Lo spazio come High Ground «supremo». Un paragone apparentemente forzato, ma che rende perfettamente l’idea di quanto un possibile futuro cambiamento dei rapporti di forza tra USA e Cina nella competizione spaziale possa incidere sugli equilibri di potenza terrestri. Non è un caso, quindi, che la RPC veda nel proprio programma spaziale una delle chiavi del successo del «sogno cinese». In questo articolo andremo ad osservare in che modo proprio la Cina stia cercando di ridurre il gap con gli Stati Uniti nel dominio spaziale al fine di arrivare a conquistare questo vantaggio strategico nel lungo periodo.
Lo spazio come «high ground»
Se si parla di strategia, col termine high ground si intende letteralmente un terreno rialzato, particolarmente vantaggioso sia in quanto il suo controllo è una condizione prioritaria per sferrare un attacco, sia come postazione difensiva ideale. La sua importanza è riconosciuta da più di 2000 anni, tanto che lo stesso stratega militare Sun Tzu, ne L’arte della guerra, affermava la necessità di affrontare i propri nemici da una posizione rialzata, in modo da poter beneficiare dei vantaggi tattici da essa offerti, su tutti una visuale più ampia e migliore capacità di manovra. Per certi versi, ci si potrebbe riferire allo spazio come High Ground «supremo», pur riconoscendo che il paragone possa risultare limitato ai vantaggi offerti dal controllo di un «punto d’osservazione più alto», almeno finché l’impiego di risorse spaziali in un’ottica strategica rimarrà finalizzato quasi esclusivamente al perseguimento di obiettivi di intelligence. Nonostante ciò, il fatto che sia Cina che Stati Uniti abbiano ormai entrambi un ramo militare separato dagli altri e dedicato interamente allo spazio testimonia la consapevolezza che il «controllo» dello spazio rappresenterà nei prossimi anni uno dei fattori in grado di modificare i rapporti di forza nel gioco strategico tra l’aquila e il dragone, esattamente nello stesso modo in cui il controllo dell’high ground in battaglia possa essere determinante per l’esito della stessa.
Una guerra di narrazioni
Si potrebbe tranquillamente affermare che la corsa allo spazio rappresenti la quintessenza della competizione strategica che vede coinvolti Cina e Stati Uniti. In questo senso, le narrazioni diametralmente opposte che i due stati fanno della competizione spaziale sono perfettamente sovrapponibili al modo in cui ciascuna delle due superpotenze percepisce sé stessa e la propria avversaria all’interno dello stesso ordine internazionale. La Cina promuove la propria immagine di nazione modernizzatrice dedita all’uso pacifico dello spazio (e alla pace in generale), al servizio dell’avanzamento dell’umanità attraverso cooperazione e sviluppo economico, in contrapposizione alla potenza dominante (l’America) che vuole mantenere il proprio dominio dello spazio (così come dell’ordine internazionale), impedendo ad altri attori di accedervi e limitando la cooperazione internazionale a quei paesi che hanno sistemi politici simili. D’altra parte, Washington pone l’enfasi soprattutto sulla minaccia che una Cina fattasi grande potenza rappresenta per la sicurezza degli Stati Uniti e dei propri alleati, denunciando il fatto che dietro le «buone intenzioni» che Pechino sostiene di avere si celino in realtà le ambizioni di potenza del Dragone. In entrambe le narrazioni, comunque, i nostri protagonisti minimizzano il più possibile la natura militare dei propri obiettivi spaziali.
Aumentare la presenza cinese nello spazio
Il White Paper della Repubblica Popolare Cinese del 2019, dal titolo China’s National Defense in the New Era, ribadisce l’importanza dello spazio come «dominio critico nella competizione strategica internazionale». Di fatto, negli ultimi anni la presenza cinese nello spazio è aumentata notevolmente (e con essa le sue attività commerciali e scientifiche ad esso collegate) tanto che la Cina si trova ad essere il paese leader in termini di lanci effettuati negli ultimi due anni. Lo scopo di Pechino nel lungo periodo è quello di prendere il posto degli Stati Uniti nel ruolo di prima potenza spaziale, obiettivo il cui orizzonte temporale, nelle ambizioni cinesi, dovrebbe collocarsi intorno alla metà di questo secolo. Il primo passo per colmare il gap con gli Stati Uniti è quello di non dipendere più dalle risorse spaziali americane, come dimostra ad esempio il crescente numero di satelliti BeiDou (il sistema di navigazione satellitare cinese, alternativo al GPS americano) lanciati in orbita, oppure l’obiettivo di inaugurare entro il 2022 la prima stazione spaziale interamente cinese, che nel prossimo futuro potrebbe trovarsi ad essere l’unica stazione orbitante, complice la probabile «chiusura» della ISS, arrivata ormai ben oltre ogni aspettativa di vita. Il prestigio cinese passa anche necessariamente dalle missioni di esplorazione spaziale, finalizzate alla ricerca scientifica e al progresso tecnologico. A tal proposito, è in programma per il mese di novembre di quest’anno il lancio di Chang’e-5, una nuova missione diretta sulla Luna con lo scopo di raccogliere detriti lunari da studiare sulla Terra. Ovviamente al di là delle dichiarazioni provenienti da Pechino circa la volontà della Cina di promuovere l’uso pacifico dello spazio, il dragone sta rafforzando le proprie capacità contro-spaziali, e progredisce nello sviluppo di armi anti-satellite, come missili e armi elettroniche, destinate a privare i suoi avversari (si legga Stati Uniti) delle proprie capacità spaziali. Per un maggiore approfondimento consiglio la lettura di questo articolo di Alessandro Savini per Geopolitica.info.
L’impressionante sviluppo tecnologico cinese
I numerosi progressi fatti fino a questo momento dal programma spaziale cinese trovano la loro principale ragione nel rapidissimo sviluppo tecnologico conosciuto negli ultimi anni dalla Cina, il quale poggia su una serie di fattori tra loro concatenati. In primo luogo meritano di essere menzionati i costanti e consistenti finanziamenti provenienti dal governo cinese: la leadership è consapevole che una forte presenza della RPC nello spazio possa essere benefica non solo dal punto di vista della difesa nazionale, ma anche in termini di diplomazia e crescita economica; per questo motivo, la «corsa allo spazio» riveste un ruolo per niente marginale nell’agenda politica del governo di Pechino. Un sistema politico come quello cinese, inoltre, garantisce possibilità di pianificare e seguire, nel lungo periodo, una rigida tabella di marcia, eliminando dall’equazione l’incognita del susseguirsi nel tempo di diverse sensibilità politiche e quindi, soprattutto, di diversi gradi di priorità assegnati di volta in volta al programma spaziale. Un ruolo nello sviluppo tecnologico cinese potrebbe anche essere svolto dall’attività di furto della proprietà intellettuale straniera, fenomeno del quale Pechino ha sempre negato ogni responsabilità. Si tratta di uno dei motivi che hanno spinto gli Stati Uniti a stringere sempre di più le maglie dei propri settori strategici, cercando di impedire – o quantomeno di rendere sempre più difficile – l’accesso di operatori cinesi a dati e competenze tecnologico-militari sensibili per la sicurezza nazionale americana, ad esempio imponendo standard di cyber security sempre più rigidi ai contractors del Pentagono.
Lorenzo Bazzanti,
Geopolitica.info