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(Ancora) “confusione sotto il cielo”: nuove discrepanze tra USA e Cina

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Il raggiungimento di una tregua nell’escalation protezionistica che ha impegnato Pechino e Washington negli ultimi mesi ha permesso ai mercati di tirare un sospiro di sollievo. Per i prossimi tre mesi, USA e Cina dovranno negoziare un accordo  che risolva la disputa, senza imporre nuovi dazi e riequilibrando la loro relazione commerciale. Ma è davvero questo che si sono impegnati a fare? Alcuni elementi fanno pensare di no.

L’appuntamento di Buenos Aires era stato al centro dell’attenzione dei commentatori perché Donald Trump e Xi Jinping tornavano ad incontrarsi dopo un lungo anno di trade-war, da un lato, e di tensioni nel Mar Cinese Meridionale, dall’altro, che hanno deteriorato sensibilmente il rapporto tra le due potenze.

Quando le due delegazioni, quindi, si sono sedute al tavolo, il mondo ha tenuto il fiato sospeso aspettando di conoscere l’esito delle negoziazioni che se ha deluso i più ottimisti, non ha, neanche, confermato le previsioni dei più pessimisti. USA e Cina hanno, infatti, concordato una tregua i cui termini, però, non sembrano essere ben chiari ad entrambi.

Come ha rilevato Bloomberg, analizzando i due comunicati finali emergono, infatti, delle discrepanze significative. Se entrambi concordano sul fatto che i dazi di Trump, ora al 10 % per un valore di 200 miliardi di $, non saliranno (come inizialmente previsto) al 25 % il 1° gennaio 2019, non è chiaro se dopo la scadenza dei 90 giorni, il dazio salirà automaticamente a quota 25. Mentre gli americani sposano questa posizione, i cinesi non ne fanno menzione nel loro comunicato.

Non è chiaro, inoltre, quale sia il mandato delle delegazioni che nei prossimi tre mesi dovranno negoziare un accordo. Per Pechino, esso implicherà una rimozione di tutti i dazi, un progresso nelle relazioni in un’ottica di “mutuo beneficio” e una “maggiore apertura dei due mercati”. Al contrario, nel comunicato di Washington non appare nessun riferimento del genere. Confuso risulta, anche, l’impegno cinese ad acquistare un maggior numero di prodotti americani per correggere il deficit commerciale USA e se, ovviamente, negli editoriali inglesi l’importanza di tale promessa è ben evidenziata, in quelli cinesi merita solo una veloce menzione. Infine, piccole discrepanze emergono anche in merito ai dossier Fentanyl e Corea del Nord.

Non più chiara è la futura formazione che Trump schiererà in campo per le negoziazioni. A tal proposito, la presenza di Peter Navarro al summit ha fatto discutere: il Consigliere per il commercio è considerato, infatti, un “falco” quando si tratta di relazioni con la Cina. Fautore di una politica dura, Navarro è autore di un libro dal titolo emblematico, “Death by China”, e, se dovesse assumere la guida della delegazione americana, potrebbe imprimere una svolta ai negoziati.

Infine, un’altra figura che potrebbe assumere maggiore importanza nell’entourage trumpiano è Michael Pillsbury, direttore del Center on Chinese Strategy all’Hudson Institute, un think tank di orientamento conservatore a Washington in cui il vice-Presidente Mike Pence aveva tenuto il duro discorso con cui accusava la Cina di voler interferire con le elezioni di mid-term americane. Anche Pillsbury, a cui Trump si è riferito come il “maggiore esperto sulla Cina” e che si è guadagnato l’attenzione della Casa Bianca nelle scorse settimane pur essendo un personaggio controverso, è autore di un libro dal titolo indicativo, “The Hundred-Year Marathon: China’s Secret Strategy to Replace America as the Global Superpower”. Se ciò dovesse portare ad un ruolo più rilevante per Pillsbury all’interno dell’Amministrazione, c’è da aspettarsi che l’approccio di Trump alla Cina diventi ancora più risoluto.

Corsi Online

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