In questa fase di espansione della pandemia numerose sono le questioni che stanno nascendo. Uno dei temi fondamentali e più vicini a noi, è sicuramente il tema del futuro dell’Unione Europea, Unione che per diversi motivi fatica a prendere una decisione concreta per far fronte alle necessità dei paesi maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria, che per tutta una serie di ragioni si tramuterà in emergenza economica, se è vero come è vero che le stime di caduta del nostro Pil da parte del Fondo Monetario Internazionale sono negative con un crollo stimato di circa il 9%.
Il dibattito sugli eurobond sta mettendo in luce e portando in superficie quelle ambiguità di fondo e quelle divergenze dei baricentri di vedute, che di fatto hanno impedito negli ultimi anni una vera azione coordinata in campo economico dell’Europa. Nonostante la realizzazione dell’Unione Monetaria, l’Europa è ancora lontana da una vera politica economica europea che passa attraverso una politica fiscale comune. I divari da cui si parte sono forti e difficili da colmare anche perchè manca un vera e propria “volontà comunitaria” cioè quel senso dello stare insieme che vada oltre l’economia ed il diritto, le problematiche divisive ruotano attorno al debito pubblico rilevante di alcuni paesi, che con un’unica politica fiscale di fatto verrebbe caricato sui paesi virtuosi.
Il tema degli eurobond, primo passo per una politica fiscale unica in Europa, diviene quindi baricentrico, perché esso viene visto come il grimaldello attraverso cui far passare l’idea di una politica fiscale unica in Europa. Certo in un’epoca di sovranismi è faticoso far accettare l’idea che l’Europa debba fare uno sforzo solidale per arrivare ad trasformare i differenti debiti pubblici in un unico debito pubblico europeo, ma se una lezione dobbiamo imparare dal coronavirus è quella che i sovranismi hanno il fiato corto e di fronte alle emergenze non sanno dare risposte. Non ci aspettiamo uno slancio di generosità da parte dei paesi virtuosi, ma dal punto di vista economico il sacrificio di accettare il carico del debito unico, potrebbe esser più che compensato dai vantaggi che ne potrebbero derivare nel breve e nel medio periodo. Quando il cancelliere Kohl decise di unire la Germania, facendosi carico delle debolezze della ex Repubblica Democratica Tedesca, dopo una fase iniziale di sopportazione del peso della riunificazione, si sono inziati a vedere i risultati sperati da Kohl, ed oggi possiamo affermare senza tema di essere smentiti che quell’operazione sia stata uno dei più grandi successi economici del XX secolo, oltre che un grande successo dal punto di vista politico e sociale, pur con tutte le difficoltà che tutt’oggi permangono sia in termini di differenze economiche tra le due aree della Germania, che in termini socio-culturali. Lo stesso spirito dovrebbe animare oggi l’Unione Europea e traendo spunto dalla ricostruzione post covid 19, avviare le basi per una vera Unione, unico e vero antidoto per poter affrontare al meglio la complessità del mondo attuale.
Infatti stiamo attraversando una fase della storia del mondo complessa e difficile, le cui difficoltà vanno oltre il grave problema sanitario dovuto all’infezione del Covid-19. Il dopo emergenza sanitaria sarà caratterizzato molto probabilmente da più problematiche concomitanti: economica e finanziaria prima di tutto.
La risposta alla crisi post covid è quella di affrontare l’emergenza
economica attraverso mezzi non convenzionali così come si fece subito dopo la crisi del ’29, con un “New Deal” europeo fatto di investimenti finanziari ed infrastrutturali concreti ed immediati in modo da consentire una ripresa veloce dell’economia comunitaria e non solo; altro tema necessario e quello interno al nostro paese, dove bene possiamo dire per le attuali misure adottate dal Governo Conte come ad esempio il potenziamento della cosiddetta Golden Power cioè quello strumento a tutela dei settori fondamentali per l’economia nazionale, che giustamente è stato esteso a più settori per evitare possibili scalate ostili in settori domestici considerati strategici, una carta essenziale che non denota debolezza come qualche commentatore ha sostenuto bensì a nostro avviso denota la capacità di risposta di un sistema paese che si difende attraverso quegli strumenti atti a tal proposito (come avviene in tanti altri paesi al mondo).
Invece per quanto riguarda l’impalcatura delle relazioni internazionali e geopolitica, la politica degli aiuti ha dettato una iniziale spinta emotiva pro o contro qualche alleato di vecchia o nuova data, ma l’elemento che a nostro avviso risalta agli occhi è che questa emergenza ha sancito un rallentamento di quel processo di globalizzazione che sembrava inarrestabile, ma che invece sotto i colpi inferti dal virus ha rallentato fortemente. Ci siamo resi conto inoltre che il ruolo degli Stati è centrale, infatti essi tornano al centro della scena globale, quali arbitri insostituibili, dopo essere stati a volte considerati quasi superati dai “nuovi attori globali” come ad esempio le grandi multinazionali o le megalopoli (che sono e restano dei players importanti ma pur sempre secondari), l’emergenza ha fatto riaffiorare inoltre delle tensioni che erano latenti come una infezione cutanea che non appena si abbassano le difese immunitarie per una qualsiasi ragione riaffiora e si fa vedere nel suo inestetismo.
Un mondo che il post emergenza Covid-19 lascerà più complesso come è avvenuto dopo il 1989 con la caduta del Muro o dopo l’11 settembre 2001 con la caduta delle Torri Gemelle e dopo ancora con la caduta dell’economia mondiale con la crisi del 2008, cadute dalle quali il mondo si è rialzato più o meno forte ma anche più o meno diverso rispetto a prima, e a volte più impreparato, ed è proprio questo che va evitato l’impreparazione, attuando piani di gestione del rischio e delle emergenze nazionali e comunitari, prevedendo ad esempio piani di difesa civile, piani di riconversione industriale per far fronte alle necessità locali in caso di chiusura delle frontiere (come è avvenuto con il virus), prevedendo nuove figure professionali capaci di gestire l’emergenza come questa situazione ci ha insegnato, ad esempio sostenendo la ricerca scientifica perché uno degli insegnamenti che si posso trarre da questa situazione, è che non si può tralasciare la scienza favorendo l’improvvisazione. Un mondo quello del post Covid-19 che potrebbe ripartire più forte, se ci fosse la consapevolezza che il perno dei rapporti debba tornare ad essere la politica e non l’economia, l’uomo e non l’interesse. Il mondo del dopo virus sarà un mondo ancora più complesso, poiché ha messo in evidenza tra le altre cose, la debolezza di un mondo che ha perso di vista l’essenziale per far spazio al superfluo.
Domenico Marino e Pietro Stilo,
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria