Il 5 ottobre 2017 si è verificato il primo attacco da parte del gruppo terrorista di Al-Shabaab nella città di Mocimboa da Praia, situata nel Nord del Mozambico, vicino al confine con la Tanzania. Da allora, gli attacchi da parte dei gruppi jihadisti non sono mai cessati, nonostante calamità naturali e pandemia. La risposta del governo mozambicano guidato dal Presidente Filipe Nyusi è stata giudicata molto tardiva ed infruttuosa, al punto tale che è stato costretto ad appoggiarsi ad altri partner regionali, come il SADC, e partner internazionali, come l’UE. I recenti eventi nella parte settentrionale del Paese potrebbero avere dei risvolti interessanti a livello politico, militare ed economico.
Una panoramica generale dei fatti recenti: più ostacoli che speranze?
Sebbene alcune città settentrionali vittime dei primi attacchi jihadisti stiano tornando alla normalità, come nel caso di Mocimboa da Praia, nelle ultime quattro settimane gli insorti si sono spinti a sud compiendo attentati nella provincia di Nampula, portando a termine una campagna di attacchi senza precedenti e continuando a compiere attentati nei distretti centrali e settentrionali di Cabo Delgado. Infatti, il 6 settembre gli insorti hanno sparato in un attacco a una missione cattolica nel villaggio di Chipene, uccidendo una suora comboniana, Maria De Coppi, membro del Centro Missionario Concordia di Pordenone. L’attacco è stato condannato in una dichiarazione rilasciata l’8 settembre da un gruppo di organizzazioni musulmane di tutto il Paese, guidate dal Consiglio islamico del Mozambico, le quali hanno invitato il governo a prendere “misure urgenti per porre fine a questo male una volta per tutte”. Tali dichiarazioni rimarcano ancora una volta che gli estremisti islamici altro non sono che una minoranza all’interno della comunità islamica in Mozambico, seppur organizzata sotto diversi punti di vista, in un contesto come quello mozambicano. Infatti, va sempre tenuto in considerazione il fatto che la maggioranza dei residenti nella provincia di Cabo Delgado è, sì, di religione musulmana, ma l’arruolamento tra le fila dei jihadisti avviene perlopiù per cause sociali legate alla povertà e alla fame. In quest’ultimo ambito, è recentemente accaduto un evento particolarmente significativo, cioè l’attacco a una postazione dell’Unità di intervento rapido (UIR) della polizia a Litingina. Sebbene non ci siano state vittime, l’UIR ha dovuto abbandonare la postazione, permettendo agli aggressori di impossessarsi delle munizioni e degli armamenti rimasti. L’aspetto che più colpisce è che, secondo quanto detto da una fonte citata da Cabo Ligado, l’attacco era in preparazione da giorni, con ragazzi che vendevano arance e noccioline alla polizia per raccogliere informazioni per poter permettere a questi ultimi di racimolare denaro. L’uso di ragazzi e venditori come vedette non è nuovo nel conflitto ed è plausibile pensare che gli insorti possano incentivare i membri della comunità a sostenerli, offrendo loro bisogni basilari come il cibo e la sicurezza.
I nuovi accordi con la Tanzania: una luce in fondo al tunnel?
Lo scorso agosto il Presidente Nyusi ha dichiarato di aver ricevuto informazioni che alcuni proprietari di stazioni di servizio a Sofala, probabilmente di proprietà della compagnia tanzaniana Lake Oil, erano coinvolti nel finanziamento dell’insurrezione in Mozambico e che alcuni sospettati erano in fuga dopo che le autorità li avevano cercati. Sebbene tali dichiarazioni abbiano suscitato delle polemiche, ciò non ha impedito la stipula di due nuovi memorandum d’intesa relativi alla cooperazione tra il Mozambico e la Tanzania, come chiedeva Nyusi già da qualche mese. Uno dei due nuovi accordi riguarda i settori della Difesa, Pubblica Sicurezza e Sicurezza dello Stato. In modo particolare, questi due ultimi settori possono essere letti con l’ottica del contrasto all’immigrazione illegale transfrontaliera, la quale gioca un ruolo importante per alimentare la rete collegata al terrorismo, permettendo l’entrata e l’uscita di terroristi dal territorio. L’altro memorandum concerne, invece, le operazioni di recupero e salvataggio. In questa regione, ricca di giacimenti di gas, Nyusi si gioca una partita molto importante se vuole ambire a far diventare il Mozambico “una forza regionale e mondiale”, come dichiarato da lui stesso. In realtà, più che di volontà di trasformare il Mozambico in potenza regionale e mondiale, pesano su Nyusi fattori esterni, come l’inflazione e l’intensificarsi del conflitto russo-ucraino, i quali hanno aumentato ancora di più l’insicurezza alimentare a livello nazionale, oltre che il debito pubblico nei confronti dei creditori internazionali. Sotto questo punto di vista, essendo il Mozambico un Paese molto dipendente dalle esportazioni e dagli investimenti stranieri, è logico aspettarsi da Nyusi una spinta affinché le aziende straniere occupate nell’esplorazione del gas riprendano le loro attività nel bacino di Rovuma il prima possibile. Questa spinta è dovuta specialmente alla luce del fatto che la Total, principale azienda impegnata nel settore del gas nella regione, ancora non ha diramato informazioni circa la ripresa di attività nell’esplorazione del gas, così come dell’aumento del prezzo del gas che garantirebbe maggiori entrate nella casse dello Stato.
Un bilancio conclusivo: la pace e la stabilità sembrano ancora lontane. Sebbene siano stati compiuti degli sforzi da parte della presidenza Nyusi, come l’ approvazione ad agosto una nuova strategia contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo e la riconquista di alcune città, lo Stato africano è ancora troppo dipendente dall’esterno e, di conseguenza, troppo fragile al proprio interno, soprattutto all’interno delle istituzioni. Sotto quest’ultimo aspetto, si pensi al fatto che a maggio di quest’anno il comandante generale della Polizia, Bernardino Rafael, aveva detto che si era quasi vicini alla fine del conflitto, mentre qualche settimana fa ha affermato che il cammino verso la pace e la stabilità è ancora molto lungo e che il terrorismo esisterà sempre. Dalle sue dichiarazioni emerge non solo contraddizione, ma sembra scorgere un senso di rassegnazione di fronte all’abbattimento della minaccia terrorista, quasi come se fosse qualcosa con cui convivere. Inoltre, un altro problema che caratterizza il Mozambico (e in generale i Paesi africani) è la dipendenza dai partner esterni, anche dal punto di vista economico. Non a caso, l’8 settembre l’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, Josep Borrell, ha annunciato un pacchetto di sostegno finanziario di 15 milioni di euro per la missione del SADC in Mozambico (SAMIM). Il denaro servirà a finanziare le fortificazioni e le attrezzature del campo, come i container di stoccaggio, le attrezzature mediche, i veicoli e le imbarcazioni e i dispositivi tecnologici. Questo si aggiunge a un precedente pacchetto di 1,9 milioni di euro per la costruzione della pace già fornito dall’UE al SAMIM sotto gli auspici del Meccanismo di risposta rapida (ERM) dell’Unione Africana, a 89 milioni di euro forniti alle forze armate mozambicane e a una missione di formazione. Il giorno successivo all’annuncio, Borrell ha anche dichiarato che l’UE avrebbe presto approvato un pacchetto di 20 milioni di euro per sostenere le forze armate ruandesi in Mozambico. Tuttavia, come ammesso dal responsabile della missione europea in Mozambico, Hervé Bléjean, l’UE finanzia il Ruanda nella sua missione di pace in Mozambico, esercitando così ulteriori pressioni sugli Stati africani, i quali sarebbero costretti a ridurre la loro missione di pace in Mozambico, qualora gli Stati europei dovessero affrontare una crisi ancora più acuta di quella che si sta vivendo tutt’ora a causa dell’inflazione.