrontare i negoziati intergovernativi sulla riforma del CdS, anche con il significativo contributo diplomatico dell’Italia, che in quell’anno organizzò, a Roma, il primo di tre eventi ministeriali specificatamente dedicati all’argomento (5 febbraio 2009, 16 maggio 2011, 4 febbraio 2013). Le prime due assise furono presiedute dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, il quale, il 12 maggio 2009, comunicò anche la candidatura ufficiale dell’Italia a ricoprire la carica di membro non permanente nel CdS per gli anni 2017-2018, chiedendo così alla comunità internazionale una fiducia che all’Italia era stata riconosciuta in precedenza già sei volte, l’ultima delle quali nel biennio 2007-2008 (la prima fu in quello 1959-1960). Nel corso del 2016 è infatti destinato a scadere il mandato di rappresentanza per cinque membri non permanenti (Angola, Malesia, Nuova Zelanda, Spagna, Venezuela). Le elezioni per assegnare i nuovi seggi si terranno il prossimo 28 giugno, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I criteri di voto sono indicati nelle Rules of Procedure (artt. 83 e 93) dell’Assemblea, i quali prevedono, tra le altre disposizioni, che ogni Paese candidato, per essere eletto, debba ottenere la maggioranza dei due terzi dei membri presenti. Per il gruppo regionale WEOG (Western European and Others Group), uno dei cinque in cui sono suddivisi i 193 Stati che attualmente formano la membership delle Nazioni Unite e di cui l’Italia fa parte (insieme ad altri 26 Stati), si renderanno disponibili due seggi. Oltre all’Italia, altri due Paesi WEOG, Svezia e Finlandia, hanno presentato la loro candidatura ufficiale. La prassi delle Nazioni Unite prevede alcuni requisiti (positive factors) per potere aspirare al voto: il contributo alle operazioni internazionali di mantenimento della pace (peace-keeping), una significativa rappresentanza demografica, una riconosciuta leadership internazionale, un cospicuo sostegno finanziario al budget ONU.
La ricerca del consenso
La proposta del ministro Frattini ha raccolto nel corso degli anni un ampio e progressivo consenso tra le istituzioni nazionali. All’interno delle diverse iniziative, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nel 2015, ha pubblicato il memorandum Italy with the UN: Building Peace for Tomorrow, nel quale sono elencati i contributi profusi dall’Italia, sin dal suo ingresso nelle Nazioni Unite (1955), nei riguardi delle principali questioni che interessano la sicurezza e la cooperazione internazionali: mantenimento e promozione della pace, sviluppo sostenibile, energie rinnovabili, diritti umani, difesa e promozione dei patrimoni culturali, contrasto al terrorismo e, non ultimo, il sostegno al ruolo della donna nella sfera economica e sociale. Anche dal Quirinale è giunta manifestazione di sostegno alla candidatura italiana, in particolare durante la visita ufficiale del Presidente della Repubblica negli Stati Uniti (6-13 febbraio 2016), che il 10 febbraio scorso ha incontrato il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, e il Presidente dell’Assemblea Generale, Mogens Lykketoft. Il primo ha espresso parole di elogio per il costante impegno italiano, riconoscendo anche il ruolo chiave di Roma nei riguardi degli sforzi volti a conseguire l’abolizione universale della pena di morte. Le occasioni di colloqui ad alto livello sono proseguite con la visita del Presidente del Consiglio italiano a New York per la ratifica, il 22 aprile scorso in sede ONU, dell’Accordo di Parigi sul clima, (stilato il 12 dicembre 2015 al termine dei lavori della XXI Conferenza sui cambiamenti climatici). Un contributo significativo è giunto anche dalla collaborazione tra la Farnesina e la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI), che nel dicembre 2015 hanno organizzato il convegno “La sfida della pace. L’Italia con le Nazioni Unite: 1945-2015”. In qualità di associazione italiana per l’ONU (UN Association of Italy), co-fondatrice della World Federation of United Nations Associations (WFUNA) e, soprattutto, organismo incaricato dal Governo italiano, già nel ’46, di costruire il percorso di adesione di Roma alle Nazioni Unite, la SIOI, sin dalla sua nascita, contribuisce al rafforzamento dei legami tra l’Italia e il Palazzo di Vetro.
Il contributo italiano alle Nazioni Unite
Legami, la cui solidità è testimoniata anche dal sostegno italiano al fabbisogno di bilancio dell’ONU. L’Italia è infatti il settimo Paese per quota di finanziamenti tra gli Stati membri e uno tra i più direttamente impegnati nelle principali missioni internazionali dei “caschi blu”. Come testimonia anche l’altissimo sacrificio offerto per la causa della pace in sessant’anni di adesione: 173 caduti, tra militari e personale civile. Un impegno che prosegue tutt’oggi con la partecipazione alle missioni UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon, denominata “Leonte” in ambito italiano), guidata dal Maggiore Generale Luciano Portolano, alla quale partecipa un contingente di (circa) 1.100 appartenenti alle Forze Armate italiane, e MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali), nell’Africa sahariana centro-occidentale. Roma è inoltre attiva nelle questioni che maggiormente interessano l’agenda internazionale, a cominciare dalla Siria, per la quale l’Inviato Speciale del Segretario Generale dell’ONU è l’ambasciatore Staffan de Mistura, mentre in Libia, l’inviato ONU Martin Kobler si avvale della consulenza del Maggiore Generale Paolo Serra, (già comandante di UNIFIL), in qualità di Senior Advisor per le materie della sicurezza. Il riconoscimento internazionale all’impegno italiano nel campo della gestione delle crisi umanitarie legate ai flussi migratori provenienti da aree di crisi trova inoltre una conferma indiretta nell’elezione (2015) di un diplomatico italiano, Filippo Grandi, alla carica di Alto Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR –United Nations High Commissioner for Refugees). L’Italia ospita in quattordici località del proprio territorio nazionale anche diverse agenzie delle Nazioni Unite. Prima fra tutte la FAO a Roma, città dove hanno i loro uffici centrali anche il Programma Alimentare Mondiale (PAM) e l’International Fund for Agricoltural Development (IFAD), mentre a Torino è presente lo Staff College, Istituto di formazione dei funzionari dell’ONU.
Obiettivo strategico
Le parole del Presidente del Consiglio dei ministri pronunciate nel luglio 2015 alla Conferenza degli Ambasciatori, tenutasi alla Farnesina, rivelano quanto sia importante per l’Italia ottenere un seggio nel CdS. Rivolgendosi ai 134 capi missione delle rappresentanze diplomatiche italiane, il capo di Governo aveva esortato il Corpo Diplomatico a fare dell’elezione “una priorità assoluta”. Concetto ribadito anche nello Stato di previsione del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per l’anno finanziario 2015, concepito nel più ampio quadro delle previsioni di bilancio per il triennio 2015-2017. Il documento illustra come l’Italia: “[…] dovrà proseguire l’impegno su questioni multilaterali e globali come la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU […]”. Tra le voci incluse riguardanti la Direzione Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza (§ 1.4 “Promozione della pace e sicurezza internazionale”) viene infatti esplicitamente citato (punto 72) l’obiettivo del “Conseguimento di un seggio in CdS ONU nel biennio 2017-18”. Le allegate Note integrative al bilancio di previsione del MAE individuano inoltre la ‘Direzione Generale per la mondializzazione e le questioni globali’ quale Centro di Responsabilità avente il fine di: “Contribuire, anche in vista delle principali scadenze multilaterali” a sviluppare “linee di azione innovative favorendo il coinvolgimento delle istanze pubbliche e private italiane, anche […] in funzione della candidatura italiana in senso al CdS”, classificando il conseguimento di un seggio tra i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza come “obiettivo strategico”.