Dopo una falsa partenza causata dalla pandemia, lo scorso 9 Maggio 2021 ha avuto inizio la Conferenza sul futuro dell’Europa, uno spazio e un tempo dedicati allo scambio di idee e alla condivisione. Il progetto, ampio quanto i confini del vecchio continente e aperto a chiunque in possesso della cittadinanza europea, si propone di discutere l’avvenire di più di 400 milioni di persone.
Della durata di circa un anno, il dibattito porterà alla formulazione di proposizioni concrete la cui vita è però ancora incerta. L’obiettivo è quello di risvegliare un dibattito annichilito da anni di crisi e dalla lontananza delle istituzioni, ascoltando l’opinione dei cittadini, chiamati a svolgere un ruolo, almeno in apparenza, chiave.
È un’iniziativa inedita con all’orizzonte un possibile bivio, una volta evoluta in strumento concreto sarà la penna con cui i cittadini europei scriveranno il loro stesso futuro o un segnale di crescente sfiducia verso la costruzione europea?
Radici storiche e ideali
Il 9 Maggio 1950, esattamente 71 anni prima della data-simbolo scelta per il lancio della Conferenza sul futuro dell’Europa, l’allora ministro degli esteri francese in carica consegnò alla storia quella che ancora oggi viene ricordata come la dichiarazione Schumann. Il documento è considerato la base ideologica su cui si regge il progetto europeo, faro del cammino di crescita e integrazione dei paesi e dei popoli che ne fanno e ne hanno fatto parte. È la dichiarazione di intenti di un continente lacerato da decenni di guerre e totalitarismi che sceglie la via della cooperazione economica e culturale, sotto l’egida di nuove istituzioni e di un dibattito costante, per costruire insieme un futuro prospero e pacifico.
A dispetto di ciò che viene riportato nella dichiarazione comune sulla Conferenza dai presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento ( “L’aumento dell’affluenza alle urne durante le elezioni europee del 2019 riflette il crescente interesse dei cittadini europei a svolgere un ruolo più attivo nel decidere il futuro dell’Unione e le sue politiche” ), i numeri sull’affluenza del 2019 (50,66%) sembrano solo l’eccezione di una regola che vede la partecipazione alle urne durante le tornate europee in costante declino rispetto alle prime elezioni del 1979 (61,99%). Segnale evidente di un dibattito comunitario affievolito che non riesce a coinvolgere la metà della popolazione.

Proprio dalla voglia di invertire questo trend parte l’idea della Conferenza, la cui paternità è rivendicata da Emmanuel Macron con riferimento al suo Manifesto “Per un nuovo Rinascimento europeo” del 2019. Raccolto dall’amministrazione Von der Leyen, l’invito ha assunto la connotazione di uno spazio in cui le proposte dei cittadini possano dare vita a un dibattito concreto “sulle sfide e le priorità dell’Europa e per riflettere sul futuro dell’Unione Europea”.
La Conferenza: cos’è e come funziona
Il sito ufficiale del Parlamento europeo recita “La Conferenza sul futuro dell’Europa offre ai cittadini europei la possibilità di contribuire a definire la rotta dell’UE”, frase contornata dallo slogan “Il futuro è nelle tue mani”.
La sua struttura istituzionale parte dal basso, dalle idee discusse agli eventi, virtuali o fisici, organizzati dai cittadini dell’unione e ai quali chiunque può partecipare pubblicando o commentando idee riguardanti il funzionamento e gli obiettivi dell’Europa del futuro. I dibattiti sono accessibili tramite una piattaforma multilingue e catalogati per tema in dieci macro-argomenti come Cambiamento climatico e ambiente, Salute, l’Ue nel mondo, Migrazione e altri.
Quattro assemblee (Panel), ciascuna di 200 cittadini selezionati in modo casuale (composte in numero uguale tra uomini e donne e di cui 1/3 tra i 16 e 25 anni), si spartiscono la discussione delle idee emerse elaborando raccomandazioni, poi discusse durante le tre sessioni plenarie della Conferenza.
La sessione plenaria dei quattro panel ha il compito di trasformare le raccomandazioni di ciascuna assemblea in proposte all’azione dirette al comitato esecutivo, composto da 9 rappresentanti delle tre istituzioni cardine dell’Ue e fino a 4 membri osservatori. Tra i membri e le parti interessate figurano la COSAC (Conferenza degli Organi Specializzati in Affari Comunitari), il Comitato delle regioni, il Comitato economico e sociale, l’Alto Rappresentante Josep Borrell, le parti sociali e il mondo accademico. Quest’ultimo comitato funge da “organo legislativo”: avrà l’onere condiviso con le assemblee di preparare la relazione finale da presentare alle istituzioni europee, che sulla Conferenza esercitano una presidenza congiunta.
La voce (dell’1%) degli europei
La Conferenza è senza dubbio un grande esperimento di democrazia partecipativa, forse tra i più importanti della storia dell’Europa, che ha fame di idee, soprattutto quelle dei cittadini “comuni”, posti sullo stesso piano del mondo della rappresentanza di interessi e della politica. La composizione sociologica dei panel ne è un perfetto esempio in quanto garanzia di equilibrio e pluralità tra classi sociali, età e contesti abitativi dei selezionati. Anche il format itinerante scelto per le quattro assemblee plenarie (si svolgeranno a Dublino, Firenze, Natolin e Maastricht) segna la ricerca di un equilibrio. L’intenzione è di portare il dibattito il più vicino possibile a tutti i cittadini europei.
Malgrado ciò la partecipazione da parte della società civile non ha avuto il decollo sperato. Come dimostra un rapido sguardo alla cache della piattaforma multilingue, contenente le cifre della Conferenza, a un mese dal suo inizio le idee raccolte durante i quasi mille eventi erano 4.304, i partecipanti 16mila. Ad oggi, dopo quasi sette mesi le cifre sono di 3.400 eventi, 9.100 idee e neanche l’1% della popolazione europea coinvolta: il raddoppio dei partecipanti si è manifestato solo dopo 7 mesi, arrivando a 33 mila nel Novembre 2021.
Nell’analisi contenuta nella seconda relazione intermedia (Settembre 2021) emerge che la fascia d’età più attiva sulla piattaforma è quella 55-69, e che “tra i contributori sulla piattaforma il 15% si sono identificate come donne – il 60% si sono registrati come uomini”, mentre il 25% ha preferito non dichiarare il proprio genere (ma anche le organizzazioni possono partecipare). Questo segnala una evidente sotto rappresentazione di donne e giovani che si ripercuote sulle priorità politiche che emergono dai dibattiti. In questo, stando agli ultimi dati, la Conferenza non sta raggiungendo i suoi obiettivi.
Promesse e speranze
Quanto riportato assume una connotazione significativa se si pensa al possibile (e da molti auspicato) impatto della Conferenza a livello istituzionale. Nel bene e nel male i vertici Ue si sono impegnati a “dare un seguito effettivo ai risultati”, di fatto scommettendo su affluenza e qualità delle idee che ne usciranno ed esponendosi al rischio di vedersi contestati possibili dietrofront.
Ciò nonostante dalla Conferenza emerge la stessa balcanizzazione delle opinioni che si ritrova nel dibattito istituzionale, a livello intergovernativo. Un’ideale carrellata dei temi più dibattuti vedrebbe ai primi posti la federalizzazione dell’Ue, con un maggiore decentramento a favore dell’autonomia degli Stati; l’applicazione del voto a maggioranza qualificata anziché all’unanimità in sede di Consiglio e più potere nelle mani del Parlamento; una politica fiscale comune che preveda l’aumento delle risorse proprie dell’Ue, o un bilancio indipendente dagli stati membri; un rafforzamento del pilastro sociale attraverso un reddito di base incondizionato; una maggiore parità di genere e la tutela dei diritti LGBT+.
Il seguito e le conclusioni
La Conferenza non ha data di scadenza. La conclusione dei lavori è prevista per la primavera del 2022, durante la presidenza di turno francese al Consiglio dell’Unione europea, ma non prevede necessariamente la chiusura delle comunicazioni. L’amministrazione Von der Leyen vorrebbe anzi trasformare l’iniziativa in un canale comunicativo diretto, permanente e privilegiato anche dopo che avrà espletato la sua missione.
Per quanto riguarda il seguito delle proposte, una relazione finale della Conferenza sarà presentata direttamente alla presidenza congiunta delle tre istituzioni Ue: Parlamento, Consiglio e Commissione europea. Le tre istituzioni dovranno quindi “valutare rapidamente come dare un seguito efficace alla relazione, ciascuna nell’ambito delle proprie competenze e in conformità dei trattati”.
Ma qual è il vero spazio di manovra delle proposte?
Se la libertà del dibattito portasse all’identificazione di priorità politiche contrastanti con i piani di Bruxelles o con quelle di alcuni stati membri? Tra le idee ad oggi più sottoscritte e commentate per il macro-tema Migrazione figurano “Basta all’immigrazione da paesi non europei o non del primo mondo” e “Allontanamento dei richiedenti asilo/migranti non autorizzati”. Non proprio la postura adottata da Bruxelles che, al contrario, su questo punto ha affrontato battaglie legali e politiche infuocate contro alcuni stati membri non allineati. In questo caso la vox populi sarebbe dalla parte dei detrattori dei principi fondamentali dell’Ue, a cui si offrirebbero assist a dir poco evitabili di sfidare i valori alla base della costruzione europea.
Nel lanciare l’idea, Emmanuel Macron auspicava l’apertura di un dibattito senza limiti, attraverso una Conferenza “senza tabù e senza nessuna paura, neanche quella della revisione dei trattati”.
Che da essa scaturisca un dibattito nelle istituzioni è cosa certa, perciò l’iniziativa ha il merito di potersi definire democratica. Ma la strada che porta alla revisione dei trattati (art.48 del TUE) oltre a essere giuridicamente difficile da percorrere, divide le opinioni della gran parte dei paesi membri.
Così come divide la provocatoria sfida dell’Europa a due velocità e a doppia integrazione, ormai cavallo di battaglia del presidente francese. La spaccatura ideologica degli ultimi anni (e, almeno in principio, opportunamente camuffata) viene portata ad evidenza oggettiva. Questo porterebbe sicuramente a un dibattito aspro tra i “quasi amici” d’Europa, tema sul quale l’opinione è variegata, ma che sicuramente darebbe un colpo all’immobilismo e alla sedimentazione del dibattito sul futuro dell’integrazione europea.
Fare un po’ di rumore permette di rompere i silenzi, attuare tanti piccoli aggiustamenti, senza forzatamente generare un boato e creare fazioni contrapposte, e anche se fosse solo questo il seguito della Conferenza, potrebbe essere abbastanza.
Che questo grande megafono dato in mano agli europei sia una sorta di ultima spiaggia, oltre la quale l’Ue inizierà a contare i granelli di sabbia nella clessidra dell’integrazione, definendo delle linee politiche nette e cavalcando l’opinione pubblica? Oppure sarà un modo per dare un seguito concreto alle proposte della Conferenza solo laddove si troverà l’unanimità di intenti dei membri, proseguendo sulla falsariga degli scontri ideologici odierni?
La domanda andrebbe posta ai cittadini europei, per ascoltare la loro opinione.
Enea Belardinelli
Geopolitica.info